GENNAIO 2006

Quando l’innovazione rimane solo una “questione di facciata”…

di Maria Letizia PELUSO

 

Chiunque lavori nella scuola sa bene quali e quante siano le difficoltà che bisogna affrontare ogni volta che si cerca di avviare una “riforma”, più o meno radicale, del sistema educativo e formativo. Ogni insegnante vive i momenti di transizione con maggiore o minore coinvolgimento, in virtù della propria sensibilità e degli strumenti culturali di cui è in possesso, ma nessuno, credo, riesca a  sottovalutare o ignorare completamente il disagio che ne deriva, al massimo riesce a mettere in atto un tentativo di rimozione psicologica che induce a demandare ad altri le decisioni oppure a ricacciare  sistematicamente nell’inconscio le responsabilità individuali. 

È vero che la nostra categoria è stanca di essere coinvolta continuamente in rivolgimenti definiti “epocali”, che sembrano mettere in discussione, a cadenza ormai troppo ravvicinata, tutto il bagaglio di competenze e conoscenze acquisite, ma è pur vero che la nostra non può essere considerata una professione statica ed ha bisogno di essere aggiornata ed attualizzata per poter rispondere positivamente alle richieste dell’utenza.

Ciò che mi ha lasciata sempre molto perplessa, invece, è il dover constatare che troppo spesso i cambiamenti si fermano soltanto alla facciata: basta cambiare qualche parola qua e là, modificare registri e modelli che evidenziano in copertina le magiche parole (per la gioia delle case editrici!), attribuire incarichi e referenze al “miglior offerente” e il gioco è fatto!

Nella sostanza non cambia niente, ma l’apparenza è salva!

Sono contenti al MIUR perché i risultati delle statistiche e dei monitoraggi corrispondono alle attese, contenti i dirigenti perché possono fare bella mostra delle loro capacità manageriali, contenti i docenti che con il minimo sforzo hanno ottenuto il massimo: essere lasciati in pace!

Dimenticavo…”contenti”, (ma mi verrebbe la voglia di premettere una parolina molto eloquente!) anche i genitori degli alunni che, pur rimanendo molto confusi, a causa di informazioni parziali e frammentarie, non vengono sconvolti più di tanto nelle loro convinzioni consolidate su una scuola che, nella stragrande maggioranza, preferiscono continui ad essere quella che hanno frequentato loro e i loro antenati, fatta di apprendimento mnemonico e giudizi insindacabili.

Ma a chi conviene delegittimare in questo modo i progressi che la scuola ha fatto in tanti anni di studi e sperimentazioni? A chi giova, ad esempio, considerare il portfolio delle competenze come “una delle tante carte che nessuno leggerà mai” , come un atto burocratico o, peggio ancora, come un pericoloso strumento predittivo?

Sicuramente a chi ha fatto della propria professione un mestiere come tanti altri, a chi fa prevalere un atteggiamento di accettazione passiva, a discapito del rispetto per la dignità professionale per la quale bisognerebbe lottare sempre e non solo quando si è coinvolti individualmente. Di sicuro non giova agli alunni ed al loro sacrosanto diritto ad avere una formazione adeguata e vaste prospettive per un futuro consono alle loro esigenze.

Credo, inoltre,  che non piacerebbe a nessuno avere una casa che all’esterno sembra una reggia se al suo interno i pavimenti fossero sconnessi, dal soffitto pendessero fitte ragnatele e le pareti trasudassero umidità!