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Le ragioni dello scrivere

Gesualdo Bufalino, 
Cere Perse 
	- I La parola Ansiosa 
		- Le ragioni dello scrivere.


"...
Perchè si scrive, mi chiedo.  Perchè ci si affanna a tessere sogni e
raggiri, si dà corpo a fantocci e fantasmi, si fabbricano babilonie di
carta, s'inventano esistenze vicarie, universi paralleli e bugiardi,
mentre fuori così plausibile piove la luce della luna nell'erba, e i
nostri moti naturali, le più immediate insurrezioni dei nostri sensi
c'invitano al gioco affettuosamente, divinamente semplice della vita?
La vita c'è innamoramento impulsivo  di sé stesso, credulo abbandono
alle quattro dorate, virginee, felici stagioni.
Scrivere, insinua la voce, non significa solo adulare i minuti con la
cosmesi dell'immaginario, ma nutrirli dei nostri escreti mentali,
addobbarli viziosamente delle nostre maschere nere. Rappresenta dunque
in qualche modo una colpa: forse macchiarsi le mani d'inchiostro è
come macchiarsele un poco di sangue, uno scrittore non è mai
innocente.
Non solo, ma nell'atto stesso in cui un autore si umilia alla superbia
di dire "io", come fa a non sentirsi inerme, spogliato, simile ad una
recluta nel mattino della visita di leva? Non assume forse ogni sua
parola i colori lividi d'una delazione imperfetta? Non trasuda i
sudori, le ciprie abiette d'uno spogliarello tentato e mancato?
Starsene sul palcoscenico, nell'abbacinante fulmine dei riflettori,
non diventa a lungo andare un'intollerabile gogna?
Il silenzio, invece... la perfezione, l'asepsi, l'impunità del
silenzio! Poter assistere alla vita dal proprio loggione piuttosto che
recitarla; fra tanti che smaniano di arrivare, scegliere di non
partire! E poi... dal momento che il pensiero, come le onde avanti a
quel cimitero marino, ricomincia senza posa, perchè ostinarsi a
volerlo pietrificare nei freddi piombi di Gutenberg? Veramente ogni
libro stampato è una bara...
Lusinghevole discorso, e converrà ribatterlo punto per punto, anche se
metà di me gli dà oscuramente ragione..."

"Afferma Montherlant che pubblicare un libro è come parlare a tavola
in presenza della servitù. Il bello è che, per poterlo affermare, egli
deve ricorrere a un libro: tanto è rischiosa e plurima la natura della
scrittura. Al punto che perfino chi si affeziona alla segregazione e
non sopporta altra aria che non sia quella del carcere; chi si fa
obliquo voyeur di se stesso, con uno specchio in mano e uno dietro le
spalle; nemmeno costui resiste alla tentazione di raccontare al mondo
il suo narciso piacere e le mille soddisfazioni dell'ammutinamento.
dopotutto, nel racconto di Nathaniel Hawthorne, Wakefield, alla fine,
ritorna a casa.
Questo vuol dire che si scrive per popolare il deserto; per non essere
più soli nella voluttò di essere soli; per distrarsi dalla tentazione
del niente o almeno procrastinarla. A somiglianza della giovane
principessa delle Mille e una notte, ognuno parla oggi per rinviare
l'esecuzione, per corrompere il carnefice.
Morte e scrittura, quindi: ecco una connessione cruciale. Ha ragione
Blanchot: si scrive per non morire. In questa vita, s'intende. Non in
vista delle comiche immortalità sognate da romantici e classici, alle
quali nessuno più crede. Più avanti si va, nei secoli, più la polvere
cresce sui gonfi scaffali, nessuno si salverà. Andiamo, è sicuro,
verso una civiltà di nuovo orale, fra diecimila anni la biblioteca
d'Alessandria sarà stata bruciata innumerevoli volte.
Si dovrà per questo reprimere la ovvia comune volontà di durare?
Riconosciamolo, si scrive specialmente per essere ricordati e per
ricordare, per vincere dentro di sé l'amnesia, il buco grigio del
tempo. Affidarsi alla pagina, come alle bende e ai balsami l amummia
d'un faraone, non conosco altro modo che consenta il miracolo del Bis,
il bellissimo Riessere. "Riessere, è questo il problema", ho
sussurrato una volta, parodiando umilmente Shakespeare. E so ch'è  una
fuga in prigione, una vittoria perduta, ma anche l'unica strada,
benché precaria e illusa, che ci scampi un istante dalla maledizione
di Eraclito.
Si scrive per ricordare, ripeto. Ma si scrive anche per dimenticare,
per rendere inoffensivo il dolore, biodegradarlo, come si fa coi
veleni della chimica. Può essere una vernice, la scrittura, che ci
anodizzi i sentimenti e li protegga dalle salsedini della vita.
Qui un altro nodo emerge: medicina e scrittura. Che può tradursi in
modi più spicci: scrittura come analgesico, come palliativo e placebo,
quando non si tenga conto del margine di frode pietosa che sempre
inerisce a una consolazione del genere.
Ma non si scrive anche per essere felici? Leopardi lo attesta:
Felicità da me provata nel tempo del comporre, il miglior tempo che io
abbia passato in vita mia e nel quale mi contenterei di durare finché
vivo. Passar le giornate senza accorgermene e parermi le ore
cortissime e meravigliarmi sovente io medesimo di tanta felicità di
passione." E sentiamo Pavese: "Quando scrivo qualcosa e do dentro,
sono sereno, equilibrato, felice."
Andiamo avanti: si scrive per far testamento. Testamento e
testimonianza hanno radice comune, si sa. Scrivere vale dunque a
redigere una deposizione a futura memoria, come quelle che si lasciano
ai giudici, perchè ripetano, dopo la morte, la nostra parola.
"Pronunziare ogni parola come se fosse l'ultima" ha detto Canetti, ed
è una bella e solenne definizione della scrittura.
Si scrive per giocare, perchè no?, l aparola è anche un giocattolo, il
più serio, il più fatuo, il più caritatevole dei giocattoli adulti.
Si scrive per scongiurare, per evocare. Ho imparato, ragazzo, da
un'affabile maga che graffire su un muro quattro nomi di diavoli,
Furcu, Rifurci, Lurcu, Cataturcu (ovviamente l'accezione è siciliana.
NdAO), bastava a farli apparire. Una sera ci provai."

"...
E si scrive per battezzare le cose, chi le nomina le possiede. Esiste
solo chi ha un nome, l'innominato è nessuno. Nelle teogonie primitive
il dio è soltanto se ha un nome.
Si scrive per surrgare la vita, per viverne un'altra. L'arte, in quel
caso, diventa, se il bistiggio è lecito, un arto, un arto artificiale,
la pròtesi d'una vita non vissuta. Forse è così che l'arte è
cominciata, quando un cavernicolo in un angolo buio, dove sarebbe
occorsa una torcia per scoprire le sue pitture, dipinse uccisa la
bestia che bramava di uccidere, esercitando quindi una pratica magica,
ma soddisfacendo altresì una tensione, come avviene a chi sogna e chi
s'innamora.
Sì, perchè si scrive anche per persuadere e amorosamente sedurre. Chi
scrive intreccia con chi legge una geurra d'amore, una complicità
invidiosa, una clandestina intesa di peccatori; a volte associandosi
con lui per delinquere, a volte odiandolo come un rivale.
Si scrive per profetizzare: non accade spesso, ma accade, che su una
lavagna cieca, mentre re Baldassarre è alla frutta, una mano intrecci
misteriose parole.
Si scrive per rendere verosimile la realtà. Non so degli altri, ma io
sono stato sempre colpito dalla inversolimiglianza della vita, m'è
parso sempre che da un momento all'altro qualcuno dovesse dirmi:
"Basta così, non è vero niente." Allora io penso che si debba scrivere
per cercare di crederci, a questo impossibile e riuscito colpo di
dadi; che si debba, se l'universo è una metastasi folle, un po'
fingere di mimarla, un po' cercarvi un ordine che ci inganni e ci
salvi. Questo mi pare il compito civico e umanitario dello scrittore.
farsi copista e insieme legislatore del caos, guardiano della legge e
insieme turbatore della quiete, un ladro del fuoco che porti fra gli
uomini il segreto della cenere, un confessore degli infelici, una spia
sacra, un dio disceso a morire per tutti. Ciò non vuol dire che
scrivere è uguale a pregare?"