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SPADOLINI  DANZATORE  D’ISTINTO

Tratto da “Danze popolari italiane”

di Anton Giulio Bragaglia

Edizioni Enal , 1950

  

Una delle 60 fotografie ritrovate dal prof. Marco Travaglini

Istituto d'Arte F. Fellini - Riccione nell'archivio Spadolini (Foto Piaz, 1932)

 

  Alberto Spadolini, italiano nato in un paesello delle Marche, danzatore “primitivista” di fama mondiale, è un fenomeno coreico singolare: specie di anello di congiunzione fra la danza primitiva e quella colta, fra i balli del paesano impazzito sotto il ritmo incalzante, e le danze che son di moda nei teatri parigini.

            Questo contadino pittore e ballerino, anima schietta, talento semplicemente naturale, guidato ognora dall’istinto, è propriamente il punto di mezzo fra la danza improvvisa e quella di scuola, essendo l’Arte fiorita spontaneamente in lui, da sorgente  naturale,  non  coltivata da studi.

La vittoria di  Spadolini  venne prodotta dal non  aver egli studiato il ballo e dall’aver danzato  come milioni di giovani cantano senza  apprendere la musica : come milioni di giovani ballano  senza  studiare la danza. Avendo egli un vario geniaccio, ha fatto  eccezione  e   ‘ numero ’.  In lui gridava naturalmente “l’anima della danza”.  Oggi i giornali francesi lo chiamano l’ anima della danza perché Spadolini resta un  danzatore  naturale,  fenomeno  essenziale  e  costituzionale della danza, non tanto espressione tecnica quanto sfogo liricamente selvaggio.

       Uscito dal mio “Teatro degli Indipendenti”,   dov’era anche scenografo, egli faceva il pittore a Montecarlo quando si rivelò lassù danzatore  barbaro.

       Oggi  la sua  danza  è  una  declamazione  a parole  chiare, ma a scatti senza freno. Ampio e sinfonico il suo racconto si agita compostamente armonico, fin nei salti acrobatici, che sono come la perorazione dell’oratoria sua. Padrone di mezzi potenti, addomesticati da un’arte che è semplicemente classe di italiano e frutto di civiltà connaturata, egli ha trionfato fuori delle scuole, come un fiore straordinario, come un paradosso plastico. Ha girato il mondo e lo viaggia ancora, da Parigi ove vive nei suoi ateliers a Montmartre lasciati in pace, davanti al secolare parco deserto d’un convento abitato da mille passeri.

      Danzatore istintivo egli in una esibizione davanti ad amici danzò selvaggiamente, esprimendo al di là dei canoni scolastici, che gli erano ignoti, un lirismo coreico sgorgante primitivo e prepotente, dal suo istinto di complesso artista plastico. Per fortuna quella volta, fu visto dall’impresario lirico del Casinò. Egli lo scritturò, come un fenomeno artistico, inserendolo nei suoi spettacoli.

Tutte le manifestazioni primitiviste, in quegli anni, venivano accolte col favore, ch’è andato crescendo fino alle attuali scuole pittoriche.

      Da quel tempo Alberto Spadolini ha sempre danzato, acquistando dal partner della indimenticabile Anna Pavlova le nozioni tecniche che gli erano necessarie, e delle quali oggi è padrone.

      Non si è tuttavia fatto soggiogare dall’accademismo che, tanto spesso, fa velo al grazioso genio dei russi. Egli è rimasto Spadolini marchigiano, forza di una natura artistica, già inconsapevole ed oggi compiaciuta di sé.

Alberto è arrivato alla espressione completa fuori delle strettoie grammaticali, per forza dell’onda lirica che gli fa proclamare frasi plastiche del più largo eloquio.

      L’Opera del Casinò lo fece debuttare a Parigi come un primitivo portato da isole remote. I ballerini accademici lo sfottevano e odiavano sperando, addirittura, che gli si spezzasse una gamba in quei suoi salti senza regola né tecnica. I colleghi gli bagnavano il palcoscenico per farlo cadere. Giacché Spadolini di botto era primo ballerino, mentr’essi stavano ancora a fare il tirocinio! Ma, come ogni fenomeno straordinario Spadolini era nato ballerino mondiale, e lo divenne, di fatto, in pochi anni.

      Non provenendo il suo ballo dalle accademie, ma dai semplici paesi delle Marche, Spadolini ha inventato la propria tecnica, arrivando fino alla acrobatica. Ha, cioè, inventato la danza. Quando, in seguito, prese lezioni da Volinin, il compagno di Anna Pavlova, egli danzava già da due o tre anni e possedeva come per miracolo, la qualità dei ballerini volanti, cioè il dono di Maria Taglioni: poter restare quasi sospeso nello spazio.

      Alberto è una persona seria, che conduce le cose in fondo e che è passato, come la salamandra, sul fuoco della leggenda, a traverso il corrotto mondo del teatro. Vive frugalmente pur avendo mezzi. Ama fare il contadino nella sua fattoria a duecento chilometri da Parigi.  E’ un uomo sorretto dai segreti: primo, il più profondo, la follia impulsiva dell’estro conservato nella base della sua tranquillità, l’altro il misticismo, dove trova un’attività per se ed una sua essenza spirituale come una reazione al lavoro esterno che compie da danzatore, a volte superficialmente perché decorativista, o stilizzato, per la maniera “che era di moda nel periodo in cui fiorì”.

      Un suo cavallo di battaglia è il Bolero di Ravel; e l’Autore, al Festival dato da Spadolini al Palais de Chaillot, riconosceva che “la sua coreografia è in armonia con la partitura della musica”.

      Ha danzato seimila volte il Bolero del quale Ravel gli dette l’esclusiva. In segno di gratitudine Spadolini lo inserisce in ogni suo programma. La scena del film americano col danzatore che balla il Bolero sul gigantesco tamburo, è una imitazione di questa danza di Spadolini.

      Il grande e difficile critico André Levinson scriveva: “I suoi atteggiamenti, ed i gesti, sono armoniosi, duttili, sapendo attingere ad una eloquente nobiltà. C’è una bella parte di acrobazia nella sua tecnica, scuola cara ai grandi maestri italiani dell’Ottocento, e questo interessa e seduce”.

      Chi pensasse che Spadolini, per essere un autodidatta, non abbia le carte in regola col ministero di Tersicore, letta l’approvazione di Levinson – che chiamò me “eresiarca della danza” – può dormire tranquillo.

“Un poeta doppiato da un atleta”  nel suo “soffio impetuoso” lo conferma Maurice Rostand. La sua leggerezza ginnica è quella di Nijnsky ereditata da Serge Lifar.

“Non è che ondeggiamenti, slanci, voli e cadute armoniose” secondo Pierre Varenne, dimentico che questi caratteri sono la vera arte munita di mezzi fisici. La danza come aspirazione al volo venne esaltata dai futuristi e fu conquista dalla espressione lirica più assoluta dell’arte: l’aerodanza.

      Notò Fernand Divoire, critico orchestrico elegante e famoso, che Spadolini appartiene, come libertà coreica, a quella danza che Lifar diceva espressionista, sebbene con questa parola si sia voluto, per un certo tempo, significare genericamente quello che sfuggiva al tradizionalismo.

      La varietà a cui è obbligato chi dà concerti da solo, composti di 20 danze, ha indotto Alberto Spadolini alla scelta più varia di soggetti e di musiche. Egli, con spirito libero, cioè primitivo, va da una danza india ad una spagnola, dal minuetto di Lulli a una fantasia sulla Traviata, da una czarda classica, a una creazione romantica, da Beethoven ai negri.

      Il jazz lo ispira ad esaltazioni ritmiche sviluppate verso l’epico, in una conquista originale riconosciutagli dalla critica unanime.  Qui trionfa il fisico. La sua bellezza statuaria l’ha fatto chiamare dagli inglesi “magnifico animale”, dai francesi “arcangelo trionfante” , “Discobolo”, “bello come un Dio”.

L’ultimo giornale inglese, che pubblicava una serie di sue fotografie volanti, l’ha chiamato “Apollo danzante”.

      Spadolini, secondo Max Jacob, “concretizza la visione del poeta”.  Il grande direttore dell’Oeuvre Lugne Poe, a suo tempo affermava che “Spadolini sopravanza il nostro secolo”.  Cécile Sorel lo adora, come “aristocratico della danza” per dire, forse, che egli conferisce uno stile classico proprio al suo perfetto fisico, in ogni genere di danza.

      Egli non fa la vera danza spagnola o quella ungherese; non si rende schiavo delle regole folkloristiche o del manierismo dei balli di carattere, rifatti fuori dalla loro terra originaria. Intelligentemente, egli interpreta lo spirito della musica di De Falla, non scimmiotta i gesti e le figure e il taccheggiare del zapateado andaluso. Egli non potrebbe imitare o rifare, giacchè la sua propulsione è la sincerità spirituale: la sua molla è l’istinto nativo.

      La fierezza, l’audacia, la sicurezza caratterizzano l’intrepido marchigiano senz’ombra di spavalderia: perché il suo volto melanconico presto si piega a raccoglimento umile ed umano. Spadolini spegne l’ardenza nel misticismo, mortifica la carne nell’ascesi, alterna la visione dell’animale ammirevole a quella dello spirito riflessivo e religioso. Forse la chiave della fortuna di Spadolini presso il pubblico è il suo duplice aspetto, pagano e cristiano. L’intensità dei suoi atteggiamenti e slanci materiali è animata da un sottostante spirituale. L’erotismo ossessivo del suo Bolero è il peccato che il danzatore espierà nel misticismo di altre sue composizioni. Eppure questo erotismo è casto. Il nudo di Spadolini è statuario, puramente plastico: il suo impeto è temperamento scevro da sottintesi banali.

      Danza da maschio e non da femello come tanti suoi colleghi; e la sua acrobatica, nella estrema aspirazione del volo, è diversa da quella che conosciamo dei russi, appunto perché è virile. Senza che egli lo sappia l’aerodanza futurista è stata la sua scuola, come la cubistica greca.

      Mentre egli danza il suo viso diventa furioso come posseduto da un demone, ch’egli teme; e lo si vede dai passaggi mimici che esprimono, appunto, il terrore della propria furia.

      E’ un fedele, umile, entusiasta esecutore di pezzi musicali scelti. E’ un melomane: egli vuole incarnare la musica, cioè servirla, né intende variarla menomamente.  E’ il contrario di un improvvisatore pure essendo tanto italiano e pure essendo nato improvvisando.

      Paul Valery ha definito Spadolini “mistico, mitologico e faunesco”.  Egli è queste cose alternamente. Prima di uscire in scena “le danseur”, si toglie lo scapolare del terziario francescano; e non è una posa dannunziana la sua: egli è sincero. Modesto e schivo di confidenze sotto questo argomento, nella vita si compiace di essere trascurabile e uno qualunque: il contadino delle Marche nato artista.

      Quando Spadolini parte in volo il suo viso si abbuia e gli occhi gli si accendono di febbre: così egli inizia la sua confessione fisica e spirituale. Una volta illustrò col ballo, una conferenza di Maurice Rostand: il poeta parlava e lui mimava: tutto istinto scrisse egli stesso “il mio corpo esprime armonie, cioè idee e sentimenti plastici”. E giustamente spiegava Fernand Divoire che  “la coreografia di Spadolini è ispirata dalla verità psicologica”. Possiamo infatti definirlo “l’uomo che danza la propria dignità umana”, con animo virile il cuore delle cose, la bellezza dell’universo creato da Dio:   contadino che canta la vita del creato con tutto il proprio corpo nello spazio e nel tempo. Mistico, la sua danza è panteista; ecco dove, pure, non ha tradito la propria origine popolare che è l’origine primordiale della danza.

Anton Giulio Bragaglia

Giugno 2006


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