Giuseppe Pontiggia

Nati due volte

Mondatori, Milano 2000

 

 

Nati due volte, è un romanzo in cui Giuseppe Pontiggia racconta in prima persona il rapporto di un padre con il figlio affetto da tetraparesi spastica, ma evidenzia anche la stupidità e la superficialità degli altri, nonchè la vana ricerca della normalità.

Il padre è un giovane insegnante che spesso appare titubante, spaventato dalle responsabilità che derivano da un problema così grande e spesso tenta la fuga rifugiandosi in se stesso. Le difficoltà che è costretto ad affrontare quotidianamente, però, lo aiutano a crescere, mentre il ragazzo impara progressivamente a sopravvivere alla minorazione.

I bambini disabili, come suggerisce il titolo del romanzo, nascono due volte: la prima quando vengono al mondo indifesi e fragili, spesso accettati a fatica dalla stessa famiglia, la seconda quando riescono a farsi accettare nell’universo dei “normali” e a conquistare la fiducia in se stessi, grazie all’amore  ed all’intelligenza degli altri.

Ma “chi è normale?”, si interroga l’autore in una delle pagine, a mio avviso,  più significative.

“Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste. Il lessico che la riguarda diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico. Si usano, nel linguaggio orale, i segni di quello scritto: «I normali, tra virgolette». Oppure: «I cosiddetti normali».”

 

Molto toccante, inoltre, l’analisi della percezione del diverso nella nostra società che fatica a rispettare, persino con la definizione delle loro difficoltà, chiunque abbia una limitazione fisica o psichica.
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“Se qualcuno usa come epiteto spregiativo "spastico" o "mongoloide", si può essere certi che nessuno della sua famiglia lo è. Le disgrazie, fra i tanti effetti, ne hanno alcuni linguistici immediati, ci rendono sensibili al lessico interessato dal problema. Si potrebbe aggiungere, con una illazione, che uno scrittore è chi è perennemente sensibile alle disgrazie del lessico, anche se non ne viene coinvolto. E che non aspetta di esserlo per riflettere sulle differenze dei significati. Questo contribuisce a spiegare come l'area lessicale dell'handicap sia ormai in preda alla nevrosi. Molti si chiedono perché cieco sia diventato non vedente e sordo non udente. Forse una spiegazione plausibile è che cieco definisce irreparabilmente una persona, mentre non vedente circoscrive l'assenza di una funzione.”

 

Dal libro è stato tratto il film di Gianni Amelio Le chiavi di casa, candidato al Premio Oscar 2004-2005.