Guido Falgares: sommelier relatore A.I.S. Sicilia

TAVOLA ROTONDA : Le vie del Moscato in Sicilia, luci, ombre, prospettive.  

La Sicilia ha un patrimonio di vitigni autoctoni straordinariamente ricco, ma ancora non del tutto esplorato.                                                                                                                         Il vitigno Moscato, ci dà un vino dall’aroma delicato e fine e dal sapore vellutato, dolce, carezzevole, generoso. Un vino che per qualità e prestigio dovrebbe idealmente rappresentare l'intera Europa vinicola………….                                                                     Dopo tanto indecoroso anonimato, i produttori migliori tra gli “storici” e un pugno di nuove leve entusiaste si sono finalmente posto il problema di trovare e consolidare per questo grande vino un’identità e una personalità ancora più spiccate. Le cantine dovranno proporre  la qualità e il valore del migliore Moscato: puntare in assoluto al top della qualità senza compromessi. Toccherà a loro il ruolo di difensori di un modello di vino unico, espressione di territori piccoli ma che muovono un’economia contadina preziosa.

I giovani “vigneron” e gli storici dovranno immettere  idee, innovazione produttiva, gusto moderno, confronto. Bisognerà valorizzare, al massimo, il territorio che si considera quasi “ostaggio” della monocoltura moscato. Una volta compreso che il terroir può dare grande ricchezza  ai grappoli, purchè lo si voglia davvero e non solo nel momento della ricerca di nuove e più internazionali interpretazioni del vino, ma anche in quello del recupero intelligente di una tradizione vitivinicola  tutt’altro che spenta e soprattutto il recupero dei viticoltori e delle vecchie vigne che hanno dato luce ,qualità ed immagine al territorio.

Dai 5.000 ha vitati di ieri si è passato agli 800 ha di oggi e questo perché i più giovani hanno abbandonato le vigne e non sarà facile riportarli: un turismo alberghiero di pochi mesi si è rivelato più remunerativo di un lavoro che, invece, richiede una applicazione assidua per tutto l’anno. Parallelamente ai colossi industriali che hanno fatto del “Passito ” il loro grimaldello per scardinare i mercati internazionali, i piccoli produttori dovranno investire i loro risparmi, ammodernare le cantine e riassettare i vigneti, incalzando, quindi, la qualità con vini ricchi e fragranti, frutto di un lavoro assiduo, di un’impeccabile tecnica enologica e di una felice interpretazione delle annate.

Il salto di qualità dovrà essere collettivo, (abbandonare i vecchi stereotipi, rincorrere una filosofia produttiva più moderna, che porti) e deve portare ad un vino di maggiore freschezza olfattiva e gustativa, senza però intaccare i caratteri fondamentali di dolcezza e di sostanza del vitigno: Equilibrio  e non più stucchevolezza.

Ma attenzione: manca di senso storico chi pensa di dirigere le proprie energie economiche e professionali verso un prodotto che “va”, ne sfrutta il momento fortunato, ma non lo sente come chi dovrebbe essere custode del territorio. Dépliant strepitosi, arredamento di cantine all’ultima moda, prezzi immediatamente esorbitanti…. non sono sufficienti.                I produttori dovranno guardarsi, parlarsi, confrontarsi, mettere a disposizione l’uno all’altro quel bagaglio di tradizione storica, culturale e tecnologica che è un patrimonio di tutti.

Non basta una consulenza scientifica di grido spesso utilizzata più come strumento di marketing che per ottenere risultati tangibili, per convincere critica e consumatori che si è fatto subito di più e meglio di ciò che la storia è riuscita faticosamente ad insegnare. Vi sono le prevedibili e fortuite eccezioni. Ma, spesso, dai discorsi ascoltati e dai gesti osservati emerge una sorta di obbligo commerciale: “si fa così perché la gente vuole questo”.

Ci siamo chiesti da dove arrivi questa forte convinzione e siamo arrivati ad una ipotesi. Le aziende hanno colto subito un successo portando a casa un vino moderno, ben fatto, con un protocollo innovativo. ll punto dolente  arriva nel momento in cui queste realtà produttive devono fare il salto di qualità e non riescono, perché sono prive dell’appartenenza che dovrebbe distinguerle. E allora ci si chiede se c’è un calo qualitativo nella cantina, se è cambiato l’enologo, oppure se è cambiato il rigore nel vigneto.                                                La risposta è più semplice: l’errore è aver subito pensato che una bottiglia riuscita potesse rappresentare una vera emancipazione, una crescita completa. Si possono indovinare ottime bottiglie , ma un grande moscato lo si ottiene da un costante ascolto del territorio, da una applicazione assidua che non prevede pause e che comprende la naturale, salutare, irregolarità di ogni annata.

Alla domanda se esista una reale distinzione tra Doc e Igt e se siano riconosciuti e percepiti dal consumatore, il Prof. Donato Lanati ha risposto: “Nel mercato globale i nostri vini hanno un prezzo superiore a quelli del Nuovo Mondo. Il nostro valore aggiunto sarà riconosciuto e pagato dal consumatore solo se gli comunicheremo e gli insegneremo che Doc e ancora di più Docg significa un vino storicamente prodotto in un determinato territorio ed entrato a far parte della tradizione di quella società contadina. (Occorre dare maggiore importanza e credibilità alle Doc; gli altri paesi produttori ci contestano che le nostre Doc nella realtà sono ben poco controllate. Le Doc sono nate circa quarant’anni fa per mettere ordine nel settore e per dare dignità al vino italiano applicando norme precise nei diversi passaggi della produzione). Oggi dovrebbero essere riviste, hanno bisogno di una filosofia più elastica, ma nel contempo dovremmo accettare controlli più seri, non solo cartacei, per utilizzare le Doc come forte strumento di comunicazione e di credibilità” (cfr. D. Lanati 2005)

Il territorio dobbiamo, allora, intenderlo  quale “insieme di elementi che connotano il contesto di vita della comunità di appartenenza”. La bottiglia di “Passito” sarà una “cartolina liquida” di promozione territoriale. “Vigneti e cantine” dei luoghi capaci di accogliere e fare comunicazione. Le risorse enologiche intese come parte integrante dei “beni culturali” Un progetto di “enoturismo” che dovrà coinvolgere diverse strutture (allo stato attuale esiste già un progetto avanzato della Regione Siciliana:

L’Assessorato all’ Agricoltura della Regione Siciliana dovrà valutare le potenzialità commerciali, analizzare la risposta agronomica ed enologica, ottenere cloni omologati, offrire ai vivaisti materiale di propagazione ancora più   selezionato.                  L’Assessorato ai Beni Culturali: il recupero del patrimonio storico, culturale ed anche emotivo che è parte integrante del territorio.                                                                 L’Assessorato ai Trasporti dovrà  garantire le infrastrutture necessarie: il sig. Sindaco di Pantelleria commenterà positivamente….                                                                L’Assessorato al Territorio e all’Ambiente: la difesa dei suoli.                                        L’Assessorato al Turismo, con le sue capacità promozionali, attraverserà trasversalmente questo progetto.                                                                                                                       L ’Istituto Regionale della vite e del vino, le Province, i Comuni.dovranno tutti collaborare   Ma le Istituzioni non sono delle entità astratte, ma un insieme di individui che, che in accordo fra loro, dovranno ascoltare ed essere capaci di trasmettere ai viticoltori, ai produttori le certezze necessarie: l’incertezza, infatti  è causa di conflittualità. Certamente non possiamo disconoscere che allo stato attuale ci siano ancora delle ombre.

Sembra di assistere a quel classico gioco utilizzato dagli psicologi, nel quale i protagonisti di due gruppi si trovano prigionieri di un apparente dilemma, cooperare e salvarsi (l’unica strada possibile) oppure competere ma morire, prediligendo quasi sempre la seconda strada, quella che conduce all’interdipendenza negativa, quella del vita mea mors tua. Dimenticando, si fa per dire, che quando si costruisce un prodotto, l’obiettivo non è solo puntare alla qualità e, dunque al contenuto, nel tentativo di accaparrarsi meriti. L’obiettivo è anche puntare alla creazione di quello che viene chiamato gruppo di lavoro.                        Il quale dovrà avere in mente un progetto, un laboratorio dove si giocherà la sfida del futuro: investire in qualità                                                                                                           1°) qualità del vino                                                                                                                   2°) qualità del marketing, che nel nostro caso significa competenza a vendere il prodotto, competenza a captare la sensibilità del consumatore, (seducendolo senza manipolarlo, convincerlo senza il ricorso ad ambigui meccanismi persuasivi)                                          3°) qualità dei servizi turistici                                                                                                4°) qualità della esperienza turistica

E allora, per la tutela di un prodotto-territorio,  il gruppo di lavoro e cioè le istituzioni, i cittadini, i viticoltori, i produttori,  dovranno studiare insieme (attraverso una conferenza di servizi, un tavolo tecnico, un tavolo di regia e noi A.I.S.  Sicilia, super partes, ci vorremmo essere) un percorso di qualità  che avrà, come stella polare, il sentimento di appartenenza. E proprio per questo sarà necessario che ognuno di noi faccia un piccolo, o grande che sia, passo indietro. Senza la preoccupazione  che, un atto di così grande intelligenza, cultura, coraggio e civiltà, venga, (da un non appartenente), considerato un cedimento. Le nostre  Istituzioni, gli attuali dirigenti, si stanno dimostrando molto attenti a queste problematiche e alla loro risoluzione.                                                                                     “Ciò che non deve venir meno è la costanza e la convinzione di potere concretizzare questi progetti strategici” (cfr. D. Lanati 2005).

  Guido Falgares