Capitolo I

4 - L'ENTRATA IN GUERRA DELL'ITALIA

Per "La Voce del pastore" del Novembre 1926, richiamandosi alla festa civile e nazionale del 4 novembre, don Daniele Sperandio di Caoria (TN) scriveva: "Esaltiamo l'eroismo dei nostri soldati (parlava di soldati italiani, quindi non trentini), ma non dimentichiamo che questo a nulla avrebbe giovato se il Signore non si schierava dalla parte loro. Anche nel campo nemico non mancarono gli eroismi eppure il loro eroismo fu inutile, inutile lo spargimento del miglior sangue di quei popoli". A parte che è grave presunzione l'affermare il Signore schierato da parte dei soldati che involontariamente uccidono, come se fosse una nobile azione quella della guerra, da ambo i fronti, o nobile soltanto per una parte, perché vengono considerati eroi coloro che attaccano il tuo villaggio e la tua comunità e semplici antagonisti coloro che davvero morirono per il bene del paese da dove viene la predica?
Per essere giusti fino in fondo, occorre tenere ben presente un particolare sconcertante delle cause dell'entrata in guerra italiana che pochi sanno e che è stata per anni nascosta, quasi a giustificare una guerra assurda e assolutamente evitabile. Citando l'articolo 11 della Costituzione italiana: "le controversie internazionali si possono e si devono risolvere a tavolino" e non nelle trincee e non col martirio involontario di milioni di giovani sull'altare dell'orgoglio, della presunzione, dell'avidità di potere, del dominio del più forte. Più amara l'enunciazione di Adamello Promisqui apparsa su l'Adige domenica 4 novembre 1979 che dice: "la guerra 1915-18 fu "guerra di popolo", c'erano terre da liberare, c'erano fratelli che chiedevano di essere liberati". Ma quale popolo vuole fare la guerra? "C'erano fratelli che chiedevano di essere liberati", forse il giornalista accenna ai "750" volontari trentini dell'esercito italiano, ma non certo alla popolazione trentina di allora. Alcide Degasperi riferisce nel 1915 che ben il 95% della popolazione desiderava rimanere sotto il governo austriaco. È noto che Degasperi si adoperò perché l'Italia rimanesse fuori dal conflitto e per questo motivo fu condannato, fu detto austricante, ma i fatti e la storia cancelleranno questi concetti errati. Dice lo storico Corsini: "il Trentino da una guerra con l'Italia contro l'Austria sarebbe stato travolto [...], in una situazione eccezionale, oltre alla mobilitazione, all'avvio dei combattimenti nelle zone d'operazione, alla guerra nelle valli, all'occupazione militare dei territori di confine, avrebbe registrato [...] trasferimenti coatti di popolazione, deportazioni, internamenti. Tutto ciò Degasperi non desiderava e sperava fino all'ultimo fosse possibile evitare". Della stessa lunghezza d'onda anche Giovanni Giolitti, il grande statista liberale, per anni ministro degli Interni, che pose la questione dei rapporti fra Stato e movimento operaio al centro della sua politica; anche secondo lui all'Italia sarebbe convenuta una posizione di neutralità, sia per impreparazione alla guerra, sia per lo scopo raggiungibile anche per via "legale". La pubblicazione del Diario di Sidney Sonnino, ministro degli esteri italiano nel 1915, consente di far luce sul colloquio tra lo stesso ministro e Degasperi, deputato trentino al Reichstag di Vienna. Da parte sua Degasperi nel settembre 1914, quando l'Austria era già in guerra e quindi molti trentini erano la servizio della loro patria, non pensava alla possibilità di una cessione diplomatica del Trentino all'Italia che pensava ai compensi territoriali che avrebbe potuto chiedere ed ottenere in base all'articolo 7 del Trattato della Triplice Alleanza. La terza Triplice Alleanza fu firmata a Vienna il 10 maggio 1882; per l'Austria firmò Kalnoky, per la Germania il principe Reuss e per l'Italia Nicolis de Robilant. Il 10 novembre 1914 l'ambasciatore di Germania a Roma Hans von Flotow parlava a Sonnino sulla possibilità di chiedere all'Austria eventuali concessioni per il Trentino. Ma Sonnino pensava e scriveva ancora il 23 novembre, freddo e deciso: "senza la guerra non avremo aumenti di territorio". Soltanto il 9 marzo 1915 l'Austria, convinta dal principe von Bülow, ambasciatore ad interim della Germania, si dichiarò disposta a cedere il Trentino. Per convincere l'imperatore ottantaquattrenne Francesco Giuseppe a cedere, insopportabile sacrificio, il Welschtirol, si ricorse perfino alla signora Schratt fedele amica del vecchio imperatore. Mentre il kaiser a malincuore stava cedendo alle richieste, von Bülow ebbe un'incontro anche con Sonnino per chiedergli, per il rispetto degli accordi dell'alleanza e per una pace possibile, di accontentarsi e di non chiedere di più. La risposta naturalmente fu negativa. Tuttavia in un colloquio con Funder, direttore della Reichpost di Vienna, prima ancora dell'8 marzo 1915, Degasperi gli riferì la situazione: "il 95% della popolazione di lingua italiana del Tirolo del Sud propende, in causa dei suoi naturali interessi, verso l'Austria alla quale ha appartenuto attraverso i secoli. Guardi dunque: i nostri maestri [...] provengono dalle scuole austriache, sanno bene che non resterebbero nelle loro scuole se l'Italia ottenesse il Tirolo del Sud, ma sarebbero sostituiti da maestri del regno italiano. I nostri sindaci non hanno alcuna voglia di scambiare l'autonomia comunale di cui fruiscono in Austria con il ruolo che ha un capocomune in Italia. E dei nostri parroci, Lei non vorrà ammettere che siano stati finora irredentisti tendenti verso l'Italia, che è pur sempre in conflitto con il Vaticano [...]. Così i contadini vignaioli del Trentino: ora la dogana li difende dai vini italiani e dà loro un alto prezzo pel consumo austriaco".
Non si sarebbe potuto dar loro torto, visti i vantaggi avuti in circa 500 anni di amministrazione austriaca. Solo come esempio possiamo citare anche l'introduzione dell'istruzione obbligatoria nel 1700, dell'ufficio Tavolare nello stesso periodo, la corretta gestione del patrimonio forestale e idrico, con la creazione della azienda per la sistemazione dei bacini montani già nel 1800. Ma quello che più rendeva orgogliose le popolazioni dell'Impero è il fatto che "c'era la persona giusta al posto giusto e l'incarico giusto era affidato alla persona giusta".
Anche lo stesso Francesco Crispi, la personalità più rilevante della corsa italiana alle colonie, di chiara impronta "bismarckiana" e dal passato mazziniano e garibaldino, si schierò contro l'irredentismo di fine secolo, "nemico di quell'unità che gli italiani erano riusciti fino ad allora a realizzare: il nazionalismo non doveva essere preso troppo alla lettera come principio direttivo di politica estera". Fu grazie a lui che venne rafforzata la Triplice Alleanza nell'ultimo decennio del secolo.
Lo schieramento neutralista, guidato in primis da Giolitti, era dunque molto più vasto e radicato, per cui alla Camera si sarebbe registrata sicuramente una forte opposizione al governo Salandra, come di fatto si verificò con le conseguenti dimissioni dello stesso Primo Ministro. Ma a sorpresa re Vittorio Emanuele III respinse le dimissioni, dimostrando la sua complicità, e la decisione del governo fu di fatto ribaltata. Nel maggio del 1915 inoltre si assistette alle "radiose giornate" durante le quali furono organizzate diverse manifestazioni di piazza di cittadini interventisti esaltati dalle idee patriottiche di Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini, e soprattutto dalle azioni clamorose di Gabriele D'Annunzio che trascinavano così la folla verso una guerra più grande di loro.
Per giustificare questa guerra voluta (da una minoranza della Nazione) si disse che le concessioni asburgiche non coincidevano con gli ideali della geopolitica risorgimentale. Infatti tra i territori che l'Austria avrebbe ceduto subito all'Italia erano stati omessi i distretti di Cavalese, Cles, Mezzolombardo, Primiero, Madonna di Campiglio e tutto l'Alto Adige [occorre parlare di Sudtirolo dato che questo nome è stato coniato in pieno periodo fascista], quest'ultimo per un 10 % scarso "italiano". L'imperatore Francesco Giuseppe non era disposto a cedere queste valli di lingua italiana ma pur sempre di coscienza asburgica. Neppure le ulteriori trattative riuscirono a far coincidere richieste e offerte; l'Italia volle colpire l'amica alleata Austria al fianco; Sidney Sonnino, favorevole dapprima agli Imperi centrali, rimase con la convinzione che solo con la guerra si sarebbe ottenuto il Trentino, e firmò sciaguratamente il Patto di Londra del 26 aprile 1915, denunciò il trattato della Triplice Alleanza il 4 maggio e dichiarò guerra all'Austria il 23 maggio di quello stesso anno. Le trattative sul libro verde (italiano) e sul libro rosso (austriaco) fallirono e l'Italia preferì immolare 670.000 (seicentosettantamila !!) giovani che non volevano la guerra, pur di raggiungere lo scopo che le nuove trattative avrebbero forse conseguito. Altrettanti soldati perirono involontariamente sull'altro fronte.





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Val Primiero - Primör