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Giorgio Caproni nacque nel 1912 a Livorno dal ragioniere Attilio e dalla sarta Anna Picchi. Già a dieci anni però il poeta dovette lasciare la città toscana per trasferirsi a Genova dove il padre aveva trovato un impiego in un’azienda conserviera. A Genova fece i suoi studi, e successivamente si iscrisse al Magistero di Torino, dove frequentò le lezioni del filosofo antifascista Alfredo Poggi. Dovette però presto interrompere la sua frequenza, e poté dedicarsi soltanto agli studi di violino, che furono fondamentali per la sua educazione ed il senso della musicalità che riportò anche nei suoi versi. Lo choc piú grosso, come disse Caproni stesso, fu la lettura, nel 1930, degli Ossi di seppia di Montale; fu da quel momento che cominciò a maturare la sua consapevolezza poetica. Divenne un assiduo lettore di Circoli, una rivista letteraria genovese diretta da Adriano Grande, cui mandò dei versi e dal quale, raccontava, “fui giustamente bocciato. Imparai a non rivolgermi piú né a riviste né ad editori se non dietro invito”. Caproni dovette aspettare il 1933 per veder pubblicare la sua prima poesia, Prima luce, compresa poi nella raccolta Come un’allegoria, sulla rivista Espero, evidentemente data dal poeta dietro invito. Quelli furono comunque gli anni di piú intensa lettura per il giovane Giorgio: i poeti francesi e spagnoli, Apollinaire e Machado sopra tutti, e poi i filosofi antichi e moderni, Schopenhauer, Nietzsche, ed il Kierkegaard de Il concetto dell’angoscia. Nel 1935 cominciò la sua attività di insegnante a Rovegno, in alta Val Trebbia, proseguita poi in provincia di Pavia a quindi a Roma, dove si trasferí nel 1938. Il suo primo soggiorno romano durò però soltanto quattro mesi, perché nel 1939 fu richiamato alle armi e dovette tornare a Genova per combattere sul fronte occidentale contro la Francia. L’8 Settembre lo trovò in Val Trebbia, e lí rimase fino alla fine della vicenda bellica, affiancandosi ai partigiani. L’esperienza degli anni di guerra e poi quella partigiana furono raccontate rispettivamente nel diario Giorni aperti e nel racconto Il labirinto, pubblicato dalla rivista Aretusa diretta da Carlo Muscetta. Dopo la guerra si stabilí definitivamente a Roma, dove visse sempre insieme alla moglie Rina ed ai figli Attilio Mauro e Silvana, continuando a fare il maestro elementare e collaborando con varie riviste e quotidiani, fra cui L’Unità, Avanti! e Paragone. Soprattutto, per molti anni curò la pagina culturale di Mondo operaio e tenne una rubrica personale su La fiera letteraria. Nel 1951 Natalia Ginzburg gli commissionò la traduzione di Il tempo ritrovato di Proust, per l’edizione Einaudi. Cominciò per Caproni un’intensa e notevolissima attività di traduttore che lo portò a misurarsi con testi importanti di Maupassant, Céline, Génet ed altri. Morí nel 1990. Ai suoi funerali, svoltisi nella popolare parrocchia di Donna Olimpia a Monteverde, a Roma, oltre ai familiari parteciparono i suoi amici poeti e scrittori. Ma nessuna autorità andò a rappresentare né il Comune di Roma né lo Stato. Fu un’assenza vergognosa nei confronti di uno dei piú grandi poeti del nostro secolo.
Vincenzo Cerami

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Da Il conte di Kevenhuller

*

AVVERTIMENTO

"Quant'odio, nell'amore.
Quanto amore, nell'odio..."

    Salito appena sul podio,
un colpo fredda il direttore.

    L'orchestra dovrà far senza.
Il pubblico urla d'impazienza.

    Così (e sarà di certo
un baratro) comincia il concerto.

 

 

Da Finzioni

*

SENZA TITOLO

    Come dev'esser dolce
della tua carnagione
il fiore, alle prim'ore
d'alba colto in stagione
chiara, quando di nuove
cose commuove l'aria
pudicissimo odore,
e il petto tocca e tenta
lo svegliarsi del mare.


DONNA CHE APRE RIVIERE

    Sei donna di marine,
donna che apre riviere.
L'aria delle mattine
bianche è la tua aria
di sale - e sono vele
al vento, sono bandiere
spiegate a bordo l'ampie
vesti tue così chiare.

CONDIZIONE

    Un uomo solo,
chiuso nella sua stanza.
Con tutte le sue ragioni.
Tutti i suoi torti.
Solo in una stanza vuota,
a parlare. Ai morti.



Da Poesie

*

PER LEI

Per lei voglio rime chiare, 
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte, ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline, 
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili
Anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.




 

Da Il seme del piangere

*

PERCH'IO...

...perch'io, che nella notte abito solo,
anch'io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo cauto una candela
bianca nella mia mente - apro  una vela
timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch'io scrivo
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
che mi bagna la mente.


*

QUANDO PASSAVA

Livorno, quando lei passava,
d'aria e di barche odorava.
Che voglia di lavorare
nasceva, al suo ancheggiare!

Sull'uscio dello Sbolci,
un giovane dagli occhi rossi
restava col bicchiere
in mano, smesso d ibere.

 

 

Da Come un'allegoria

*

ALBA

Una cosa scipita,
col suo sapore di prati
bagnati, questa mattina
nella mia bocca ancora
assopita.

Negli occhi nascono come
nell'acque degli acquitrini
le case, il ponte, gli ulivi:
senza calore.

E' assente il sale
del mondo: il sole.

 

*

SPIAGGIA DI SERA

    Così sbiadito a quest'ora
lo sguardo del mare,
che pare negli occhi
(macchie d'indaco appena
celesti)
del bagnino che tira in secco
le barche.

    Come una randa cade
l'ultimo lembo di sole.

    Di tante risa di donne,
un pigro schiumare
bianco sull'alghe, e un fresco
vento che sala il viso
rimane.

 

*

ALLA GIOVINEZZA

    Giorno di meravigliose
essenze e di ricchi aromi
adorno, sei tu che sciogli
i canti delle giovinette
chine sull'ago. E ai lini,
e ai sogni, e alle note
ruvide dei clarini
al ballo, rechi ricami
fievoli - fiere canzoni,
e schianti d'amore ai petti
umani.

 

Da Il franco cacciatore

*

ALLEGRIA

    Faceva freddo. Il vento
mi tagliava le dita.
Ero senza fiato. Non ero
stato mai più contento.

 


Da Come un'allegoria

*

    Dopo la pioggia la terra
è un frutto appena sbucciato.

    Il fiato del fieno bagnato
è più acre - ma ride il sole
bianco sui prati di marzo
a una fanciulla che apre una finestra.

 

Da Due svolazzi finali

*

CADENZA

    Tonica, terza, quinta,
settima diminuita.
Rimane così irrisolto
l'accordo della mia vita?


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