Incontro con Angelo Gaja, il signore del Vino.                                        di Luigi Salvo

L’opportunità di rincontrare Angelo Gaja, uomo simbolo dell’enologia italiana, mi è data dalla terza edizione di “Viaggio in Sicilia”, la mostra itinerante per l’Arte ed il Territorio ideata dall’azienda Planeta. Allo Spasimo di Palermo il produttore piemontese è stato presente per le sue “Riflessioni sul mondo del vino” e per il tasting dei vini di Gaja distribuzione e Planeta.

Angelo Gaja 67 anni, è titolare della storica azienda, quattro generazioni si sono succedute dal 1859, anno di fondazione della casa vinicola, che si è sempre distinta per la qualità dei suoi vini. Istrionico, geniale, profondo conoscitore dell’universo vino in tutti i suoi aspetti, Angelo Gaja, con gran semplicità nel corso della sua conferenza, è andato a ruota libera toccando vari temi. Ha affermato, che il suo inspiratore è stato il padre Giovanni Gaja, geometra, orgoglioso del suo titolo, uomo legato alla sua terra, ma nel contempo profondo innovatore, infatti, già nel 1937 creò l’etichetta Gaja, con il nome dell’azienda alto ben 3 cm e con il nome del vino decisamente più piccolo, una strategia che voleva valorizzare la qualità legata al nome del produttore piuttosto che alla tipologia del vino, forse il primo esempio di marketing legato al vino. Nel 1961 l’azienda Gaja aveva 21 ettari vitati ed Angelo poco più che ventenne, entrò in azienda. “A quel tempo”, con coraggio afferma, “le bottiglie di Barolo novanta su cento, non avevano in bottiglia ciò che era scritto in etichetta”. Apprese dal padre, che il Barolo Gaja era di gran lunga il più caro, perché la qualità in bottiglia c’era tutta. “L’azienda Gaja ha 100 ettari da diciotto anni, non abbiamo mai avuto la pretesa di crescere nei numeri, produciamo sempre 300.000 bottiglie, e la nostra filosofia non ha mai previsto l’acquisto d’uve o di vino”. Nel suo percorso d’imprenditore, spiega, "alcuni amici sono stati d’insegnamento e gran supporto, tra questi, Renato Ratti e Giacomo Bologna". Singolare il racconto di come Giacomo Bologna, produttore astigiano, lo difese a spada tratta, dalle critiche degli altri produttori, per una sua curiosa innovazione allo scopo di preservare il vino più a lungo in bottiglia. Tanti anni fa, decise infatti, di utilizzare per il Sorì Tildin, tappi molto lunghi, da 63 mm, il che comportò enormi spese, un nuovo tappatore ed il ridisegnamento del collo della bottiglia. A chi sollevava obbiezioni sul suo operato, rispondeva in maniera ironica,  “ non criticate, sapete perché Angelo utilizza tappi più lunghi? Per mettere 2 cm di Sorì Tildin in meno ad ogni bottiglia, sapete che risparmio !!!!!” Proseguendo, Gaja ricorda il 1986, il periodo buio dello scandalo del Metanolo, “i fiumi diventarono rossi, dice, per quanto vino fu gettato notte tempo nelle fogne, per fortuna, questo triste momento, innescò successivamente una corrente virtuosa di rinnovamento ed evoluzione della produzione vinicola” Il suo amore principe è il vitigno Nebbiolo, ed è interessante il paragone che espone tra l'internazionale Cabernet Sauvignon e l'autoctono Nebbiolo, “ per poter spiegare agli americani la differenza sostanziale tra questi due vitigni, dovetti trovare un paragone calzante, il Cabernet Sauvignon sta a John Wayne come il Nebbiolo a Marcello Mastroianni. Il Cabernet ha forza dominante, occupa il centro del palato, è dominante nel comportamento, proprio come John Wayne. Dal fascino straordinario, viene verso di te, si mostra, si fa leggere come un libro aperto. Cosa diversa è il Nebbiolo, lui sta in un angolo, ci vuole volontà per poterlo capire, non ti accoglie con un gran sorriso, ma proprio come Marcello Mastroianni, ha grande eleganza, e con il suo comportamento, ha tanto da dire. Il Nebbiolo dà vini di difficile interpretazione, sua caratteristica è restare nel retrogusto e grazie ai tannini ed acidità riesce a pulire perfettamente la bocca durante il pasto”. 

Alla fine della conferenza si è svolto il tasting di interessanti vini, tra i quali  Gaja Chardonnay Gaia e Rey 1985, Gaja Langhe Sperss 1999, Cà Marcanda Magari 2000, Chardonnay Corton Vergennes Grand Cru 1996 Louis Jadot,  Chablis 2005 Domaine William Fevre, ed altri, insieme a tutta la gamma Planeta, ed ho potuto intrattenermi con questo sanguigno, ma estremamente saggio uomo piemontese.

Dottor Gaja, una frase che mi ha colpito nel suo racconto e che lei si definito un imprenditore artigiano del vino ?                                                   Si, io amo definirmi un artigiano del vino, che, pur conoscendo la viticoltura, perché l’ho prima studiata e poi vissuta profondamente, i processi di vinificazione, perché mi sono diplomato alla scuola enologica d’Alba, l’economia aziendale essendomi laureato in Economia e Commercio all’Università di Torino, riesce a trovare per ogni ramo importante del suo progetto, un esperto che lo collabori, nella realizzazione di ciò che desidera. Ho sempre cercato grandi collaboratori, primo fra tutti l’enologo Guido Rivella che lavora con me a  Barbaresco dal 1970, poi l’incontro con l’architetto Bo, uomo straordinario.

Lei sostiene che oggi si abusa del termine vino espressione del territorio?                                                                                                                                 Si, perché il vino in realtà dovrebbe sempre essere vera espressione del produttore, del suo impegno, terra, capitale, lavoro, oltre che del territorio di produzione. I piccoli produttori dovrebbero essere messi in condizione di esprimere maggiormente le loro potenzialità, la politica dovrebbe ridurre drasticamente la burocrazia che grava sulle aziende. Inoltre il denaro pubblico indirizzato al mondo del vino, è finito spesso in mano a cattivi imprenditori, alterando la crescita dei produttori più attenti e più preparati.

Cosa pensa del momento del vino siciliano?                                                       In Sicilia il trend di crescita è davvero ottimo, ma i produttori devono consolidare e mantenere nel tempo, oltre che la qualità dei prodotti, gli spazzi di mercato, è un impegno gravoso, in un momento nel quale non crescono i consumi.

Perché avviene sempre più la riduzione del consumo del vino ?           I dati sul consumo del vino sono in calo è vero, ma la realtà e che prima si beveva davvero troppo e male, fino a trenta anni fa, uomini che svolgevano mansioni faticose riuscivano a consumare fino a sette litri di vino al giorno. Oggi lo stile di vita alimentare è profondamente cambiato, la ricerca della qualità ha fisiologicamente ridotto i consumi.

Oggi da più parte si solleva il problema della crescita dei prezzi del vino, come si attribuisce un prezzo ad una bottiglia di grande vino?                                                                                                                                           Diversi sono i parametri, primo fra tutti, il punto d’incontro tra la domanda e l’offerta, che riguardi una bottiglia, il cui percorso produttivo curato in tutti i suoi aspetti, sia assolutamente unico. Una produzione fatta di sacrificio, ricerca, impegno. Spesso, a raccoglie i frutti di un lungo lavoro è la generazione successiva, a quella che ha avviato il percorso, tanto è la dedizione che ci vuole per potere ottenere il giusto mercato, la storia aziendale, la rarità del prodotto. Quando io sono arrivato in azienda nel 1961, producevamo 60.000 bottiglie di gran vino, mio padre era leader in Italia, in fatto di qualità.

Quando è avvenuta la scelta della Toscana, per ampliare la sua produzione ?                                                                                                                         Era il 1994, ed anziché ingrandire la nostra realtà a Barbaresco, siamo venuti a Montalcino, a Pieve S. Restituita, e nel 1996 a Cà Marcanda, un territorio entusiasmante, oggi la produzione in Toscana si attesta intorno a 350.000 bottiglie suddivise nelle tipologie Promis, Magari e Camarcanda.

Incontrarla è stato per me un grande piacere.

Luigi Salvo

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