L'annuncio preoccupante, apparso oggi su balletto.net, è l'amara
conseguenza di una situazione di crisi ormai insostenibile nelle nostre
fondazioni liriche. Una morte annunciata: l’inizio ovvero la continuazione
dello smantellamento delle Compagnie di danza nei Teatri lirici italiani.
Il
Decreto legislativo 29 giugno 1996, n.367 che ha trasformato gli ex enti
lirici, un tempo regolati dalla legge 800/1967, in Fondazioni private era
nato con l’intento di privatizzare gli ex enti, di semplificarne il
sistema organizzativo, di risolvere i problemi legati al personale, di
dare maggiore autonomia burocratica e politica rispetto all’apparato
pubblico attraverso una maggiore partecipazione finanziaria di soggetti
privati, uno snellimento degli organi e una gestione attuata secondo i
moduli operativi di un’impresa.
Le
buone intenzioni si sono trasformate invece in un’arma a doppio taglio.
Musicisti, coristi, danzatori, maestri collaboratori, tecnici e artigiani
specializzati nello spettacolo teatrale, che avevano nel passato
combattuto per ottenere pari diritti rispetto agli altri lavoratori
italiani, compresa la conquista della stabilità, oggi si trovano sull’orlo
della precarietà e della perdita del posto di lavoro. A poco a poco si è
svilita la finalità principale delle Fondazioni liriche, e cioè la
diffusione dell’arte musicale nella collettività, tant’è che anche nei
loro consigli di amministrazione, nella maggior parte dei casi, non
esistono più figure di musicisti o di esperti del campo bensì siedono
figure di sottogoverno politico e finanziario, molte delle quali
portatrici di propri interessi o del proprio partito come se
l’istituzione lirico/musicale sia “cosa” personale e non appartenente alla
collettività.
Il
lento ma costante disimpegno dello Stato in termini di risorse finanziarie
dedicate allo spettacolo, la preoccupante situazione della Scala di
Milano, divenuta ormai terreno fertile per guerre politiche e di potere,
ed il recente, non condivisibile, emendamento presentato dal Sen. Asciutti
mostrano chiaramente quanto sia esplosivo il momento.
La
realtà è che oggi quasi tutte le fondazioni liriche sono in deficit e che
c’è adesso una corsa inarrestabile per cercare di evitarne il tracollo
definitivo attraverso impopolari decisioni che soprattutto pesano sui
lavoratori.
Purtroppo, in questi casi, come sempre, sono i più deboli ad essere i
primi a pagare e la categoria dei ballerini mai è stata considerata in un
teatro alla stessa stregua delle altre masse artistiche.
A
Firenze, la decisione di "esternizzare" il Corpo di ballo è stata
ritenuta, dunque, una delle principali medicine per cercare di guarire il
malato. E’ facile dire che in un teatro lirico si può mettere in scena
un’opera tranquillamente senza il ballo ma non è possibile in mancanza di
coro e orchestra. D’altronde gli spettacoli di danza, che pur fanno parte
degli scopi istituzionali di ogni Fondazione lirica, possono essere
benissimo essere messi in scena da compagnie esterne. La situazione di
Firenze diventa dunque dirompente ed indicativa di quanto potrebbe
accadere a breve anche in altre città. Sappiamo benissimo infatti che
scorporare dalle masse artistiche di un teatro il Corpo ballo e
ricostituirlo come compagnia autonoma ed indipendente ne anticipa
inesorabilmente, stante la situazione attuale della danza italiana, la
chiusura definitiva in quanto la sopravvivenza sarà legata da quel momento
in poi alle risorse finanziarie necessarie per continuare ad operare ed
agli impegni di balletto che l’ex Fondazione "madre" vorrà programmare,
non tenendo conto, però, coloro che prendono tali decisioni che il
sostentamento economico della neonata compagnia dipenderà anche
dall’entità del finanziamento che la stessa sarà costretta a dividersi
con le altre compagnie esistenti nel territorio nazionale estrapolandola
dal riparto danza del Fondo Unico per lo Spettacolo che, come è noto,
destina a tale categoria appena il 2,4% del totale.
Premetto che sono assolutamente solidale con il Corpo di Ballo di Firenze
e che trovo delittuoso e vergognoso fare una graduatoria di merito degli
artisti che lavorano in un Teatro solo perché non si riconosce alla danza
la stessa dignità della lirica, ma vorrei tentare nell’emergenza del
momento di riflettere se è il caso a questo punto di cercare di
europeizzare le Compagnie di danza ancora esistenti nelle nostre
Fondazioni liriche. Le compagnie di danza dei principali Teatri europei
(Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Amsterdam, Copenaghen e così via)
posseggono, infatti, una propria fisionomia giuridica, un proprio budget,
un proprio staff, un proprio bilancio, una propria programmazione pur
rimanendo strettamente legate al Teatro delle loro città. In questo
marasma generale, solo una soluzione come quella adottata dalle principali
capitali europee potrebbe ridare dignità alle Compagnie di danza dei
teatri italiani e per far ciò lo Stato dovrebbe responsabilizzare le
Regioni ed i Comuni, dove hanno sede le Fondazioni liriche, per
incentivare in ciascuna di queste l’istituzione di una Compagnia di Danza,
finanziata con fondi regionali e comunali oltre che, in parte, statali,
che possa rappresentare la Regione in campo nazionale e internazionale ed
alla quale, nello stesso tempo, proprio in quanto legata al Teatro di
provenienza, sia consentito di continuare a conservare i diritti
preesistenti come, ad esempio, l’utilizzo dei locali e del teatro
occorrenti per la propria attività, la qualificazione di primaria
compagnia del Teatro della Città e, pertanto, di avere assicurata la
propria produzione nell’ambito delle manifestazioni programmate dalla
Fondazione lirica, avvalendosi altresì di forme compartecipative come
l’utilizzo o la realizzazione degli allestimenti scenici e di
collaborazioni in termini di risorse umane (orchestra, tecnici etc.).
Perché possano aumentare gli spettacoli di danza presso le Fondazioni
liriche torno, comunque, a proporre quanto da me scritto nel mio articolo
su questo sito
“Perché la danza non muoia nelle fondazioni
liriche italiane”, nel quale segnalavo la necessità
e l’urgenza che lo Stato scrivesse nuove regole per lo sviluppo della
danza nei teatri, tra le quali quella dell’obbligo per le Fondazioni
liriche di destinare una percentuale del 25% alle produzioni di balletto
(non più del 5% per compagnie ospiti) nel programma generale annuale.
L’aumento delle produzioni di balletto, oltre che ad allargare la
fruizione dei teatri storici ad nuovo pubblico composto soprattutto da
giovani, apporterebbe nuova linfa e vitalità al settore, insieme al
riconoscimento di pari valore, dignità e validità al lavoro di una
categoria ingiustamente sottostimata e giusto merito e prestigio ad
un’arte tanto sacrificata in questi ultimi anni.
Una
privatizzazione sostenuta da certezza di finanziamento e garantita dalla
non dispersione delle professionalità esistenti potrebbe anche essere
motivo di crescita e di riscatto. Dalla negatività del momento occorre
perciò trarre la forza per cogliere i lati positivi e combattere perchè
se ne possa uscire vincitori. La danza non deve più sentirsi suddita,
inserita in un contesto che non la ama, non deve più elemosinare per
mostrarsi. La danza deve conquistare una propria autonomia non solo
artistica ma anche decisionale, organizzativa ed operativa. La danza deve
e può camminare con i propri piedi ed affrancarsi così dal ghetto
dell’appartenenza forzata. Può dimostrare di essere arte con la A
maiuscola e di grande traino per i giovani, solo se ha il coraggio di
distaccarsi dettando patti e condizioni che le diano sicurezza e certezza
per l’avvenire. Su dodici fondazioni liriche nazionali solo sei ancora
mantengono un Corpo di ballo. Un progetto comune, condiviso e portato
avanti dalla forza dei circa seicento addetti (tra direttori, ballerini,
maestri, assistenti etc.) di queste sei compagnie di danza superstiti che
rappresentano alcune delle nostre principali città (Milano, Verona,
Firenze, Roma, Napoli e Palermo), può scrivere una nuova pagina per la
crescita, per la rivincita e per l’affermazione definitiva della danza nel
contesto dello spettacolo e dell’arte nazionale.
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