Luce,
terra, sole e un mix di storia e leggenda”, il Marsala
di Guido Falgares
Vorrei iniziare con alcune note
storico-tecniche consapevole che queste sono
alla gran parte di voi assolutamente conosciute e per questo chiedo
scusa; quello che scriverò di seguito è rivolto a coloro che, per la
prima volta, grazie a questa occasione, hanno la possibilità di conoscere
il mondo del marsala.
La
versione più accreditata sulla nascita del Marsala come vino liquoroso è
incentrata sulla figura del commerciante inglese John Woodhouse il quale
nel 1773 approdò con la nave su cui viaggiava nel porto di Marsala.
Secondo la tradizione, durante la sosta lui ed il resto dell’equipaggio
ebbero modo di gustare il vino prodotto nella zona, che veniva invecchiato
in grandi botti di legno assumendo un gusto analogo ai vini spagnoli e
portoghesi molto diffusi in quel periodo in Inghilterra.
Il metodo di invecchiamento utilizzato dalla gente del luogo e denominato il
perpetuum, consisteva nel prelevare dalla botte una certa
quantità di vino e sostituirlo con un quantitativo uguale della nuova
produzione; ripetuto negli anni permetteva in modo naturale di mescolare e
conservare le caratteristiche delle varie annate.
Richiamati dalla buona eco commerciale del nuovo liquoroso, anni dopo
giunsero a Marsala altri inglesi intraprendenti: primo fra tutti, Benjamin
Ingham che in seguito lasciò la direzione aziendale al nipote Joseph
Whitaker.
Lo
ricorderemo sempre, anche per l'incommensurabile suo contributo in campo
archeologico: la scoperta dell'isola di Motya e il suo successivo
acquisto.
La Fondazione Whitaker, ancora oggi, veglia su quest'isola/scrigno che
potrebbe presto essere dichiarata "patrimonio mondiale dell'umanità"
La svolta "italiana" fu impressa nel 1832 da Vincenzo Florio,
originario di Bagnara Calabra.
Le 99 navi della Compagnia Florio trasportavano il marsala in tutto il
mondo, reggendo la concorrenza della flottiglia commerciale inglese.
Sbandieravano proprio l'Union Jack i bastimenti ormeggiati nel
porto di Marsala che dissuasero i Borboni dal cannoneggiare le camicie
rosse di Giuseppe Garibaldi e dei suoi Mille che sbarcarono l'undici
maggio 1860.
Tanti i nomi che, ancora oggi, si incontrano negli "annali" del
Marsala.
La notorietà del Marsala e la sua diffusione ebbero ben presto dimensioni
notevoli.
Primo tra i vini d'Italia - in ordine di tempo - a vedersi riconosciuta,
con una normativa che poi sarebbe stata chiamata
Doc (D.M. 15 ottobre 1931, sottoscritto dai ministri Acerbo e
Bottai), la "Delimitazione del territorio di produzione del vino
tipico di Marsala").
(Ma
nel dopoguerra, a motivo di una legislazione dissennata, la sua immagine
è stata distorta e confusa con altri liquorini deboli, aromatizzati a
fantasia, prodotti e manipolati comunque ed ovunque)
nel 1969 fu emanato il Decreto Presidenziale che sancì il "Riconoscimento
della denominazione di origine controllata del Vino Marsala".
Oggi - il Marsala - ha una legge tutta sua (n. 851 del 28/11/1984 Nuova
disciplina del vino Marsala)
Prima della Doc il territorio entro il quale il Marsala poteva essere prodotto, invecchiato
e imbottigliato arrivava fino al fiume Oreto (Palermo) e verso sud fin
quasi a Sciacca;
oggi la zona tipica comprende gran parte del territorio trapanese con
esclusione dei Comuni di Alcamo, Pantelleria e delle Egadi.
Rimane pur sempre un territorio troppo ampio.
Per
la produzione del vino a Doc “Marsala” nel 2005:
Superfici
Uve
Vini
certificati
Vino alla Commissione
di degustazionha
2517
q.li 165.459
hl 124.094
hl 85.234
Un
grande grillo, con ottimi risultati organolettici
si produceva soprattutto nella parte costiera: i territori di Birgi
e della Triglia: territori vocati e sistema di allevamento particolarmente
adatto (l’alberello). Gran parte del territorio ha subito una
trasformazione: fabbriche, aeroporto etc.
ll marsala migliore era appunto prodotto dai “biggialori”.
Altra zona importante è quella collinare che va quasi fino a Salemi (la
costa collinare con esposizioni sud-est, sud-ovest); particolarmente
vocati in quest’ultima zona i terreni
della Biesina.
Due grandi terroir: salino-marino, il primo;
molto più di gusto, fine ed elegante il secondo;
Ho offerto, in questo caso, alcune indicazioni di carattere
territoriale solo per sottolineare, ed è questo il primo aspetto
problematico che voglio porre alla vostra attenzione, come il territorio
della Doc, dal mio punto di vista, sia troppo esteso e meriti, invece, una
ulteriore riduzione, tenendo soprattutto conto dei terreni più vocati.
Ritornando agli aspetti più squisitamente
tecnici, mi permetto di ricordarvi che esistono solo alcuni vitigni
ammessi e due tipologie di marsala.
I
vitigni ammessi sono ,
a
bacca bianca: grillo, catarratto, inzolia e damaschino
, a bacca rossa: pignatello, nero d’Avola e nerello mascalese
le
due tipologie di vino marsala sono:
1°)il
Marsala Vergine (con aggiunta di alcol e/o acquavite di vino, al vino
base, il cui affinamento deve avvenire in botti di rovere per almeno 5
anni, mentre per ottenere la denominazione “riserva” o stravecchio gli
anni devono essere almeno 10)
2°)i
Marsala “conciati”: con aggiunta, oltre all’alcol e/o acquavite
di vino, di mistella (mosto a cui viene bloccata la fermentazione con
aggiunta di alcol vinico) e/o
di mosto cotto.
I
marsala “conciati” si classificano in varie tipologie sulla base
a)del
colore:
oro (senza aggiunta di
mosto cotto),
ambra ( con aggiunta
di mosto cotto non inferiore ad 1 g/l) e
rubino (senza aggiunta
di mosto cotto) ottenuto da uve nere e bianche (max
30%)
b)degli
zuccheri:
dolce (› 100 g/l),
semi-secco (40 – 100
g/l) e
secco (‹ 40 g/l))
c)degli
anni d’invecchiamento:
uno (fine),
due (superiore) e
quattro anni (riserva)
E
allora facciamo un esempio:
Marsala
Fine: oro
– dolce
oro
– semisecco
oro
– secco
ambra – dolce
ambra
– semisecco
ambra
– secco
rubino – dolce
rubino – semisecco
rubino
– secco
Quindi
nove tipologie di marsala fine, nove di marsala superiore e nove di
marsala superiore riserva = 27 tipologie
E’ sicuramente un eccesso (2 tipologie di “vergine” e 27 di
“conciati” = 29 tipologie diverse), il mercato non capisce, ha
difficoltà a scegliere.
Anche in questo caso fornisco queste dati, non soltanto per un fatto
meramente descrittivo, ma perché qui voglio porre una seconda questione
che si caratterizza per alcuni aspetti di straordinaria problematicità.
Partirei da una domanda: ad un non esperto apparirà più accattivante la
parola “fine, ambra, semisecco” o “superiore, oro, dolce ”
e cosa comprerà ????
Pensare, quindi, di poter
fare marsala di qualità con qualsiasi sistema vigneto e in qualsiasi
territorio e in 29 tipologie diverse è
un non senso.
Forse avrebbe più senso:
ridurre drasticamente il numero.
creare una Doc “Marsala
classico” per il Marsala vergine
mantenere la Doc “Marsala” per le altre tipologie.
Infine, da ultimo e non per ultimo, voglio porre alla vostra attenzione la
necessità che il marsala recuperi la sua dimensione storica rispetto al
territorio, al vitigno, al sistema vigneto e ai sistemi di vinificazione
Voglio
sottolineare questo aspetto perché i viticoltori hanno visto pagata la
propria uva al di sotto delle quotazioni medie nazionali degli anni.
Il confronto dei dati di produzione mi ha permesso di fare un’analisi
delle maggiori problematiche connesse ai meccanismi di trasformazione e
produzione della filiera vitivinicola.
Le ragioni del calo, secondo me, sono da ricercare nella quantità e nella
qualità di uva prodotta che deve inserirsi in un mercato dove non
sempre è ricercata la qualità del vino da produrre.
La produzione di vino marsala ha, infatti, un
rapporto, produzione di qualità/produzione totale, abbastanza
basso:
a)
l’80% del vino marsala prodotto è il marsala “fine” (più
comunemente noto come marsala da cucina)
b)
i maggiori produttori di questa tipologia di vino marsala sono anche i
maggiori acquirenti dell’ uva necessaria.
Queste
aziende vinicole hanno colto un successo economico portando a casa un
marsala “fine”, con un rapporto costo/ricavi molto basso, ma impostato
sull’enorme numero di bottiglie vendute;
e ciò senza alcun
beneficio per il territorio.
Nel mercato globale la
concorrenza interessa soprattutto i prodotti di qualità medio-bassa.
In uno scenario vitivinicolo in continua evoluzione solamente il
passaggio ad una vitivinicoltura di qualità può dare maggiori garanzie
per il futuro e per una completa e remunerativa commercializzazione del
prodotto.
Ciò comporta un maggiore impegno del vigneron sul piano sia professionale che economico:
è necessaria la convinzione che sono la terra, il clima, il carattere e
la cultura degli abitanti a imprimere al vino la sua personalità
è necessario un’ attenta ricerca dei terreni più
vocati
è necessario studiare i vitigni, analizzandone le caratteristiche,
monitorandone le espressioni, selezionando i cloni più adatti ai diversi
terreni
è necessario che lo studio, il monitoraggio, la selezione debbano trovare
un armonico punto d’incontro di un terreno e di un clima con una marza e
un portainnesto che a loro volta devono essere compatibili fra loro
è necessario il progressivo abbandono delle forme di allevamento volte
alla quantità
è necessario attribuire una identificazione ed una caratterizzazione di
origine e tipicità del territorio facilmente riconoscibile dal
consumatore
è necessario perché tutto questo possa essere riconosciuto e remunerato
che il rapporto produzione di qualità/produzione totale inverta il suo
trend negativo verso un vino marsala di grande pregio.
Ecco
perché auspico un ritorno viticolo, vinicolo e normativo – che ci
riporti, per il “marsala vergine” alla purezza delle origini e cioè
un marsala con una minima aggiunta di alcol .
Un prodotto, certamente più impegnativo sul piano dei costi, ma
indubbiamente più remunerativo per il contadino e per il produttore
Guido
Falgares
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