Vino IGT Italia, no grazie                                                                      di Luigi Salvo     

Proprio perché da qualche anno, insieme con un amico laziale, soltanto per gioco, amicizia e divertimento, produco un vino composto per metà da uve siciliane e per metà laziali, che abbiamo scherzosamente definito ad “indicazione geografica molto tipica”, trovo assurdo che da più parti e con forza si ritorni a sostenere l’esigenza della nascita di un’Igt Italia, nella quale dovrebbero confluire vini prodotti con uve sia autoctone sia internazionali, provenienti dalle più lontane aree vinicole sparse nelle varie regioni italiche.
L’idea di legalizzare e disciplinare, ad esempio un vino Igt Italia Rosso costituito dall’unione di Nebbiolo, Cannonau e Sagrantino o da Cabernet di tre o quattro regioni a secondo dell’esigenza commerciale più che dalla fantasia dell’enologo di turno, mi sembra l’ennesima stoccata per far perdere ulteriore identità territoriale al vino

Non è certamente una giustificazione valida, il fatto che la Francia con la denominazione “Vignobles de France”, e la Spagna con “Viñedos de Espana”, hanno scelto il percorso del gran contenitore, che sarà forse utile ad aumentare le esportazioni, ma a mio modo di vedere non porta benefici alla qualità enologica e può essere causa di un ritorno d’immagine non del tutto positivo per tutti i vini di questi paesi. Chi continua a spingere verso la creazione dell’Igt Italia lo fa allo scopo di poter maggiormente competere con le produzioni di paesi emergenti, che continuano a conquistare fette di mercato nel mondo, ma nel contempo farebbe bene a preoccuparsi dell’intera credibilità enologica del nostro paese, l’interesse di tutelare i “vini industriali” non deve creare danno alle produzioni di qualità.

Sia le soluzioni che prevedono Igt da vitigni autoctoni o solo da vitigni alloctoni, sono discutibili. La prima dovrebbe essere un miscuglio d’uve diverse proveniente da qualsivoglia regione, ma solo alcune uve autoctone sono diffuse su tutto il territorio nazionale, la maggior parte sono soltanto presenti in alcune specifiche regioni ed in queste esprimono tutte le loro compiute caratteristiche con uno stretto legame con la zona d’elezione, quindi come dare un carattere nazionale ad un vino le cui uve sono proprie, come spesso avviene, addirittura di una sola provincia. La seconda soluzione, unica praticabile, sarebbe comunque estremamente riduttiva per il marchio Italia, ovvero un Igt da uve internazionali, creata per esprimere l’italianità del vino, diciamola tutta, sarebbe un vero e proprio falso.

Adesso si propone l’idea di un sapiente mix, qualunque uva di qualunque regione per creare un unico calderone Igt Italia, in grado di coniugare flessibilità produttiva, prezzo più competitivo e marketing immediato e connotabile. Non sono per nulla daccordo, credo che sarebbe decisamente meglio e più utile, ridurre le Igt regionali, magari ad una per regione, rendendole rappresentative di un territorio e del “Made in Italy del vino”, e portandole ad essere bandiera competitiva sui mercati mondiali con il logo regione-Italia, e non snaturando quindi, completamente il concetto d’origine del vino.

Luigi Salvo

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