Sulla figura di Cesare Battisti si discute
da tempo e nel giudicarlo si è
sempre in bilico fra la qualifica di
“patriota”, cara all’Italia, e quella di “traditore”,
secondo l’ottica austriaca. Siamo
convinti che il personaggio andrebbe valutato
con serenità per quello che era, un
intellettuale socialista che, in primis, era
interessato a ottenere per il Trentino l’autonomia
dalla grossa provincia che comprendeva
l’intero Tirolo (quest’ultimo in
un ruolo dominante) e che aveva per
capoluogo Innsbruck. Un’autonomia nell’ambito
dell’Austria e non al di fuori di
essa. Certamente l’ultimo Battisti, quello
del biennio 1914-1916, prese le armi contro
l’Impero di cui era cittadino. Ma nel
frattempo era intervenuta la guerra a
sconvolgere vecchi equilibri e a esasperare
gli animi di tutti. Comunque va ricordato
che egli ebbe sempre seri dubbi sull’opportunità,
in caso di vittoria italiana, di
portare il confine sul Brennero includendo
il Sud Tirolo. Ne fanno fede i suoi dibattiti
epistolari con varie personalità, da Gaetano
Salvemini a Ettore Tolomei, riportati
da Claus Gatterer nel suo bel libro “Cesare
Battisti, ritratto di un alto traditore”. Non
ci sembra azzardato supporre che se fosse
sopravvissuto fino alla fine della guerra,
da geografo esperto qual’era, Battisti
avrebbe proposto l’annessione all’Italia del
solo Trentino, considerando il cosiddetto
“Alto Adige” parte naturale del Tirolo e
dunque da lasciare all’Austria. Vediamo
ora di ricostruire la vicenda terrena di
quest’uomo, che come milioni di altri fu
inghiottito da un mondo impazzito ed
ebbro di sangue.
UN SIMPATICO “FRANTI”
Cesare Battisti nacque a Trento il 4
febbraio 1875, quando il Trentino era una
delle aree più povere dell’Impero. Compreso
nel Kronland del Tirolo, quel territorio
subiva in effetti la supremazia dell’elemento
tedesco, mentre la sua agricoltura
languiva fra gli opposti estremi di
grandi latifondi e misere microproprietà.
Essendo di famiglia agiata potè studiare
nell’Imperial Regio Ginnasio Superiore di
Trento, dove, insieme ad alcuni suoi amici,
manifestò fin da 15enne l’insofferenza
alla pedanteria cattolica delle autorità scolastiche.
Del periodo adolescenziale, intorno
al 1890, ricordò vari episodi il suo
compagno di scuola Eugenio Zaniboni in
un articolo del 1926, ripubblicato nel luglio
1975 dalla rivista “Historia”.
Zaniboni ci presenta il giovane Battisti
come una “simpatica canaglia”, una specie
di Franti uscito dal “Cuore” del De
Amicis, ma inteso in senso creativo. Sempre
pronto a sfidare le regole dell’istituto
fumando vistosamente (nonostante non
fosse un vero fumatore), Battisti era il più
giovane (lo stesso Zaniboni era maggiore
di 2 anni) in un’allegra compagnia che
talvolta organizzava bigiate da leggenda
trascorrendo le mattinate lungo l’Adige a
caccia di tordi. Questi ragazzi di lingua
italiana non si limitavano però a marinare
la scuola. Sapevano indirizzare il ribellismo
su strade più serie. Esisteva a Trento,
in via del Teatro, il Caffè Carloni, un bar
dove Battisti e gli amici reperivano giornali
introdotti di contrabbando dall’Italia, come il “Corriere della Sera” o “Il Secolo”, a
quei tempi proibiti nell’Impero. Come proibita
era la divulgazione a scuola degli
episodi del Risorgimento italiano, fatti storici
comunque importantissimi che avevano
interessato l’Austria per la maggior
parte del XIX secolo.
Una politica idiota, perchè anzichè
snobbare certi eventi, meglio sarebbe stato
per gli Austriaci raccontarli sviluppando
una propria prospettiva. In giovani
studenti come Battisti l’emozionante passione
per i “proibiti” Mazzini e Garibaldi
non poteva che esserne alimentata.
SUL GIORNALE UN MOTTO DI CATTANEO
Dal 1893 frequentò l’università, dapprima
a Vienna e Graz. Passò poi a terminare
gli studi in Italia, dove, dopo una
parentesi a Torino, si sarebbe laureato in
lettere a Firenze nel 1897 con una tesi di
geografia sul Trentino. In quegli anni,
ormai determinato a fare qualcosa per la
sua comunità, aveva imboccato la strada
di un socialismo attento alla nazionalità.
Può essere considerato il fondatore del
socialismo trentino, insieme all’amico Antonio Piscel (lo stesso che divenuto avvocato
avrebbe dato lavoro a Fabio Filzi).
Ancora studenti, fondarono una “Rivista
Popolare Trentina”, il cui unico numero
uscì il 2 febbraio 1895. In prima pagina
campeggiava un motto di Carlo Cattaneo:
«In quanto il povero s’interessa all’intera
sua casta, s’interessa, anche senza volerlo,
alla più larga cultura di tutta la
nazione. La sua causa adunque non è
quella dell’egoismo, è la causa di tutti, è la
causa del genere umano». Qui stava un po’
il nocciolo della visione di Battisti. Nell’Impero
tutte le nazionalità avrebbero dovuto
godere di un trattamento paritario
nel segno di una maggiore giustizia sociale.
Come si sa, Tedeschi e Ungheresi si
spartivano il potere a scapito delle altre
stirpi, tanto che dal 1867 l’esatta denominazione
dello Stato era appunto “Austria-
Ungheria”. Tutte le copie di quel
primo giornale furono sequestrate dalla
polizia, ma ciò non impedì al geografo di
creare in pochi anni a Trento un solido
nucleo di socialisti. Il 15 novembre 1895
usciva il suo nuovo giornale “L’Avvenire
del lavoratore”, cui si affiancò dal 7 aprile
1900 il quotidiano “Il Popolo”, sempre
creato da Battisti, ormai editore e tipografo,
oltre che studioso. Girava per le valli
documentandosi sulla vita dei contadini, e
sull’economia. Interessante la testimonianza
che raccolse da un anziano di oltre
70 anni: «Quando ero ragazzo tutti questi
boschi e questi prati erano proprietà collettiva.
Allora eravamo ricchi. Un bel giorno
furono venduti ad alcuni signori per
pochi quattrini e noi siamo rimasti poveri.
La terra deve tornare in comune».
DA PARLAMENTARE A “TRADITORE” DELL’IMPERO
All’inizio del XX secolo la lotta dei socialisti
per rivendicare l’autonomia trentina
era più dura che mai. Battisti si era
intanto sposato con la compagna Ernesta
Bittanti e vedeva nascere tre figli. Non
disgiungeva la sua battaglia per strappare
Trento a Innsbruck da tematiche anticlericali
tipiche del socialismo, come ad
esempio la proposta di abolire l’obbligo
della messa per i bambini delle elementari.
Non poteva certo sperare nell’appoggio
degli altri schieramenti politici trentini,
come i popolari fra cui già si distingueva il
giovane Alcide De Gasperi, amico del vescovo
di Trento mons. Endrici. Nel 1909,
anzi, Battisti venne perfino alle mani con
De Gasperi, o almeno così credette. Somministrò
un possente ceffone a un collaboratore
del leader cattolico, scambiandolo
per lo stesso De Gasperi, che gli aveva
offeso la moglie. Scontò una settimana di
carcere per lesioni, ma, a parte questo
episodio, gli unici altri guai con la giustizia
si limitavano alla censura di qualche numero
de “Il Popolo”.
Nel 1911 riuscì a farsi eleggere al Reichsrat,
il Parlamento di Vienna, dove l’unica
lingua ammessa era il tedesco. Oltre
che parlamentare alla capitale fu anche,
dal 18 aprile 1914, deputato della dieta (o
Landhaus) del Tirolo a Innsbruck. Ma la
sua lotta, che era connessa alla richiesta
del suffragio universale, finì arenata nelle
pastoie parlamentari. Più volte cercò di far
breccia nel governo, come nel discorso
parlamentare che tenne il 6 novembre
1913: «Il Vorarlberg dà ora l’esempio della
riscossa, chiedendo il completo distacco
dal Tirolo. Il Trentino non può non imitarlo.
solo in un’amministrazione autonoma
il Trentino troverà modo di risorgere
economicamente e di metter termine a
ogni conflitto nazionale».
Disilluso circa la capacità di rinnovamento
interno dell’Impero, solo allo scoppio
del conflitto europeo divenne irredentista,
lasciando l’Austria per l’Italia il
12 agosto 1914. Andò a Milano, da dove il
21 agosto spedì alla moglie, ancora a
Trento, una cartolina sotto il cui francobollo
aveva scritto un messaggio nascosto
che le intimava di chiudere i battenti
del giornale e di raggiungerlo nel
capoluogo lombardo.
CON LA PENNA SUL CAPPELLO
Nei mesi delle esaltazioni interventiste,
anche Cesare Battisti partecipò ai più vari
dibattiti e conferenze in decine di città. Ma
l’annessione del Trentino all’Italia come
era letta da un socialista? Si era convertito
al nazionalismo puro e semplice? Ebbe a
dire: “Fra l’uomo singolo e l’umanità c’è un
anello di congiunzione che non si può
spezzare nè dimenticare, ed è la patria, è la
nazione”. Ma talvolta diceva “regione”, anzichè
“nazione”. E parlando a Bologna
nell’ottobre 1914 parve accennare alla
guerra semplicemente come tappa intermedia
e progressiva verso i futuri Stati
Uniti d’Europa: «Distrutti i focolari di reazione
che si annidano al centro d’Europa,
tolta al teutonismo la possibilità di soffocare
le altre nazioni, potrà tramutarsi in
realtà quello che fu il sospiro di Mazzini e il
programma di Carlo Marx, la Federazione
degli Stati d’Europa». Certamente ebbe dei
dubbi, delle incertezze. Era però sicuro che
allo scoppio della guerra italo-austriaca si
sarebbe offerto volontario per rischiare in
prima linea come tutti, pur sapendo che si
sarebbe ritrovato a sparare su altri trentini:
«Anche se fortunata questa guerra
esige sacrifici enormi ed io, al pensiero che
è fatta per le mie terre, vorrei essere in ogni
scontro, in ogni avanzata». Il 29 maggio
1915 entrò nel 5° Reggimento Alpini come
soldato semplice e fu spedito a Edolo per
l’addestramento. Arrivò sul fronte del Tonale
il 1° luglio e iniziò la sua carriera di
combattente accompagnando il suo capitano
durante le perlustrazioni. L’Alpino
Battisti, stando ai rapporti ufficiali, si distinse
presto in azioni belliche, e si guadagnò
una medaglia di bronzo dopo gli
scontri sostenuti sull’Albiolo fra il 23 e il 25
agosto. In seguito entrò in un reparto di
Alpini Sciatori e fu destinato nell’area dell’Adamello,
presso il rifugio Garibaldi. Fu lì
che il 13 novembre 1915 venne promosso
sottotenente. Nove giorni dopo assunse il
comando di un plotone della 258° Compagnia
del Battaglione Vicenza, 6° Reggimento.
Dopo un periodo di retrovia a
Verona, fu di nuovo in area calda dal 30
maggio 1916. Coi suoi uomini si trovava in
Vallarsa, in un teatro di guerra assai più
difficile del previsto. «Ho terrore della fanteria.
Ho visto qui in valle alcuni accampamenti.
sono il regno della sporcizia,
delle malattie. Sono soldati da macello», è il
suo drammatico commento della situazione.
IL CAPPIO CHE NON PERDONA
All’inizio di luglio gli Alpini del Battaglione
Vicenza si apprestavano a lanciarsi
all’assalto delle posizioni austroungariche
sul Monte Corno. L’ordine
di attacco arrivò il 9 luglio 1916 e
Battisti, sulle prime, non pareva preoccupato,
tanto che così scrisse quello
stesso giorno in una lettera alla sorella:
«La fortuna mi ha sempre arriso. Compiuta
un’azione alle spalle del Monte
Corno, il battaglione avrà un po’ di riposo.
Allora ti scriverò più a lungo».
All’una di notte del 10 luglio l’attacco
degli Alpini fallì, anche per il maldestro
appoggio dell’artiglieria italiana. Stando
alle testimonianze degli ufficiali austriaci,
sembra addirittura che il reparto di Battisti,
pur vedendo la mala parata, non sia
riuscito a ritirarsi a causa del tiro troppo
corto dei cannoni italiani, che tagliava le vie
di fuga! Al di là di possibili speculazioni da
“giallo” storico, sta di fatto che il socialista
trentino fu catturato da un gruppo di
Tiroler Landesschutzen comandato da un
altro trentino, l’alfiere Bruno Franceschini.
Tra i prigionieri vi era anche l’irredentista
Fabio Filzi, che avrebbe condiviso con
Battisti l’inevitabile condanna a morte.
Il giorno dopo erano già stati condotti
sotto scorta a Trento, dove fu resa loro noto
che sarebbero stati impiccati per tradimento.
Il bollettino della loro cattura fu
così diffuso in Trentino: «I nostri Bersaglieri
Tirolesi hanno preso i due agitatori
mentre, tramutatisi in ufficiali italiani, guidavano
il nemico contro la loro patria e
compivano senza rimorso e senza vergogna
il fratricidio».
Il 12 luglio 1916, poco dopo le 19, Cesare
Battisti e Fabio Filzi venivano giustiziati nel
fossato del Castello del Buon Consiglio di
Trento. Sembra che Battisti abbia urlato
frasi patriottiche fino alla fine, tantopiù che
il suo cappio si era spezzato e il boia Josef
Lang dovette prepararne un altro. Ci vollero
ben 8 minuti, tra spasmi e contorsioni,
perchè Battisti cessasse di vivere. Cosa
avrà pensato l’impiccato in quegli ultimi
atroci momenti? Forse un abisso di umana
paura avrà fatto da sfondo alla consapevolezza
di avere dedicato tutta una vita
al Trentino. Se si trattasse o meno di una
causa “persa”, in rapporto alle opinioni
della maggioranza della popolazione trentina,
non è certo facile da stabilire. Quel
che è sicuro è che poco più di due anni
dopo, nel novembre 1918, l’Impero degli
Asburgo si sarebbe sfasciato come cartone
sotto la pioggia, non per volere dei vincitori,
ma per le sue convulsioni interne. Finì
perchè doveva finire, condannato dalla
Storia.
Mirko Molteni
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