Tempo Ordinario Anno Liturgico B |
Domenica
2 febbraio 2003 - Presentazione del Signore
I miei occhi
hanno visto la tua salvezza «Candelora dell’inverno semo fora», dice a questo proposito l’antico proverbio, riferendosi alla festa della Presentazione del Signore che celebriamo. Certo, il proverbio aggiunge pure che «se piove o tira vento de l’inverno semo entro»: e tuttavia la sensazione di essere fuori dalla lunga notte invernale è prevalente. In questo senso i nostri vecchi vedono giusto quando dicono con soddisfazione che «i giorni si sono allungati»: la loro vista è forse stanca e anche malata; ma il loro cuore sa intravedere una speranza in questa naturale rivincita del giorno sulla notte. Così accadde anche a Simeone, quel vecchio «giusto e timorato di Dio» che Maria e Giuseppe incontrarono a Gerusalemme mentre portavano il piccolo Gesù nel tempio per adempiere la legge, come racconta il Vangelo di domenica (Lc 2,22-40). Simeone aveva certo la vista stanca, essendo ormai avanti negli anni; eppure soltanto lui seppe vedere nel piccolo figlio di Maria e Giuseppe un segno di speranza: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza…» (Lc 2,29s.). Era soltanto un bambino quello che Simeone stringeva tra le braccia: e non c’era proprio nulla di straordinario in quel cucciolo di uomo. Ma proprio grazie alla tenerezza suscitata da quel bambino Simeone seppe riconoscere la salvezza di Dio. A questo riguardo dobbiamo ammettere che oggi la nostra vista è decisamente più spenta: noi fatichiamo a vedere la salvezza di Dio. Ogni giorno passano davanti ai nostri occhi tante immagini, e i moderni mezzi di comunicazione hanno senza dubbio ampliato la nostra possibilità di vedere: grazie alla tecnologia, infatti, possiamo avere davanti agli occhi immagini provenienti da tutte le parti del mondo. Eppure attraverso queste numerose immagini fatichiamo a vedere la salvezza di Dio: il nostro sguardo appare disincantato, e sembra incapace di esprimere quello stupore che leggiamo invece sugli occhi del vecchio Simeone. Dobbiamo qui riconoscere che è stata proprio la tecnologia moderna a renderci così disincantati e superficiali: essa infatti ci ha sommerso di immagini – pensiamo soltanto al flusso delle immagini televisive che ogni giorno entra nelle nostre case – e in tal modo noi non ci stupiamo quasi più di nulla. Al punto che quando siamo testimoni di un suggestivo spettacolo della natura – un tramonto, un temporale, una montagna o soltanto un fiore – subito ricorriamo alla macchina fotografica; e se non l’abbiamo a disposizione, ci rammarichiamo dell’occasione persa: ma quasi ci dimentichiamo di ammirare quello spettacolo inatteso. Così, a furia di voler vedere, rischiamo di avere sempre gli occhi annebbiati. Limpidi erano invece gli occhi del vecchio Simeone. «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra» (Sal 121,1-2). Nella sua preghiera al tempio di Gerusalemme, Simeone si era allenato ad alzare gli occhi: e in tal modo li aveva custoditi vivaci e penetranti. Allo stesso modo anche noi possiamo riaprire i nostri occhi: e mentre ci rallegriamo per i giorni che si allungano – annunciando l’arrivo della bella stagione – impariamo pure ad invocare di nuovo quell’aiuto che può venire soltanto dall’alto, dal Signore che ha fatto cielo e terra.
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Il nemico da non cercare
Il bisogno di un
cattivo
Ha
destato recentemente polemiche, riguardo all’ultima fiction su Papa
Giovanni diffusa dalla TV, la scelta di “inventare” un inesistente
cardinal Carcano, a fungere da “cattivo”. Esigenze della fiction, si
è detto: bisogna che ci sia il buono e il cattivo, e che i due siano
chiaramente riconoscibili, e che la lotta fra i due faccia da filo
conduttore. Comprendiamo le esigenze della messinscena televisiva: non è una rigorosa ricostruzione storica, ma appunto una “finzione” scenica, che deve raccontare una storia, attrarre lo spettatore, proporre schemi facili e riconoscibili. Strana però l’esigenza di “inventarsi” dei cattivi. C’erano i nazisti; c’erano le guerre, le bombe atomiche, la fame nel mondo... non era abbastanza, come “cattivo di turno”?
Il
nemico di Gesù
Non
stiamo divagando, ma stiamo entrando in uno dei temi fondamentali del
Vangelo di questa domenica. Chi è il “cattivo” che deve affrontare
Gesù? Non è nessuna delle persone che incontra. E l’evangelista non
sente il bisogno di inventarselo. Davanti a Gesù si stende una massa di
persone malate, sofferenti, indemoniate, di cui egli si prende carico.
Tutta
la città è riunita davanti a lui, per essere liberata dal male. E’
il male nella sua concretezza il nemico di Gesù. Tanto che si parla
anche di una sua quasi personificazione: i demoni, il maligno. Ma
restano sempre sullo sfondo: Gesù non li lascia parlare, non li lascia
mai invadere la scena, non entra neppure in dialogo con loro. In primo
piano vediamo Gesù e le persone sofferenti, nell’oscurità della
notte. Il resto sbiadisce.
La
lotta di Gesù contro il male e la sofferenza alle porte della città è
preceduta da una scena familiare: Gesù che entra in casa di Simone,
sente parlare della suocera malata, la solleva, la guarisce; e lei si
mette a servirli. Tutto comincia quindi dall’intimità della famiglia:
la famiglia di Simone, a cui si aggiungono i soci Giacomo e Giovanni.
Ma
non sono più soltanto compagni di lavoro: sono condiscepoli.
Condividono la chiamata di Gesù. Anche il caldo ambiente familiare è
minacciato dal male: non qualcosa di grande, una febbre fastidiosa,
comunque debilitante, che espone all’incertezza e alla paura. Nel piccolo della casa di Simone si svolge una piccola lotta contro il male, e si ha una anticipazione, in piccolo della Chiesa, dove l’essere liberati da Gesù conduce al servizio. Poco dopo l’intera città si raduna, per portare i malati di fronte a Gesù. Cambia soltanto l’aspetto quantitativo, ma restano in campo tutti gli elementi già considerati: Gesù diventa fattore di coesione, intorno a lui si genera comunione, solidarietà, la città riscopre e rinsalda i legami di fraternità. Davanti a Gesù si radunano tutte le sofferenze, quelle che impediscono una vita piena. E Gesù libera dal male, per introdurre nel Regno di Dio.
L’eterna
lotta tra il bene e il male
La
fiction televisiva ha bisogno di inventarsi dei nemici. Anche la
propaganda politica - e ce ne accorgiamo oggi in tempo di quasi-guerra:
Saddam è l’impero del male per gli americani, gli americani
probabilmente lo sono per gli iracheni.
La
guerra contro il nemico è costosa e impegnativa, e affidata agli
specialisti: noi a casa dobbiamo solo fare da spettatori. Anche la lotta
contro le malattie è affidata agli specialisti della scienza, e noi
dobbiamo solo starcene a casa, a guardare la TV e fare le offerte per la
ricerca. L’eterna lotta tra il bene e il m ale è oggetto di decine di
film che ci proiettano davanti agli occhi eroi irraggiungibili: dobbiamo
solo restarcene in poltrona a guardarli. Il Vangelo a volte ci appare molto meno eccitante di un film, e una ragione c’è: manca il nemico. O non è così chiaro e cattivo come lo vorremmo, come ci hanno abituato. Ma il Vangelo non lo capisce chi resta in poltrona a guardare.
Via
dalle poltrone
Rileggendo
attentamente una serie di verbi continua a ricorrere: andare, uscire,
entrare, andarsene... Gesù non sta mai fermo. Entra in una casa, e lì
trova la malattia. Esce di casa, e lì trova i malati e gli indemoniati.
Esce di casa la mattina presto, e pregando vede i villaggi vicini, il
mondo intero forse che attende di essere liberato dal male.
Mentre
noi ci inventiamo i nemici, per starcene in poltrona e fare a meno di
affrontarlo, Gesù si muove continuamente e ha il coraggio di incontrare
e guardare in faccia il male. Lo stesso male che è vicino a noi,
fastidiosamente a portata di mano.
La
malattia, la sofferenza, la fame, la solitudine, l’ingiustizia, sono
alla nostra porta. Gesù chiama noi a lottare contro questo male, come
scuote i discepoli dalla loro facile voglia di successo:
"Andiamocene altrove, per i villaggi vicini, perché io predichi
anche là: per questo infatti sono venuto". Non per perpetuare
l’eterna lotta tra il bene e il male. Ma per vincere la quotidiana lotta contro il male che incontriamo. E che, se non ci destiamo dal torpore, può prendere il nostro volto di indifferenza e di insensibilità
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