Tahar Ben Jelloun

L'amicizia 

Einaudi, Torino 1995

 

Molti anni fa lessi un libro dal titolo “Notte fatale” e rimasi affascinata dalle atmosfere che riusciva ad evocare, sebbene si trattasse di una storia difficile, nella quale la protagonista, costretta a vivere da maschio per soddisfare il desiderio del padre che dalle sue innumerevoli mogli aveva avuto solo figlie femmine, andava alla ricerca di un’identità che le era stata negata fin dalla nascita.

Fu il mio primo incontro con lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. Dopo qualche anno, stavo leggendo un altro romanzo dello stesso autore dal titolo “Creatura di sabbia”, quando nel girovagare in una grande libreria di Roma, mi capitò tra le mani questo piccolo volume. Riuscii a leggerlo in poche ore, catturata dall’incisività dell’analisi di un sentimento complesso come l’amicizia, fatta dall’autore e raccontata attraverso esperienze personali.

Egli dice “Per parlare dell’amicizia, non andrò a compulsare opere e testi nelle grandi biblioteche. Farò semplicemente una riflessione su me stesso. Vi racconterò le mie storie di amicizia, storie favolose o banali, sorprendenti o qualsiasi”.

Per chiunque legga questo breve saggio, difatti, è facile ritrovarsi nel racconto dell’io narrante. A me è capitato più volte di ritrovare me stessa nelle parole di Ben Jelloun, come, ad esempio, quando ricorda “quella prima ferita nell’amicizia”, vissuta come una piaga ancora viva, oppure quando parla dell’evoluzione delle relazioni e di quegli amici che “quando avevamo vent’anni erano nel primo cerchio, si ritrovano dieci o vent’anni più tardi , allontanati o addirittura dimenticati…”, o ancora quando descrive gli incontri con i “maestri di vita”.

Ne consiglio la lettura perché il testo racchiude una “morale” che può essere sintetizzata in questa citazione di Cicerone:

“Senza virtù non vi è amicizia possibile.

In ogni occasione è importante riflettere su ciò che ci si aspetta da un amico e su quanto si è disposti a dargli.”