"DANZA
CONTEMPORANEA A MILANO: SHORT FORMATS - FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA NUOVA
DANZA"
di
Daniela
Dal
15 al 24 maggio scorsi si è svolto a Milano "Short Formats", festival
di danza contemporanea, che ha presentato una vasta gamma di proposte molto
interessanti e diverse compagnie di livello internazionale. Peccato che
il pubblico milanese, tradizionalmente orientato verso il balletto o il
musical, non abbia accolto l'evento con particolare entusiasmo, disertando
largamente le sale del CRT presso cui si svolgeva il festival.
Gli
spettacoli, tutti di buona qualità, avrebbero senza dubbio meritato
una maggiore attenzione.
La
rassegna si è aperta con le performances della compagnia "Black
Blanc Beur", gruppo francese di danza Hip Hop, che utilizza nelle sue coreografie
un repertorio molto vasto di musiche provenienti da ogni parte del mondo.
Nella coreografia "Wartane" utilizzano una fusione di musiche africane,
mediorientali, spagnole… Il risultato è piuttosto originale, mirabilmente
interpretato da due danzatori (Stéphane Limongi e Mathieu Raguel)
che si mettono a confronto nella loro differente fisicità, uno istintivo,
dinamico, alla ricerca di una estrema fluidità di movimento, l'altro
più riflessivo, più intenso, più cerebrale. Ne nasce
un dialogo danzato vagamente surreale, anche per il contrasto che si crea
tra la musica e lo stile di danza con cui viene interpretata, ma che riesce
a essere a volte anche molto poetico. L'altra coreografia presentata dalla
compagnia, "Shuffle", è più classica dello stile hip
hop, meno interessante, più monotona e non sempre chiara nelle
sue intenzioni.
Il
secondo spettacolo presentato, "Vis Volans" della coreografa Britta
Oling, è basato sulla ricerca di una infanzia perduta e negata nel
nostro mondo contemporaneo piagato dalle guerre. Forse un po' troppo retorico
nei dialoghi, troppo calcato, ma forse ciò era voluto anche per
contrastare con l'innocenza e la leggerezza delle musiche popolari inglesi
per l'infanzia e la leggiadra interpretazione che ne dà la danzatrice
solista Virginie Lescouet. Anche la scenografia digitale formata da tre
maxi schermi su cui vengono proiettati oggetti, elementi naturali, colori…
è
molto gradevole.
La
serata successiva è il turno dei catalani "Mal Pelo", che presentano
due diversi spettacoli: "Animal a la esqueña" e "Atrás
los Ojos". Il primo è dedicato all'analisi attraverso la danza
dei vari aspetti della vita di coppia. Sul palcoscenico è presente
una struttura, che ricorda un po' il ring di un incontro di boxe, dove
si svolgono una serie di quadri, scene di vita quotidiana, pensieri e riflessioni
sul rapporto uomo-donna, trattati con estrema ironia e leggerezza. La messa
in scena, che ricorre a numerosi effetti a sorpresa molto originali e a
continui cambi di forma dello spazio scenico, grazie alla struttura smontabile
e orientabile in vari modi, la presenza di numerose botole che consentono
cambiamenti di livello, apparizioni di oggetti… forse mettono un po' in
secondo piano quello che è la danza vera e propria, un po' schiacciata
tra gli effetti scenici e l'abbondante uso di testi recitati.
"Corpi
complici", della coreografa tunisina Nawel Skandrani, è una
lunga riflessione filosofica sulla danza, sull'arte e sulla accettazione
sociale di cui la danza gode nella cultura magrebina. Su uno schermo vengono
presentate diverse massime e frasi filosofiche sulla danza che vengono
poi commentate in scena attraverso la danza stessa. In generale lo spettacolo
è interessante e originale, pregevole anche l'interpretazione, solo
un po' troppo lento il ritmo, soprattutto nelle parti in cui vengono proiettati
i video a scena vuota, fortunatamente spezzato nella seconda parte da diversi
momenti di autentico humor.
"The
Moebius Strip", su coreografia di Gilles Jobin, rientra invece nel
filone della danza contemporanea di impostazione "visuale", concentrato
sulla ricerca formale, geometrica, che utilizza il corpo umano come uno
strumento per disegnare nello spazio scenico. La musica è composta
interamente di "rumori", che fanno da sfondo sonoro a movimenti di scena
ormai più vicini alla performance che alla danza, basati sui contrasti
tra staticità e dinamismo, luce intensa e buio, silenzio e musica
ad alto volume.
Di
impostazione diametralmente opposta lo spettacolo "Dood", coreografato
e interpretato da Barbara Toma, un altro spettacolo "impegnato", interamente
incentrato sul tema della morte. Decisamente intenso dal punto di vista
emotivo, elegante nella trattazione, nonostante la difficoltà di
affrontare temi come: il suicidio, la pena di morte l'eutanasia. Molto
bella anche la messa in scena, con il bianco e il nero come unici colori
presenti, in contrasto solo con il rosso dei lumini; l'uso interattivo
del video, su cui appaiono immagini e testi, il tutto supportato da coreografie
sobrie e di grande intensità interpretativa.
"Trace"
di Noemi Lapzeson, è un passo a due per musicista/attore e danzatrice,
il tema è quello della seduzione e l'erotismo, campo in cui l'essere
umano sembra non essersi evoluto affatto, dall'epoca primitiva e primigenia,
rappresentata dalla danzatrice nuda, all'epoca contemporanea, momento in
cui la danzatrice si riveste di abitino scollato e reggicalze. La sabbia
che scende sul palco da un sacco appeso in alto ci ricorda che tanto tempo
è passato e passerà, mentre le strategie seduttive e i rapporti
uomo-donna continuano a essere uguali a se stessi.
Le
musiche
in assoluto più originali ascoltate al festival sono quelle dello
spettacolo "Jour de Fuite", del coreografo Philippe Saire. La fusione
tra rumori di origine "fisica", respirare, ansimare… mescolati con la musica
strumentale riesce a creare atmosfere decisamente stranianti, così
come l'uso delle tecnologie teatrali, effetti di illuminazione, le strutture
metalliche che reggono l'impianto luci del palco utilizzate come una sorta
di gabbia in cui il danzatore si muove tra rumori sinistri di scariche
elettriche. Tutta la danza ha come scopo il mettersi in relazione con questi
elementi in modo innovativo, spericolato, straniante, al fine di ottenere
nell'osservatore un effetto di stupore e inquietudine.
Luglio 2003
|