CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI

PRIMA SEZIONE

ADUNANZA DEL 21.04.1998 N. DEL PROTOCOLLO 21

 

OGGETTO:

Quesiti interpretativi relativi al D.M. 16.1. "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche" formulati dalla Regione E. Romagna. AFFARI GENERALI.

LA SEZIONE

VISTA la nota n. 111/112/113 in data 14.01.1998 con la quale Servizio Tecnico Centrale ha trasmesso per esame e parere di questo Consiglio Superiore la richiesta in argomento;

ESAMINATI gli atti;

UDITA la Commissione Relatrice

PREMESSO

Con note n.13940, 13942 e 13943 del 10.6.1997 1'Assessorato Territorio, Programmazione e Ambiente della Regione Emilia Romagna ha sottoposto al Servizio Tecnico Centrale del Consiglio Superiore dei LLPP. una serie di quesiti inerenti l'applicazione delle "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", di cui al D.M. 16.1.1996. Con successiva nota n.11/112/1 13/AA.GG. del 14.1.1998 il Servizio Tecnico Centrale, ritenendo i quesiti posti meritevoli di approfondimento, ha ritenuto opportuno trasmettere le note su citate, per esame e parere, al Consiglio Superiore dei LL.PP. Il quesito di cui alla nota n.13940 riguarda l'interpretazione del punto C.6.3 delle norme in parola, concernente la valutazione degli effetti del sisma sugli elementi non strutturali e sugli impianti. In particolare, con riferimento al controllo degli spostamenti per le strutture intelaiate, al fine di eliminare o comunque limitare fortemente i danni agli elementi non strutturali ed agli impianti per terremoti di medio-bassa intensità, il punto C.6.3. prevede: "In mancanza di una specifica valutazione degli effetti del sisma sugli impianti e sugli elementi non strutturali, indicando con h l'altezza d'interpiano, le verifiche di stabilità di cui al punto B. 9. possono ritenersi soddisfatte se: hi £ 0, 002h in presenza di elementi non strutturali in materiale fragile (laterizio o simili) aderenti alla struttura; Nella nota pervenuta si chiede se, al fine del soddisfacimento della citata verifica, possa tenersi conto, in presenza di pannelli murari di tamponamento efficaci, della interazione tra i telai ed i pannelli murari secondo le modalità indicate all'allegato 2

della Circolare 10 aprile 1997, n.65/AA.G.G.. "Istruzioni per l'applicazione delle Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche di cui al decreto ministeriale 16 gennaio 1996"; se, in altre parole, per "specifica valutazione degli effetti del sisma" si possa intendere anche l'assunzione di un modello di calcolo, ai fini della valutazione degli spostamenti relativi massimi, che comprenda l'effetto irrigidente dei pannelli dì tamponamento efficaci schematizzati come bielle compresse entro le maglie del telaio in c.a. (considerando quindi, in ultima analisi, la presenza di pannelli di tamponamento efficaci anche come una "risorsa" per la struttura). Si chiede, inoltre, in considerazione che in questo caso i pannelli di tamponamento vengono a far parte dell'organismo strutturale dell'edificio, come garantire che non avvengano successive manipolazioni o rimozioni dei pannelli senza che il tutto sia preventivamente verificato da un tecnico abilitato. Il quesito di cui alla nota n. 13942, accompagnato da tre schemi esemplificativi, è, invece, relativo all'interpretazione del punto C.3 delle nonne, concernemente "Limitazione dell'altezza in funzione della larghezza stradale". In particolare, riferendosi al caso di edifici che, pur costituendo un unico organismo strutturale, siano formati da corpi di fabbrica di diversa altezza, con arretramento delle porzioni di maggiore altezza rispetto alla strada, viene chiesto quale debba essere l'altezza massima da confrontare con la distanza stradale. Il quesito di cui alla nota n. 13943, anch'esso accompagnato da tre schemi esemplificativi, è, infine, relativo all'interpretazione dei punti C.9.O e C9.1.1 concernenti gli interventi sugli edifici esistenti. In particolare, rilevando che al punto C.9.1.1., ultimo comma, è detto:

"Le sopraelevazioni, nonché gli interventi che comportano un aumento del numero di piani, sono ammissibili esclusivamente ove siano compatibili con le larghezze delle strade su cui prospettano; è altresì ammissibile una variazione di altezza, senza il rispetto delle norme dl cui ai punti C..2. e C.3. qualora sia necessaria per l' abitabilità degli ambienti a norma dei regolamenti edilizi, sempre che resti immutato il numero di piani." si chiede come interpretare la norma in tre casi specifici riportati negli schemi esemplificativi che accompagnano il quesito e che possono così essere riassunti: 1. In un edificio in muratura si vuole trasformare il piano sottotetto, attualmente non abitabile (secondo i regolamenti edilizi) in piano abitabile, posizionando il solaio esistente ad una quota inferiore e mantenendo l'altezza totale dell'edificio invariata. 2. In un edificio in muratura, ove esiste un piano con altezza utile di circa 5,50-6,00 m, si intende aggiungere un solaio, realizzando così un piano intermedio in più, pur mantenendo l'altezza totale dell'edificio invariata. 3. In un edificio in muratura, volendo incrementare la superficie utile del piano sottotetto, già utilizzato in parte come abitazione, si intende innalzare la quota di imposta della copertura a falde.

CONSIDERATO

Con riferimento al quesito di cui alla nota n. 13940, la Sezione ritiene che sia lecito, come indicato nella nota, adottare un modello di calcolo costituito dalla Struttura

intelaiata integrata dalla presenza dei pannelli murari, purché essi risultino effettivamente "efficaci" e, quindi, ben ammorsati nel riquadro strutturale e dotati di adeguata resistenza. Per quanto concerne la seconda parte del medesimo quesito, si condivide l'esigenza di verificare a posteriori che non vengano apportate modifiche o rimozioni degli stessi pannelli murari di tamponamento, perché ovviamente interventi di questo tipo altererebbero le condizioni poste a base della verifica di stabilità; al riguardo si ritiene che sia specifica funzione e responsabilità del progettista, incaricato di eventuali future trasformazioni, redigere il relativo progetto tenendo conto adeguatamente dello stato di fatto dell'edificio e dei pregressi interventi statici. Con riferimento al quesito di cui alla nota n. 13943, concernente interventi in edifici esistenti, occorre distinguere i casi schematizzati in quanto diverse appaiono le situazioni. Si ritiene opportuno iniziare l'esame dal terzo schema esemplificativo proposto. In tale caso, in un edificio esistente in muratura, volendo incrementare la superficie utile del sottotetto, già parzialmente utilizzato ai fini abitativi, si intende innalzare la quota di imposta del solaio di copertura a falde. La Sezione ritiene che tale ipotesi di intervento sia compatibile con quanto riportato all'ultimo comma del punto C.9.1.1., ove è espressamente detto: "è altresì ammissibile una variazione di altezza, senza il rispetto delle norme di cui ai punti C..2. e C.3., qualora sia necessaria per l'abitabilità degli ambienti a norma dei regolamenti edilizi sempre che resti immutato il numero dei piani."

Nel primo caso in esame, in una situazione simile alla precedente, volendo consentire l'abitabilità del sottotetto, attualmente non abitabile, si fa riferimento alla possibilità di posizionare il solaio di sottotetto esistente ad una quota inferiore, in modo da consentire l'abitabilità (nel rispetto del regolamento edilizio) dello stesso sottotetto, pur lasciando l'altezza dell'edificio invariata. In primo luogo si evidenzia che, nel caso si debbano eseguire lavori di adeguamento antisismico dell'edificio", un lieve spostamento, in alto o in basso, del solaio suddetto, potrebbe rendersi necessario onde consentire l'inserimento di un cordolo perimetrale. Tale possibilità apparirebbe non consentita, qualora si ritenesse che, con lo spostamento del solaio di sottotetto, si verificherebbe un aumento del numero di piani. Assume, peraltro, fondamentale importanza, ai fini di una corretta interpretazione della norma, la definizione del concetto di "piano" che involve sia la idoneità alla funzione strutturale del solaio, quale struttura orizzontale con impegno statico (non certamente come controsoffittatura), sia la idoneità alla fruibilità abitativa, (che comunque presuppone anche la funzione statica), che si collega all'accezione più corrente del termine quale "piano abitabile". La Sezione ritiene che entrambi gli aspetti sopra citati rivestano carattere di rilievo, influendo l'uno sul comportamento strutturale degli edifici e l'altro sulla densità edilizia che, in caso di evento sismico, va ad incidere sia sulle condizioni di evacuazione degli edifici stessi che, più in generale, sulle condizioni di sfollamento e di percorribilità delle vie di accesso da parte di mezzi di soccorso. Tali aspetti peraltro convergono nella nozione di "piano" in concreto emergente dal sistema normativo di cui al DM 16.1.96.

Al riguardo si osserva che il punto C.9.1.1.. già esaminato a proposito della schema n.3 contenuto nella richiesta di parere n. 13943, dispone che sono consentite (negli edifici esistenti) variazioni di altezza necessarie ad assicurare l'abitabilità degli ambienti a norma dei regolamenti edilizi " sempre che resti immutato il numero dei piani ". Si desume da questa disciplina che l'esistenza e il numero dei piani debbono essere identificati a prescindere dal requisito formale dell'abitabilità degli ambienti sovrastanti. Si deve quindi ritenere che la nozione di "piano" adottata dal DM 16.1.96 relativamente agli edifici esistenti comprende sia quella "strutturale" sia quella "funzionale" ancorchè non pienamente rispondente ai requisiti igienico-sanitari previsti dai regolamenti edilizi. In conclusione, a parere della Sezione, l'intervento in esame può essere considerato compatibile con le nonne se il solaio di sottotetto sia un effettivo solaio e, non ,quindi, una struttura leggera di semplice orizzontamento, e, inoltre, tale che risulti già adibito ad uso abitativo o ad esso assimilabile (sottotetto praticabile). L'ultimo schema esemplificativo (il secondo nell'ordine prospettato dalla citata nota della regione) rappresenta il caso in cui, lasciando invariata l'altezza dell'edificio, si voglia inserire ex-novo un solaio, onde sfruttare al massimo la volumetria esistente ed aumentare, quindi, il numero dei piani. Per quanto detto finora, appare sicuramente non ammissibile un intervento in tale senso che comporta un aumento del numero dei piani, comunque li si voglia definire. Infine, con riferimento al quesito di cui alla nota n. 13942, concernente l'interpretazione del punto C.3. "Limitazione delle altezze in funzione della larghezza stradale", appare fondamentale esaminare l'attuale disciplina, sotto l'aspetto delle sue finalità antisismiche, riguardo ai rapporti tra altezza degli edifici e larghezza della sede stradale.

Il punto C.3. del DM 16.1.96 prevede che quando un edificio prospetta su strade "la sua altezza per ciascun fronte dell'edificio verso strada…non può superare" determinati valori. La previgente disciplina, contenuta nel DM 24.1.1986, stabiliva che "quando un edificio prospetta su...strade...l'altezza massima dell'edificio...per ciascun fronte dell'edificio non può superare" determinati valori. A parere della Sezione, tra le due formulazioni corrono soltanto limitate differenze di ordine testuale, ma il contenuto dispositivo è rimasto sostanzialmente identico. Si deve comunque ritenere che il dato da rapportare alla larghezza della sede stradale sia tuttora l'altezza massima dell'edificio sul fronte esterno, rappresentato dalla massima differenza fra il piano di copertura più elevato ed il terreno, ovvero, il piano stradale" (punto C.2 1° cpv). Dalla lettura complessiva del punto C.3. emerge invero che il riferimento al "fronte verso strada" è posto soltanto allo scopo di individuare con certezza il limite in cui si attesta il "contorno dell'edificio" (da cui dovrà essere effettuata la misurazione della larghezza della strada); -il secondo paragrafo (punto a) definisce infatti il contorno come "la proiezione In pianta del fronte dell'edificio stesso". Al di là di questo, la nozione di "fronte" non svolge alcuna ulteriore funzione nel contesto della norma in esame, la cui lettura inequivocabilmente individua come termini del rapporto la larghezza della strada e l'altezza dell'edificio come prima definita. Nel senso sopra detto deve, tra l'altro, intendersi precisato quanto espresso al riguardo dal voto 21.10.97 n.489 di questa Sezione, confermandosi per il resto quanto ivi osservato, in particolare circa l'opportunità di evitare irregolari morfologie edilizie.

In linea generale, in relazione ai quesiti posti, si evidenzia che, se si astrae da una esegesi della norma limitata al mero tenore letterale, che conduce inevitabilmente a considerazioni di calcolo impostate su dati esclusivamente geometrici e, viceversa, si affrontano più concettualmente le questioni interpretative secondo criteri ed analisi interdisciplinari. si deve concludere che soprattutto una razionale e corretta politica urbanistica ed un adeguato governo delle trasformazioni edilizie ed urbane nelle zone sismiche possono consentire di contemperare le prioritarie esigenze di sicurezza con le pur legittime aspettative di ottimale ed economica utilizzazione dei suoli e delle preesistenze. Al riguardo si osserva che, a livello di pianificazione urbanistica attuativa, possono essere distinte due fondamentali categorie di intervento: la nuova costruzione in zone di completamento o di espansione, e gli interventi di restauro, recupero, ristrutturazione e ricostruzione in zone storicamente consolidate ed, in particolare, nei centri storici. Nel primo caso il contesto ambientale è generalmente caratterizzato dall 'assenza o, comunque, dalla scarsa rilevanza, dal punto di vista semantico, di preesistenze architettoniche che possano condizionare sostanzialmente la progettazione dei nuovi insediamenti. Una siffatta situazione "al contorno", priva di vincoli architettonici, rende non solo auspicabile ma quasi necessaria l'applicazione del requisito della "regolarità di forma" degli edifici, a livello sia planimetrico che volumetrico, implicito nella normativa per le costruzioni antisismiche, nonché l'applicazione integrale e più larga delle norme relative al rapporto altezza-larghezza stradale. Ciò consente, infatti, di assicurare un maggior grado di sicurezza rispetto all'insieme delle situazioni e degli effetti determinati dall'evento sismico.

Nel secondo caso, quando si tratti di interventi nell'ambito di un contesto urbano consolidato e, soprattutto, in presenza di tessuti storici, il criterio di sicurezza sopra richiamato va contemperato con le esigenze di valorizzazione e utilizzo ottimale delle strutture esistenti, di rispetto dell'identità urbana del sito e di salvaguardia dei valori storico-architettonici che lo connotano. Nei centri storici i rapporti dimensionali tra altezza degli edifici e larghezza delle strade non sono esattamente codificabili, in quanto assumono valori non connessi a regole e norme che appartengono alla città recente. Per tali motivazioni, in questi contesti, deve essere consentita, cosi come previsto dall'art. 12 della legge n.64/74, un' interpretazione più ampia della norma che permetta, nei limiti del possibile, di contemperare l'esigenza di salvaguardare le caratteristiche ambientali dei centri storici attraverso il meccanismo delle deroghe alle nonne sismiche relative alle nuove costruzioni. Viceversa, nelle zone di nuova espansione, l'applicazione dei principi di una corretta progettazione antisismica, assunti questi come risorse concettuali finalizzate al raggiungimento di un maggior grado di sicurezza dei fruitori, che in definitiva si traduce in una migliore qualità di vita, non dovrà essere percepita come un ostacolo alla progettazione nell'ambiente urbano ed alla libertà di espressione ma, anzi, come uno stimolo concreto a ricercare e raggiungere, anche sulla base della normativa antisismica, risultati soddisfacenti rispetto alla attuale domanda di qualità e sicurezza degli insediamenti. Tutto ciò premesso e considerato, la Sezione, all'unanimità

E' DEL PARERE

espresso nei considerato che precedono.

La Commissione Relatrice:

 

 

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CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI

PRIMA SEZIONE

ADUNANZA DEL 12.05.1998 N. DEL PROTOCOLLO 171

OGGETTO:

RIETI Quesito in merito all'applicazione del punto C.3 (limitazione dell'altezza in funzione della larghezza stradale) di cui al D.M. 16.01.1996. Recupero di un fabbricato del comune di BORBONA LA SEZIONE

VISTA la nota n. 49/AA.GG. data 08.04.1998 con la quale il Servizio Tecnico Centrale ha trasmesso, per esame e parere di questo Consiglio Superiore la richiesta in argomento;

ESAMINATI gli atti;

UDITA la Commissione Relatrice

PREMESSO

Con la nota n. 1814 del 27.2.98, la Regione Lazio - Assessorato Opere e Reti di Servizi e modalità- Settore Decentrato di Rieti, ha trasmesso richiesta di parere in merito all'applicazione del punto C.3 (limitazione dell'altezza in funzione della larghezza stradale) delle Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche" di cui al D.M. 16.1.1996. Con successiva nota n. 49/AA.G. dell'08.04.1998 il Servizio Tecnico Centrale, ritenendo che il quesito prospettato dalla Regione Lazio investa profili interpretativi di interesse generale, ha considerato opportuno trasmettere il quesito in argomento, in esame e parere, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il quesito riguarda il progetto di recupero di un fabbricato in muratura da realizzarsi mediante il mantenimento dei soli pannelli murari di facciata e l'inserimento, al loro interno, di una nuova struttura portante intelaiata in c.a. in sostituzione di quella originaria, degradata per mancanza di opera manutentoria. Nelle ipotesi progettuali è previsto un collegamento tra la nuova struttura indipendentemente ed i muri perimetrali originari attraverso dispositivi di ancoraggio ai cordoli di piano. Gli interventi proposti, finalizzati all'adeguamento delle quote dei solai alle disposizioni edilizie comunali, determinerebbero un'altezza in gronda insufficiente, a norma di Regolamento, per l'inabilità dell'ultimo piano. Per il superamento di tale limite il progetto prevede un incremento della quota in gronda tale da raggiungere un'altezza superiore alla larghezza della strada sulla quale l'edificio prospetta, in difformità a quanto disposto dal punto C.3 del citato D.M. Al riguardo la Regione Lazio nella nota citata precisa che: "Per quanto disposto dal punto C.3 (limitazione delle altezze in funzione della larghezza stradale), D.M. 16.1.1996, tale edificazione appare non proponibile per l'insufficiente larghezza dalla via". Tuttavia la lettura del voto n. 216 espresso dalla 1^ Sezione di codesto Consiglio in data 16.7.1981 consente la richiesta di un parere in merito alla fattibilità di specie trattandosi di similare casistica e caratteristica di intervento (recupero del patrimonio edilizio esistente: mantenimento della tipologia di prospetto con aumento delle altezze originarie) ".

A sua volta il Servizio Tecnico Centrale osserva quanto segue: "Sottolinea questo Servizio al riguardo che le norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche di cui al citato D.M. 16.01.96 prescrivono, al punto C.9.1. lett. d) interventi di adeguamento ove si intendano "effettuare interventi strutturali rivolti ad eseguire opere e modifiche per innovare e sostituire parti strutturali dell'edificio, allorché detti interventi implichino sostanziali alterazioni del comportamento globale dell'edificio stesso" pertanto per casi che si ritengono assimilabili a quello in esame. Nell'ambito dell'adeguamento le stesse norme ammettono variazioni di altezza, in deroga ai punti C.2 e C.3, qualora queste si rendano necessarie per l'abitabilità degli ambienti, a norma di regolamento edilizio, sempre che resti immutato il numero dei piani. Si ritiene opportuno inoltre evidenziare come l'intervento di che trattasi si configuri quale ristrutturazione ex art.31 lett, d) L. 457/78 - se non quale intervento di restauro e risanamento conservativo (Cons. Stato Sez. V, 11.11.94, n. 1269) - non già come nuova costruzione, nel qual caso correrebbe l'obbligo, in particolare del rispetto delle limitazioni di cui ai punti C.2 e C.3 delle norme antisismiche. A conferma di tale linea interpretativa si colloca - ad avviso di questo Servizio- anche la Circolare n. 57/E del 24.02.1998, di recentissima pubblicazione, di cui si allega copia applicativa degli artt. 1 e 13 della legge 27.12.1997, n. 442 sugli sgravi fiscali per interventi di recupero del patrimonio edilizio, che - al punto 3.4 individua le categorie di opere edilizie rubricate nella legge di incentivazione. Per quanto su esposto, appare ammissibile l'intervento di specie, sempre che vengano assicurati efficaci collegamenti fra la muratura perimetrale originaria e la nuova struttura in c.a."

CONSIDERATO

Con riferimento al quesito in argomento si rileva preliminarmente che la stessa Regione Lazio evidenzia nella propria nota del 27.2.1998 che l'intervento " non proponibile" per quanto disposto dal punto C.3 del D.M. 16.1.1996. Pertanto il quesito non avrebbe ragione di essere posto. Tuttavia la stessa Regione, e con essa il servizio Tecnico Centrale, nelle rispettive note, fanno riferimento ad un voto del Consiglio Superiore del 16.7 1982 n.216, a supposto delle richieste di chiarimento al quesito.

Al riguardo va rilevato che il richiamo al voto n.216 non appare pertinente per le seguenti motivazioni: a) poiché si tratta di diversa fattispecie, in quanto l'intervento in quel caso non comportava aumento di altezza; b) poichè il voto era relativo ad un intervento di "riparazione" di un edificio, certamente non assimilabile alla completa ristrutturazione, che caratterizza il caso di specie; c) poiché il voto richiamava la normativa di cui al D.M. del 1975, che è stata superata e sostanzialmente modificata dalla normativa attuale. Accanto a tali questioni di merito, che risultano pregiudiziali, si fa altresì notare marginalmente, in quanto non rientra nelle competenze di questo Consiglio Superiore, che gli elaborati presentati contengono incongruenze tra stato di fatto e progetto e tra relazioni e tavole grafiche, tali da non consentire di rilevare con chiarezza il numero e la dislocazione dei solai ( vedasi in particolare il rapporto tra posizione dei solai e delle bucature di prospetto). Ciò rilevato, in considerazione delle implicazioni di carattere generale che il caso singolo sottende, si forniscono i chiarimenti e gli indirizzi richiesti dalla Regione, che ha la competenza ad esprimersi sul caso specifico. Al riguardo, innanzi tutto si richiama integralmente il parere recentemente espresso da questa sezione con voto n. 21 del 21.4.1998. A tali considerazioni di carattere generale, nella presente fattispecie della ristrutturazione edilizia con esclusiva conservazione delle facciate, va aggiunta che, dal punto di vista architettonico ed ambientale il concetto di "mantenimento della tipologia del prospetto", così come teorizzato, è antitetico rispetto a qualsiasi corretta concezione del recupero. Infatti conservare una tipologia edilizia significa mantenere gli elementi essenziali costitutivi dell'organismo architettonico e quindi innanzi tutto l'ossatura muraria ed in particolare i muti di spina dell'edificio, che configurano strutturalmente e spazialmente i manufatti con caratteri storici. In ogni caso non è ammissibile conservare di un edificio antico soltanto le facciate, poiché esse, di per sé, non possono connotare la permanenza dei valori storici sedimentati in un manufatto, se viene annullato il rapporto compositivo e funzionale che le collega all'assetto strutturale e distributivo dell'edificio. Anche riguardo agli aspetti statici una simile metodologia d'intervento non può considerarsi corretta.

In particolare, da un punto di vista specificatamente statico, si osserva che la struttura in c.a. di nuova realizzazione destinata a sostituire il preesistente orizzontamento, risulterebbe collegata in modo assai ridotto e comunque, di necessità, puntuale alla scatola muraria perimetrale, con ciò ingenerando forti dubbi sulla stabilità di quest'ultima in presenza di azioni sismiche. Tutto ciò premesso e considerato, la Sezione all'unanimità

E' DEL PARERE

Espresso nei considerato che precedono

 

 

 

 

 

CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI

PRIMA SEZIONE

ADUNANZA DEL 25.05.1999 N. DEL PROTOCOLLO 167

 

OGGETTO:

Richiesta di chiarimenti relativi alla validità temporale delle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli artt. 17 e 18 della Legge 64/74.

LA SEZIONE

VISTA la nota n. 66/AA.GG. in data 5 maggio 1999 con la quale il Servizio Tecnico Centrale trasmette, per esame e parere, l'affare in oggetto indicato;

ESAMINATI gli atti;

UDITA la Commissione Relatrice (D'Antonio, Lucchese, Fralleone, Sanpaolesi, Napolitano, Gentili)

PREMESSO Con la lettera in data 5.5.1999 n. 66/AA.GG. il Servizio Tecnico Centrale ha trasmesso, per esame e parere, un quesito concernente l'applicabilità della nuove norme sismiche emanate col D.M. 16.1.1996 ed entrate in vigore il 5.6.1996 ad opere i cui progetti, siano stati depositati ai sensi dell'art. 17 della Legge 64/74 entro tale termine per le quali non sia stata ancora rilasciata la concessione edilizia. In particolare, con la suddetta nota, il Servizio Tecnico Centrale fa presente quanto segue: "Con nota del 2 marzo 1999 l'Ufficio del Genio Civile di Palermo, competente ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui agli artt. 17 e 18 della Legge 64/74, prendendo spunto da un quesito posto dal Sindaco del Comune di Trabia (PA), ha richiesto a questo Servizio un chiarimento in merito alla validità temporale delle autorizzazioni rilasciate prima dell'entrata in vigore del D.M. 16.1.1996. In particolare si chiede se le autorizzazioni rilasciate antecedentemente l'entrata in vigore del citato D.M. e, quindi, sotto la vigente del precedente D.M. 24.1.1986, e per le quali non si fosse ancora proceduto alla realizzazione delle opere, fossero tuttora valide. Viene poi richiesto se le variazioni sostanziali a progetti autorizzati ai sensi del D.M.24.1.1986 dovessero essere autorizzate secondo lo stesso D.M. o secondo il vigente D.M. Tutto ciò, essenzialmente, con riferimento alle mutate disposizioni in materia di altezza dei fabbricati in funzione della larghezza delle strade su cui prospettano. In merito il Servizio tecnico Centrale rileva, preliminarmente, che il Ministro dei LL.PP., con D.M. 4 marzo 1996, nel prorogare al 5 giugno dello stesso anno il termine per l'entrata in vigore delle nuove norme tecniche per le costruzioni in zona sismica (D.M. 16.1.1996) stabilì che le disposizioni in esse contenute non andavano applicate, in via transitoria, ai seguenti casi: 1. opere pubbliche e private i cui progetti risultino presentati all'Ufficio del Genio Civile competente, ai fini del conseguimento del visto previsto dall'art. 17 della Legge 64/74, entro la data del 5.6.1996; 2. opere pubbliche di Amministrazioni che abbiano un ufficio tecnico con a capo un ingegnere (ex art. 4 della Legge 1086/71) per le quali sia pubblicato, sempre entro la data del 5.6.1996, il bando di gara dell'appalto ovvero, se appaltate a trattativa privata, sia stato sottoscritto il relativo contratto. Dalle disposizioni di legge sopra citate, dovrebbe, pertanto, evincersi che le autorizzazioni rilasciate prima dell'entrata in vigore del D.M. 16.1.1996 siano tutt'ora valide.

Si ritiene, infatti, che lo spirito delle disposizioni emanate con il D.M. 4.3.1996 fosse quello di consentire, in via strettamente transitoria, la costruzione di edifici progettati con le norme tecniche vigenti in precedenza. Lo stesso D.M. non poteva, ovviamente, tenere conto, che a causa dell'eccessivo prolungamento dell'iter procedurale per il rilascio di concessioni edilizie - la cui causa è difficilmente valutabile in questa sede - potessero essere considerate "transitorie" opere da realizzare a distanza di oltre tre anni dall'entrata in vigore del D.M. 16.1.1996. Per quanto riguarda la seconda parte del quesito posto, ferma restando la necessità che le varianti strutturali a progetti già autorizzati debbano essere a loro volta oggetto di nuova autorizzazione, questo Servizio ritiene che detta autorizzazione debba essere rilasciata ai sensi delle nuove disposizioni solo se le modifiche apportate alla struttura risultano disciplinate in modo differente nelle nuova normativa. A titolo esemplificativo si potrebbe ritenere che se le varianti apportate al progetto non incidono minimamente sulla altezza del fabbricato non sia necessario richiedere il rispetto delle nuove disposizioni di cui agli artt. C2 e C3. Dato il carattere generale di interpretazione delle norme nonché la valenza della risposta che il quesito posto può comportare, si ritiene necessario acquisire il parere della competente Sezione di codesto Consesso".

CONSIDERATO

Il primo dei quesiti in esame concerne il permanente della validità delle autorizzazioni rilasciate dal Genio Civile ex art. 18 della Legge 2.2.1974, n. 64, successivamente all'emanazione del D.M. 16.1.1996, con il quale è stato approvato l'aggiornamento della norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche, anche nei casi in cui il rilascio della concessione edilizia, che conclude l'iter autorizzativo, si verifichi dopo un notevole lasso di tempo dall'emissione della suddetta autorizzazione. L'art. 2 del citato D.M. 16.1.1996, in conformità all'art. 32 della predetta legge 64/74, stabiliva che le suddette norme tecniche entrassero in vigore trenta giorni dopo la pubblicazione del decreto della Gazzetta Ufficiale.

Successivamente, il D.M. 4.3.1996 ha prorogato tale termine al 5.6.2996 prevedendo, altresì, che "in via transitoria continuano ad applicarsi le norme di cui al precedente Decreto 24.1.1986 per le opere in corso e per le quali sia stata già presentata la denuncia prevista dall'art. 17 della legge 2 febbraio 1974, n. 64". Al riguardo si rammenta che la Sezione, con voto n. 228 del 16.7.1996, si è già precedentemente espressa in ordine all'interpretazione di tale disposizione transitoria, con particolare riferimento alla interpretazione della definizione di "opere in corso", ritenendo che in tale accezione dovessero ricomprendersi, oltre alle costruzioni già iniziate alla data di entrata in vigore delle nuove norme tecniche, e cioè alla data del 5 giugno 1996, anche quelle per le quali alla stessa data risultasse effettuato il preavviso dei lavori con contestuale deposito del relativo progetto, ai sensi dell'art. 17 della Legge 64/74. Al riguardo sembra opportuno evidenziare preliminarmente che l'art. 18 della legge 64/74, nel prevedere la preventiva autorizzazione per l'inizio dei lavori nelle zone sismiche, fa salvo l'obbligo della concessione edilizia e che i due provvedimenti amministrativi, da un punto di vista formale e sostanziale, risultano autonomi. Pertanto il tardivo rilascio della concessione edilizia, ove non si a dipendente dalla volontà del richiedente, non invalida l'efficacia dell'autorizzazione dell'ufficio del Genio Civile. Peraltro l'eventuale decadenza della medesima concessione edilizia, avente prefissata limitata efficacia temporale, per inerzia del richiedente, comporta, ad avviso della Sezione, che il nuovo rilascio della concessione edilizia non possa intervenire sulla base di un'autorizzazione rilasciata ai sensi della normativa non più in vigore. Per quanto attiene al secondo quesito concernente la normativa da applicarsi nei casi di varianti a progetti di opere autorizzate sulla base delle previgenti norme (D.M. 24.1.86), si ribadisce quanto affermato da questo Consesso con voto n.330 reso nell'adunanza del 17.12.1996.

Nella fattispecie la Sezione, facendo proprio, tra l'altro, l'orientamento indicato dal Servizio Tecnico Centrale e condiviso dall'ufficio Legislativo del Ministero dei Lavori Pubblici con nota 12.8.96 n. 2804/UL, ha espresso parere che "per le varianti in corso d'opera le nuove norme siano da applicarsi nei casi in cui la variante stessa modifichi in maniera sostanziale l'organismo architettonico, ovvero il comportamento statico globale della costruzione, conseguentemente configurando una nuova e diversa progettazione rispetto a quella originaria". Resta fermo, quindi che le varianti dovranno comunque sottostare al rispetto delle norme amministrative e tecniche di cui alla L.64/74 e al D.M. 16.1.96 ogniqualvolta presentino caratteristiche incompatibili rispetto alle nuove disposizioni. Nei suesposti considerato è il parere unanime della Sezione.

SEGRATARIO Dott. Ing. Bruno SANTORO

 

 

 

 

 

CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI

PRIMA SEZIONE

ADUNANZA DEL 28.07.1998 N. DEL PROTOCOLLO 306

AFFARI GENERALI

 

D.M. 16.1.1996 "Carichi e sovraccarichi". Richiesta di riduzione della velocità di riferimento del vento per il calcolo strutturale a carattere temporaneo.

LA SEZIONE

VISTA la nota n. 043717 dell'8.7.1998 con la quale Servizio Tecnico Centrale trasmette, per esame e parere, l'affare in oggetto;

ESAMINATI gli atti;

UDITA la Commissione Relatrice (Del Monte, Baratono, Nuti, Gentili)

PREMESSO

Con la note n.43717 del 8.7.1998 il Servizio Centrale ha trasmesso, per esame e parere, una richiesta di autorizzazione della CoED Engineering di Rimini. Inerente l'applicazione del D.M. 16.1.1996, recante "Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi", relativa alla possibilità di ridurre la velocità di riferimento del vento per strutture a carattere temporaneo. La CoED. Richiede di poter ridurre, per i manufatti in questione, la velocità di riferimento del vento, mediante la variazione dell'intervallo di ritorno, come previsto dalla Circolare Min. LL.PP. del 4.7.1996, concernente le istruzioni per l'applicazione del D.M. 16.1.1996. Il Servizio Tecnico Centrale, nel trasmettere la richiesta, evidenzia, che le strutture in esame, per le dimensioni, le caratteristiche tecniche, nonché le condizioni di impiego interessino solo marginalmente le pubblica incolumità, e che, pertanto, le stesse non ricadano nell'ambito dell'applicazione della Legge 1086/71 e relative norme. Sono fatte salve, evidentemente, tutte le verifiche e gli accorgimenti necessari per tenere conto degli eventuali rischi comunque connessi con le strutture di che trattasi.Conseguentemente il Servizio ritiene che si possa prendere in considerazione la possibilità di adottare, per il calcolo di tali manufatti, un valore ridotto nella valutazione della velocità di riferimento del vento.

CONSIDERATO

La Sezione, preliminarmente, rileva che i manufatti di che trattasi, interessano, comunque, la pubblica incolumità, in quanto soggetti ad affollamenti in concomitanza di eventi rientranti nella specifica destinazione d'uso (avvenimenti sportivi, fieristici, ecc.). Risulta pertanto applicabile la legislazione tecnica vigente, ed in particolare il D.M. 16.1.1996. Quest'ultimo ha mutato, rispetto alle precedenti disposizioni, i valori dei carichi agenti sulle strutture dovute alle azioni del vento. Per il carico dovuto alle azioni del vento, il D.M. 16.1.1196, si riferisce ad azioni con tempo di ritorno di 50 anni. Ciò in considerazione sia della vita media attesa per gli edifici (50 anni), che delle condizioni minime di sicurezza per la salvaguardia della pubblica incolumità.

In merito alla possibilità di ridurre i valori di riferimento, per i carichi di vento, la circolare esplicativa n. 156 del 4.7.1996, prevede quanto segue: azioni del vento (punto C.7.4) "Per le costruzioni isolate che interessano solo marginalmente la pubblica incolumità o per strutture a carattere temporaneo, eventuali riduzioni della velocità di riferimento associate ad un intervallo di ritorno inferiore a 50 anni dovranno essere autorizzate dal Servizio Tecnico Centrale, sentito, qualora necessario, il Consiglio Superiore dei LL.PP." Per il caso in esame va evidenziato che, effettivamente, le costruzioni di che trattasi sono caratterizzate, generalmente, da una vita utile minore di quella degli usuali edifici e/o industriali e da modeste elevazioni; esse peraltro possono essere montate in contiguità con altri edifici che potrebbero influenzarne il comportamento in risposta alle azioni climatiche. Le stesse sono, di regola, frequentate da un numero anche notevole di persone, ancorché per tempi limitati, che in caso di necessità, devono poter abbandonare i locali senza particolari intralci e affollamenti. Per quanto sopra esposto la Sezione ritiene che in generale, per le strutture leggere a carattere temporaneo o, comunque, con una vita utile minore degli usuali edifici, si possa, in linea di principio, applicare una riduzione delle azioni da vento nel dimensionamento delle strutture portanti, in funzione della vita utile delle stesse. Si evidenzia, peraltro, che proprio il carattere di deroga alla norma generale impone una verifica puntuale e rigorosa del caso concreto, quindi dello specifico progetto, in funzione sia della tipologia costruttiva dei manufatti, sia delle condizioni climatiche del sito ove i manufatti stessi vanno realizzati, che dei rischi specifici in relazione anche al tempo di permanenza della struttura stessa. Pertanto, la richiesta di autorizzazione alla riduzione del tempo di ritorno per il calcolo delle azioni da vento, deve essere formulata di volta in volta secondo le procedure previste dalla circolare n.156 del 4.7.1996, allegando ad essa il progetto del manufatto con l'esatta indicazione del sito ed una dichiarazione del progettista in merito alla durata della vita utile dello stesso manufatto. La Sezione rileva inoltre che occorre tener presente che la riduzione delle azioni da vento non possa essere semplicemente commisurata al tempo di vita della struttura temporanea, in quanto il modello statistico degli eventi estremi, per tempi di ritorno minori od uguali a 2 anni, non consente di garantire la medesima sicurezza in termini di probabilità di superamento dell'evento, rispetto a quella ottenibile adottando tempi di ritorno di 50 anni.

In linea generale, quindi, tenuto conto che la pressione di riferimento varia con il quadrato della velocità del vento, si ritiene opportuno che le valutazioni dei livelli di sicurezza, in dipendenza del caso specifico, debbano prendere in considerazione tempi di ritorno non minori di 10 anni. E' il caso di evidenziare che, nell'esame delle singole istanze di deroga, dovrà essere osservato il massimo scrupolo in considerazione del fatto che al possibilità di derogare al parametro del tempo di ritorno di 50 anni non è espressamente prevista dal D.M. 16.1.1995 ed è contemplata dalla circolare 4.7.1996 soltanto in via interpretativa. Al riguardo appare auspicabile che il testo del D.M. 16.1.96 sia integrato in modo da esplicitamente prevedere i criteri per la concessione delle deroghe ai parametri temporali ivi previsti. Tutto ciò premesso e considerato, la Sezione, con un solo voto contrario

E' DEL PARERE

espresso nei considerato che precedono,

 

 

 

 

 

CONSIGLIO SUPERIORE DEI LAVORI PUBBLICI

PRIMA SEZIONE

ADUNANZA DEL 19.10.1999 N. DEL PROTOCOLLO 349

 

OGGETTO

Quesito relativo alle zone sismiche - "Uso pubblico della strada e altezza degli edifici". Interpretazione C.3 del 16.01.1996.

LA SEZIONE

VISTA la nota n. 45302 in data 17.09.1999 con la quale Servizio Tecnico Centrale ha trasmesso per esame e parere, gli atti relativi all'affare indicato in oggetto;

ESAMINATI gli atti;

UDITA la Commissione Relatrice (D'Antonio, Emmi, Fralleone, Nuti, Gentili).

PREMESSO

Con la nota n.45302 del 17.09.1999 il Servizio Tecnico Centrale ha trasmesso, per esame e parere del Consiglio Superiore, un quesito posto da un professionista di Barletta inerente la fattibilità, in zona a sismica, di un fabbricato in relazione alle caratteristiche della strada su cui prospetta, tenuto conto delle disposizioni di cui al punto C.3 del D.M. 16.01.1996. L'edificio che si prevede di utilizzare è alto 25,85 m e dista 17, 5 m da un fabbricato situato di fronte. Lo spazio interposto tra il fabbricato e il progetto e quello esistente, è attraversato da un cavalcavia. Nel quesito si chiede se "il cavalcavia consente di considerare la larghezza stradale alla pari di una strada a raso" e quindi se, "in tal caso, la larghezza stradale che limita l'altezza del nuovo fabbricato può essere considerata pari al 17,50 m". In merito alla questione, Il Servizio ha ritenuto di dover evidenziare quanto segue. "In primo luogo appare non condivisibile l'impostazione del quesito da parte del richiedente, nel momento in cui considera la possibile larghezza stradale pari a 17,50 m. ovvero la distanza dall'edificio prospiciente; ciò in quanto, ad avviso di questo Servizio, anche nella ipotesi che il cavalcavia si possa considerare come equivalente ad una strada a raso, la larghezza stradale da considerare è quella corrispondente al ciglio della strada (nel caso di specie 7,35 + 8,00 = 15, 35m). Resta poi da valutare il modo in cui il cavalcavia, tenuto conto delle diverse Possibili configurazioni, si pone in relazione allo spirito del punto C.3 del DM 16.01.1996, il cui fine, come è noto, non è quello di garantire - in caso di evento sismico con possibile crollo totale o parziale degli edifici - la percorribilità delle strade, da parte dei mezzi di soccorso e delle persone in fuga. In tale ottica si conferma quindi, in linea generale, che per "strada", cui fa riferimento il citato punto C.3, deve intendersi "l'area ad uso pubblico aperta alla circolazione dei pedoni e dei veicoli nonché lo spazio inedificabile non cintato aperto alla circolazione pedonale".

CONSIDERATO

La Sezione, anche alla luce di un precedente parere emesso su argomento analogo con voto n. 318 del 20.09.1994, ritiene che le disposizioni del punto C.3 del D.M. 16.01.1996 rispondono all'esigenza di garantire, in occasione del sisma, idonei margini di sicurezza permettendo, anche in presenza di eventuali crolli lo sfollamento della popolazione e il transito dei mezzi di soccorso. Pertanto non può ritenersi ammissibile, ai fini del computo della larghezza stradale sommare le larghezze delle sedi stradali poste a quote sensibilmente diverse e tra loro non collegate o collegabili in maniera idonea. Tutto ciò premesso e considerato nelle sue esposte considerazioni e il parere unanime della Sezione.

IL SEGRETARIO Dott. Ing. Bruno SANTORO