IL
VOLTO-ICONA DI CONTAGIO ESISTENZIALE
La
faccia del Crocifisso di Monreale
(di
Padre Basilio Randazzo)
L'immagine del volto è somiglianza di quel silenzioso linguaggio che
affascina e travolge, richiama e scuote, principalmente ama e fa amare.
Parte più viva e sensibile del corpo, il volto trasmette bene e male con
turbamenti aggressivi o con amori incollanti, sempre con sguardi di dialogo
diretti a pensare per essere, o ad
amare per esistere.
Le contraddizioni dell'odio dal volto possono aprire dispersioni e
aggressività a confronto di altri non graditi.
L'esistenzilità proietta nel volto il tutto ricorrente e comunicante,
sia pure la crisi di lotta per niente accettabile o svantaggi erranti senza
risposte; ed è sempre spontanea la ricerca dell'approccio per l'attenzione e la
pazienza, il rispetto o l'attesa o l'amore indefinito.
Il volto, simbolo del Mistero ricerca la chiave perduta dell'impronta
divina fatta a propria immagine e somiglianza, motivo per cui Le Guillon potè
scrivere che il cristianesimo è la religione dei volti non solo esposti, ma
trasfigurati come transito dalle tenebre alla luce.
Ed è tale ogni volto quando brilla perché proietta un'arcobaleno di
colori: impagabile prezzo di un dono assoluto.
Non a caso la parola faccia-volto, in lingua ebraica è denominata al
plurale perché la molteplicità dei pensieri, dei sentimenti, delle
comunicazioni e delle ispirazioni si sprigionano come tesori d'amore o putridi
elementi di enigmi sconvolti.
Potrebbe segnare o il tempo della tragedia umana, o al contrario il tempo
dell'estasi, quando un volto luminoso colmo di beatitudini esplode nella divinità
che si avvicina all'essere stesso di Dio, visione di popolarità che si pregusta
in alcuni tipi di religiosità.
Sul volto-immagine del Crocifisso di Monreale avevamo già enunciato il
passaggio dall'etimasia al Pantocratore; segno di appartenenza e versioni
diversificate di popolarità per specializzazioni teologiche o per appartenenze
umane non gradite.
Se nel volto del Crocifisso è stata ribadita la teologia della bellezza
e la teologia del perdono in questa visione di volto emerge invece la teologia
dell'amore coinvolgente, la quale, secondo la simbologia universale di ogni
cultura si addice all'occhio in funzione recettiva di luce e conseguentemente in
effetto di chiara identificazione sublimata di spiritualità.
Lo stesso creato, in ciascuna cultura umana possiede due occhi: l'occhio
destro che è il sole e l'occhio sinistro che è la luna.
La dualità è molto differenziata, tanto che nelle immagini la loro
presenza coinvolge sensazioni e concetti diversi anche se completivi.
A prescindere dai segni di paternità (sole) e di maternità (luna),
questi rivelano con la loro presenza luminosità differenziate, ma sempre
coinvolgenti nel dialogo fascinoso di unica origine di efficiente richiamo.
Tali premesse sono applicabili al volto-immagine del Crocifisso che è
venerato in Monreale: soggetto divino che la gente più popolare incorpora in un
dialogo visivo-affettivo con osservazioni creative di teologia d'amore
coinvolgente.
Osservando il volto del Cristo Crocifisso si notano escrescenze assai
comunicanti che possono spingere ad elaborare mentalmente tutto ciò che abbiamo
simbolizzato: flagellazione, sofferenza, percosse, patimenti, e tutto un
influsso penitenziale avuto riproducono nel volto-immagine il grande mistero
della Passione e l'incommensurabile mistero della Redenzione, come scambio per
la copertura dei peccati sostituite da tutti questi segni di percussione sulla
mente e nel cuore: comportamenti teologici di amore coinvolgente fino ad
enumerare i tanti segni del volto per qualità di merito e di perdono e per
quantità di gratitudine che il popolo osserva e medita, grida e soffre, come
momento soggettivo e comunitario della Passione che rievoca le sofferenze di
ogni giorno di quel Cristo Dio, soggetto teologico di penitenza e compagno di
vita quotidiana.
La teologia popolare non è scritta, ma piuttosto sofferta o goduta in
conformità alle proiezioni ottenute e sensibilizzate.
In ogni festa il popolo scrive, ama, sigilla nel suo essere l'evento
Mistero. La mistagogia implica l'aspetto educativo con modalità che bisogna
potere e sapere capire. Le presenze critiche non hanno sapore di fede, non
sentono le proiezioni della presenza, né si trovano ricchi di carità: prodotti
ben diversi dei tanti amori assenti.
Si travolge il Signore del Mistero in tale circostanza, proiezione certa
di rigoglio prodotto dall'anima nel contatto reale del Mistero non riservato
alle intuizioni, ma comunicato da abilità sacerdotali, testimoniali e di
servizio: provenienze di sacramentalità vissute con coraggio e animate da
credenze insorte e risorte.
Tale esperienza non soltanto è da reputare lettura vivente ma piuttosto
è da assegnare a teologia costante, obbediente a quella esistenza veramente
cristiana, e mai sostituita.
Se la simbologia ci ha aiutato in questa esperienza vissuta, la
mistagogia ci ha animato in tali interventi partecipati. Perciò possiamo dire
che la sicilianità è colma di valori assai apprezzabili, ma soltanto se
comunicati con quel segno di presenza umana e divina che nel Cristo Crocifisso
si chiama mirabilmente CROCE.