Produrre bianchi tipici, un utopia da sostenere                                  di Luigi Salvo  

Tanti sommeliers, a volte si sentono rivolgere una precisa richiesta dal cliente di turno, “mi dà un bianco tipico della zona ?”  Il pensiero del malcapitato è quasi sempre lo stesso “cosa gli dò  non è così facile !!!” Le degustazioni finali della Guida dei Vini Buoni d’Italia 2008 del Touring Club, mi hanno portato a testare il meglio dei vini bianchi del territorio nazionale, ed hanno ancora più rafforzato il concetto che le bottiglie di vini bianchi tipici sono in realtà,  le uniche a donare sensazioni gustative di gran livello, sono sempre particolari ed entusiasmanti, ma sempre più difficili da individuare, e sapete il perchè ? Perchè alcune doti, ovvero il concetto di territorialità ed unicità del prodotto, l’evidente legame del vitigno con il suo luogo d’origine e la particolare espressione gustativa che in quel luogo può esprimere, per taluni vini, possono essere spesso da ostacolo ad una diffusione su larga scala, non sposando a pieno le migliori strategie di vendita. Certamente è più facile, dal punto di vista commerciale, generare vini che ricalchino il gusto internazionale del mercato, ossia bianchi sempre più secchi, paglierini scarichi, freschi, da commercializzare a pochi mesi dalla vendemmia.

Per fortuna questa tendenza che per anni è stata la regola fissa, adesso è messa in discussione da numerosi produttori, che mettono in cantiere vini che li rappresentino e rappresentino il luogo dal quale provengono. Malgrado ciò, è sempre più difficile per un vino bianco trovare degli estimatori presso il gran pubblico (tranne rari casi, vedi il cliente che cerca esplicitamente un bianco tipico) sia al ristorante sia presso la vendita, se non è, appunto, dell’ultima annata prodotta, se non ha le caratteristiche del gusto globale, se non è pronto a sostenere la competizione con i bianchi argentini, australiani, cileni, sudafricani, i quali riescono ad arrivare sul nostro mercato sei mesi prima dei bianchi italiani ed europei, perchè in quei luoghi le vendemmie iniziano con diversi mesi d’anticipo, nel periodo di Febbraio.

Le bottiglie di vini bianchi tipici, quelli che appunto mi entusiasmano, spesso soffrono la commercializzazione, ed in diverse zone d’Italia, non solo dove la vinificazione di qualità dei vini bianchi ha una storia relativamente recente, per seguire le regole e le tendenze del gusto, parecchi produttori hanno estirpato Albana, Arneis, Trebbiano, Cortese, Inzolia, Garganega e tante altre varietà autoctone per riconvertire i vigneti a varietà alloctone internazionali, o ancora peggio snaturano le caratteristiche di vitigni storici, con vinificazioni ipercorrette o con tagli “assassini”, che portano in bottiglia vini godibili, ma profondamente anonimi, figli della globalizzazione del gusto facile. S’imbottigliano sempre più vini bianchi fruttati e semplici da bere giovani molto freddi, da accostare al pesce, in realtà ai vini affinati in legno o abbastanza maturi, resta un grande innegabile fascino, ed è possibile sposarli al meglio, ad esempio, con preparazioni di pesce elaborate, carni bianche, sformati con formaggio e funghi, gorgonzola cremosi, paté di fegato d’oca.

A mio parere, autoctono o alloctono che sia, un bianco può esprimersi in modo del tutto particolare ed affascinate, e restare a lungo nella memoria olfattiva e gustativa, a patto che sia figlio ed espressione compiuta del territorio, coltivato e vinificato secondo la tradizione del luogo, creato per quello che di unico può dare nella sua zona di coltivazione. L’alternativa è bere prodotti con lo stampino, e ce ne sono in quantità.

Luigi Salvo  

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