Interviste
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GLORIA CHIAPPANI RODICHEVSKI HA INTERVISTATO BAUSE, BALLERINO DEI SINAFRICA ‑ 15 novembre 2004

Gloria Chiappani Rodichevski

 fondatrice di Morfoedro, portale d'arte e di cultura: http://www.morfoedro.it
e-mail:
gloria.chiappani@chiappani.it

Bause, ballerino del gruppo Sinafrica, ha acconsentito a rilasciarmi un'intervista in occasione di un corso di danza africana, da lui tenuto presso l'Associazione culturale "Magister Ludi" di Cesano Maderno (Milano).

Prima che cominci la lezione ci sediamo su un divano. L'intervista si svolge parte in francese, parte in italiano, a seconda di quale lingua Bause ritiene di volta in volta più idonea per esprimere i concetti che intende esporre. Qui viene proposta interamente in italiano.

Bause, da dove provieni?

Dal Senegal.

Qual è la tua attività?

Mi occupo di danza insegnandola e facendo spettacoli con i Sinafrica; inoltre costruisco maschere che ci servono durante tali spettacoli.

Chi sono i Sinafrica?

I Sinafrica nascono nel 1993 come gruppo musicale e teatrale formato da artisti africani di diversa nazionalità. Noi offriamo un programma a base di percussioni e di canti ispirati al patrimonio culturale dell'Africa Nera che è davvero ricco.

Quando e perché hai cominciato a danzare?

Per noi la danza è un fatto naturale, quindi ho cominciato da bambino, al ritmo di tamburi che voi chiamate bonghi (in realtà esistono diversi tipi di tamburi: sabar senegalese, djembé e dungdung mandinghi, talking drum e altri ancora). In Senegal ci sono molti gruppi etnici e ognuno ha le proprie tradizioni musicali. Nella tradizione senegalese (come in quella di tutta l'Africa occidentale, del resto) riveste una particolare importanza il "griot", un cantastorie professionale che suona il kora anche per accompagnare la danza. Avrai notato che ho parlato di danza e di canto, perché sono due cose inscindibili. Noi balliamo e cantiamo sia in occasioni speciali sia nei diversi momenti della vita quotidiana, come quando ‑ ad esempio ‑ viene svolto il lavoro nei campi.

Ci sono molti tipi di danze africane?

Be', sì. A seconda del ritmo che viene proposto dagli strumenti, c'è una danza. Posso ad esempio citarti il "Du dum ba", la danza dell'uomo forte. Tieni conto che nelle nostre danze i passi vengono modellati sull'osservazione della realtà circostante e sulle attività quotidiane. Ti mostro questo passo.

Si alza dal divano. Bause è alto un metro e novanta ("Mio padre è ancora più alto", mi dice), magro, con i capelli raccolti in treccine dal sapore giamaicano. Mi mostra il passo che mi ha annunciato: ad imitazione del volo d'un uccello, muove in su e in giù le lunghe braccia e le lunghe mani, che sembrano percorse da un fremito di vita. Anzi, non posso dire che imiti, poiché ho proprio l'impressione che Bause sia su una roccia e si stia preparando per spiccare il volo: le sue braccia, il busto che si flette e si raddrizza, tutto il suo corpo, mi dicono questo. Bause torna a sedersi accanto a me.

Vedi? È un volo d'uccello che abbiamo introdotto nella nostra danza, avendolo noi osservato quotidianamente. Oppure guarda quest'altro movimento.

Si alza di nuovo.

Lo riconosci? È un uomo che vanga.

Torna a sedersi.

Fate cioè vostri e plasmate nelle vostre danze i movimenti usati nelle attività quotidiane o mutuati dagli esseri animati che vi circondano.

Certo. Noi ci esprimiamo attraverso la danza e siamo felici quando danziamo. Naturalmente non danziamo solo la felicità, ma qualsiasi altro sentimento. Molto importante è ad esempio la danza legata alla circoncisione perché questo rito significa che un ragazzo diventa uomo, entra in un'altra fase della sua vita.

So che i Sinafrica si occupano della problematica della codificazione della danza etnica.

Sì. Quando insegniamo dobbiamo per forza essere didattici, spiegare come funziona un passo, come si deve fare per riprodurlo. Invece, negli spettacoli possiamo anche improvvisare. Anzi, improvvisiamo perché in questo modo lo spettacolo acquista in originalità e in bellezza.

Io ho sempre profondamente amato i negri che danzano: ritengo che abbiano la danza nel sangue. Il loro modo di muoversi, di esprimersi attraverso il linguaggio del corpo è unico. Ma che cosa lo rende unico?

Quello che ti dicevo prima: per noi la danza è un fatto del tutto naturale!

Vieni, andiamo in sala, perché fra poco inizia la lezione, così vi assisti. Continuiamo l'intervista alla fine dell'ora.

La lezione viene tenuta a dieci allievi bianchi. Mentre li osservo, noto in loro interesse per quello che stanno facendo, coscienza dell'impossibilità di danzare come il loro insegnante, gioia che dà la libertà di potersi muovere, cimentandosi in passi mai eseguiti prima.

Dopo aver inserito un CD nell'apposito lettore, Bause fa riscaldare gli allievi facendoli camminare in cerchio e facendo compiere loro saltelli, battere le mani e muovere le braccia.

La seconda parte della lezione consiste nell'educare gli allievi a sentire il ritmo. Si tratta di una necessità che chi affronta questo tipo di danze deve imporsi. Approfondirò il concetto con l'insegnante al termine della lezione, tuttavia, già dopo aver impostato il gruppo degli allievi, Bause lo lascia per venire a spiegarmi che il brano che accompagna la danza è costituito di tre ritmi diversi, affidati ad altrettanti strumenti, il terzo dei quali si avverte più in profondità: si tratta di una sorta di voce che commenta e che produce un ritmo in tre tempi che Bause vuole imporre all'attenzione degli allievi. "Devono semplicemente camminare, ‑ mi dice, ‑ ma quando sentono la voce occorre che facciano qualcosa: salti, movimenti delle braccia, piegamenti del busto; non importa che cosa. Anzi, è meglio che cambino spesso. L'importante è che le cose che fanno siano in tre tempi. È così che imparano a sentire il ritmo e a ballarlo con tutto il corpo."

La terza parte si incentra su una danza della tribù dei Lenje, costituita di vari passi che Bause, durante il corso, lezione dopo lezione, insegna agli allievi.

La quarta parte è dedicata ad una danza della tribù dei Tukulor.

L'incontro si conclude con esercizi di rilassamento: "Un po' di stretching, ‑ mi spiega Bause, ‑ è necessario dopo un'ora così intensa."

Lasciamo la sala per riprendere l'intervista, non prima, però, che l'insegnante si sia tolto (per indossare altri abiti) quel suggestivo scamiciato verde a concentriche figure geometriche bianche, che gli arriva al polpaccio coprendogli, fin lì, i pantaloni di tela arancione disegnata a motivi, ancora una volta, geometrici.

Siamo di nuovo seduti sul divano e Bause mi chiede: "Dove eravamo rimasti?"

Stavamo cercando di capire perché un negro e un bianco che ballano, a parità di bravura, proiettano lo spettatore in due dimensioni completamente diverse. Oppure, guarda, correggo il tiro della mia domanda: quando un allievo bianco affronta una danza africana, lo spettatore avverte che manca qualcosa. Che cosa?

Che cosa gli manca? Oppure che cosa ha in più: ha dei problemi! I vostri problemi consistono innanzitutto nel fatto che voi volete imparare tutto in fretta, invece non è così che si fa. Voi dovreste imparare ad ascoltare il ritmo, a sentirlo. È per questo che ho fatto ascoltare e ballare il brano con tre ritmi diversi. Una cosa, poi, che ho riscontrato, è che voi non sapete coordinare. Nelle nostre danze noi coordiniamo tutto: il collo, le braccia, il bacino, le gambe, i piedi. Tutto, insomma! Voi questo non lo fate. Avete ad esempio difficoltà a muovere il bacino o il collo. Devo dire una cosa, però, in vostro favore: che, parlando in senso generale, è più facile insegnare ad un bianco che ad un negro, perché il bianco apprende con minori difficoltà.

Forse è proprio questa capacità che lo spinge ad essere più superficiale e a ‑ come hai detto tu prima ‑ voler imparare tutto subito.

Può darsi. Vedi, quando il nostro corpo danza, ogni sua parte danza: mani, braccia, collo… anche i denti danzano! Voi, invece, non ascoltate la musica, ma guardate davanti a voi l'immagine che vi spinge a ballare.

Bause, che cosa ti stimola ad insegnare?

È l'amore per la danza che me lo fa fare!

Attraverso ciò che insegni, miri anche ad esprimere la tua personalità?

No. Io insegno perché amo la danza e quando ami una cosa sei spinto a farla, quella cosa.

Insegnare le vostre danze, oltre che appagare, diciamo, un bisogno d'amore, è anche un modo di raccontare la vostra cultura.

Sì, certo. Le nostre danze sono parole, messaggi. Ad esempio i nostri spettacoli si basano molto sulla mimica. Anche se noi non parliamo, voi ‑ guardandoci ‑ capite benissimo la situazione che stiamo proponendo. Non c'è bisogno di parole.

I Sinafrica si occupano anche di interculturalità.

Esatto. Quando è sorto il gruppo l'intento era quello di creare momenti di dialogo interculturale e percorsi di integrazione per gli stranieri presenti in Italia.

Ringrazio Bause per essersi intrattenuto con me. Mi dà la mano e si spalanca ad un sorriso che gli parte dagli occhi (espressivissimi: iridi così scure, che spiccano in mezzo alla candida cornea) per poi interessare la bocca aperta su denti bianchissimi; quei denti che, poco prima, ho visto "danzare", in una gioia quasi spiritata.

Durante la lezione il servizio fotografico è stato svolto da Alexandre Rodichevski. Il quale vedo, a intervista terminata e mentre mi appresto a riporre nella borsetta il mio quaderno d'appunti, trarre un pezzo di carta dalla tasca ed incominciare a scrivere. Dopo pochi minuti mi si avvicina e mi mostra il foglietto su cui ha scritto una poesia brevissima ispiratagli ‑ mentre girava per la sala scattando fotografie ‑ da Bause:

Danzano gli angoli della stanza

che trabocca corporee pulsazioni.

Mi ubriaco

d'un ritmo senza fine.

 

27 novembre 2004


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