rivista anarchica
anno 32 n. 286
dicembre 2002 - gennaio 2003


Volantone

Asserviti alla mobilità
a cura di Adriano Paolella e Zelinda Carloni

Globalizzazione.
Idee per capire, vivere e opporsi al nuovo modello di profitto.

Dalla libertà alla sudditanza

Nel 2000 in media ogni cittadino europeo ha percorso 15.000 km (anche ogni neonato ed ogni vecchio).
Per percorrerli a piedi necessitano circa 8,2 ore al giorno; cumulandosi in una vita media di un individuo corrispondono a 1.050.000 km; complessivamente fanno sì che in Italia siano percorsi annualmente quasi 1.000.000.000.000 di km di spostamenti.
Ogni cittadino statunitense mediamente nel 2000 ha percorso circa 30.000 km, il doppio di un europeo.
Questa fittissima rete di movimenti non porta benessere alla comunità (non è che muovendosi di più si sta meglio), è la maggiore fonte di inquinamento del pianeta (l’80% delle emissioni trae origine nel settore trasporti), comporta degli scompensi sociali enormi (aumenta le differenze tra ricchi e poveri, aumenta l’uniformità sul territorio, non è commensurabile con i sistemi spaziali e culturali di riferimento dell’uomo – la sua capacità di muoversi, la sua abitudine ai tempi ed ai luoghi delle relazioni), comporta danni elevatissimi alla salute dell’uomo (incidentalità, effetti dell’inquinamento acustico e atmosferico, qualità della vita urbana).
La motivazione della sua esistenza è che l’elevata mobilità è caratteristica tipica della globalizzazione.
La movimentazione di merci è condizione indispensabile per produrre a basso costo nei luoghi più convenienti, sfruttando le risorse naturali e sociali, e per permettere la gestione del mercato a pochi soggetti che distribuiscono in tutto il mondo.
I materiali e le merci viaggiano e tenendo bassi i costi del trasporto (per fare questo basta non considerare i costi indiretti e gli effetti negativi scaturiti scaricandoli così come oneri sulla società) si aumentano i profitti, nella concentrazione della produzione, e si incrementa il numero degli acquirenti della specifica merce.
La mobilità degli individui aumenta le connessioni tra le parti del sistema produttivo e commerciale e ne rende possibile l’ottimizzazione.
Ma gli individui si muovono anche in ragione di un atteggiamento culturale, una sensazione di autonomia.
La maggiore facilità di muovere e muoversi da opzione si è trasformata in necessità. La mobilità è un obbligo derivato dalle conformazioni urbane, dalla localizzazione dei servizi, dei posti di lavoro delle residenze. E ha perso di senso: tutto si muove non producendo benefici diffusi, e tutti si muovono non migliorando la qualità della propria esistenza.
Questo modello avrebbe grandi difficoltà a ridurre la mobilità delle merci e tra esse anche la mobilità individuale.
Ridurre la mobilità ridurrebbe i profitti, renderebbe maggiormente difficile la loro concentrazione in pochi soggetti, ridurrebbe l’inquinamento, darebbe autonomia economica e sociale alle comunità locali, insomma metterebbe in seria crisi la globalizzazione.


La mobilità individuale

Il principale mezzo utilizzato per la movimentazione di merci e persone è il veicolo a motore su gomma.
Il suo successo dipende dal fatto di essere un mezzo individuale. Ogni persona può avere il suo autoveicolo, lo può gestire come vuole, può andare nei tempi e nei luoghi desiderati.
Questa caratteristica ha innescato un meccanismo per cui il muoversi da origine ad un mercato di enormi dimensioni e lucro e permette al mezzo di essere un oggetto di desiderio commerciale.
Gli autoveicoli incarnano i criteri della società di mercato ed hanno contribuito a strutturare l’immagine prima dell’uomo moderno e poi di quello contemporaneo.
Nonostante gli autoveicoli a motore siano il mezzo a minore efficienza energetica, ed al loro uso possano essere connessi i principali problemi ambientali e sociali del pianeta, essi sono alla base della mobilità contemporanea, avendo sostituito gran parte delle altre modalità di trasporto.
Nel 1950 un individuo in Europa faceva meno di 2.000 km di cui 400 in auto nel 1994 ne faceva più di 14.000 di cui quasi 10.000 in auto (costante l’uso delle ferrovie con circa 500 km).
Prima del 1930 poco meno del 90% del trasporto passeggeri e del 70% del traffico merci era su ferrovie; da allora è stato una continua riduzione degli investimenti pubblici nelle ferrovie ed un continuo aumento nel mondo occidentale delle infrastrutturazioni per autoveicoli. In Europa nel 2000 l’80% del trasporto passeggeri su terra avviene in auto.
Quanto abbia inciso la produzione di autoveicoli nel frenare soluzioni efficienti alternative al mezzo privato è evidente anche dal raffronto tra il numero di sistemi di trasporto urbani su ferro presenti in aree geografiche: in Europa occidentale 148, negli Usa e in Canada insieme 50, in Giappone 29, in America Latina 17 nell’Europa dell’Est e in Asia Centrale 181.
Per permettere l’ampliamento del mercato automobilistico in Europa i sistemi di trasporto leggero urbano su rotaia sono passati da 438 del 1930 ai 91 del 1980 e solo allora, in presenza di una impossibilità di consistente aumento del mercato veicolare e della sua manifesta inefficienza, sono aumentati fino a raggiungere i 102 (quattro volte meno di settanta anni prima) nel 2000.
Anche oggi tale politica prosegue. Ad esempio in tutti i paesi dell’est europeo la rete ferroviaria e urbana pubblica giace in abbandono, nonostante in un recente passato riuscisse a captare il 70-80% della mobilità di passeggeri, mentre i finanziamenti dei paesi occidentali si concentrano in strade e autostrade.
Gli autoveicoli sono il mezzo di trasporto che crea maggiori profitti: una persona compra il suo mezzo, consuma benzina, consuma l’autoveicolo, paga le tasse di circolazione, le assicurazioni, la manutenzione, ricompra l’autoveicolo.
Le infrastrutture sono economiche (costa meno una strada di una ferrovia), spesso sono a pagamento (ogni anno 42 Mld di dollari sono pagati dagli automobilisti per pedaggi autostradali) nella costruzione delle strade si usa materiale derivato dal petrolio consolidando la medesima lobby interessata alla vendita degli autoveicoli.
Circa 600 milioni di autoveicoli al mondo rispondono più di ogni altra merce ad una cultura non totalmente dipendente dal reddito, e dalle reali necessità. Ad esempio: in uno studio su di un campione di città europee e nord americane, in queste ultime si è riscontrato un utilizzo medio dell’auto superiore del 141% rispetto alle città europee a fronte di un reddito medio inferiore del 51%; da uno studio effettuato a Surabaya (Indonesia) il 60% degli spostamenti in auto potrebbe essere percorso in bici; tra il 1969 e il 1995 il numero degli autoveicoli privato è aumentato negli Usa ad un ritmo di 6 volte superiore a quello della crescita della popolazione.
La presenza di un autoveicolo ogni 1,8 abitanti negli Usa e di un autoveicolo ogni 1,9 abitanti in Italia (con una superficie 31 volte inferiore) dà l’idea di quanto lo strumento automobile sia abusato nella quantità e nell’uso.
Anche il maggiore costo del vettore non sembra influire sulle scelte e nelle città degli Stati Uniti e dell’Australia i cittadini spendono tra il 12 e il 13% del loro reddito per il trasporto mentre nelle città europee, dove la dipendenza dai veicoli privati è minore, intorno all’8%.


Mobilità e assetto insediativo

L’esito dell’attuale modello insediativo occidentale è l’enorme consumo di suolo, le basse densità abitative, la dispersione dei luoghi di produzione nel territorio anche quando afferenti allo stesso sistema produttivo. È il modello che produce più sprechi, che ignora gli interessi comuni, che sopraffà l’ambiente e la comunità e specificatamente quello che crea la maggiore quantità di traffico.
Tale modello insediativo è fondato sulla continua crescita delle infrastrutture per sostenere il traffico privato che a sua volta aumenta per la disponibilità delle infrastrutture.
La capillarità della rete stradale facilita gli insediamenti sparsi e rende dunque ancora più forte la dipendenza dagli autoveicoli.
Il rapporto tra densità della popolazione e uso dell’auto in area urbana è evidente: negli Stati Uniti d’America un abitante di una città percorre mediamente 10,9 km/pro capite/giorno con un densità abitativa di 14,7 ab/ha, in Europa 4,5 con 49,9 ab/ha, nell’Asia industrializzata 1,4 con 163,9 ab/ha, in Canada 6,9 con 26,2 ab/ha.
Sotto una definita densità insediativa non è possibile mettere in opera sistemi di trasporto pubblico efficienti; basse densità, localizzazione casuale degli impianti produttivi e delle residenze derivano dal trasporto privato su gomma e lo alimentano.
Anche le dimensioni degli insediamenti è agevolata da tale tipo di mezzo: l’aumento dell’estensione è resa possibile solo dall’uso di autoveicoli. Nel 1959 Bangkok aveva una superficie di 67 kmq e si poteva attraversare a piedi di buon passo da nord a sud in 3h nel 2000 aveva una superficie di 600 kmq ed è molto difficile attraversarla a piedi in un giorno.
Nonostante sia noto il rischio sociale di avere già una gran parte della popolazione assolutamente dipendente dall’uso degli autoveicoli privati, non sussistendo localmente gli indispensabili servizi alla sopravvivenza, e nonostante sia altrettanto noto che le città tra i 50.000 e i 500.000 abitanti sono quelle che presentano una minore incidenza dei trasporti, il modello insediativo praticato consolida l’esponenziale crescita della mobilità privata su gomma. Ad esempio gli ipermercati sono uno strumento per aumentare il traffico veicolare. Raggiungibili solamente in auto, in quanto posizionati casualmente nel territorio, il loro effetto è stato evidente in quei paesi dove la loro presenza si è manifestata all’improvviso: nella Repubblica Ceca il trasporto pubblico tra il 1997 e il 2000 è diminuito via via che sono aumentati da 1 a 53 gli ipermercati.

Il traffico e le sue ragioni

Se per quanto attiene lo spostamento degli individui è fondamentale l’assetto degli insediamenti è fondamentale per la movimentazione delle merci incide maggiormente la struttura produttiva e di commercializzazione.
Il sistema “just in time” fa sì che le componenti per la produzione arrivino in tempo esatto evitando al produttore l’onere di immagazzinare. Così facendo però il numero dei viaggi per il rifornimento è molto superiore e di fatto di immagazzina sulle strade.
Ma anche la frammentazione del processo di produzione e commercializzazione ha effetti sul traffico. Quasi la metà delle merci non percorre in Italia più di 50 km e circa 3/4 meno di 200km; l’elevato numero di passaggi, la differenziazione dei mezzi necessari, la limitata distanza implica che l’unico sistema adatto è l’autotrasporto. È del resto evidente come tali soluzioni produttive siano praticate proprio considerando le caratteristiche dell’autotrasporto.
Inoltre l’estendersi dei commerci degli stati verso l’estero porta ad una crescita vertiginosa dei chilometri percorsi per la consegna: in Gran Bretagna si stima che il percorso medio delle merci per raggiungere i consumatori sia di 1.000 chilometri.
Ma l’aumento del traffico non implica l’aumento della produzione e della ricchezza. In Italia gran parte di esso si localizza nelle regioni settentrionali sia come origine delle merci 67% del totale nazionale sia come destinazione 65%. Questa percentuale è in costante aumento, in modo superiore a quella dell’aumento dei redditi e della produzione (del PIL). Il che vuol dire che a parità di produzione e consumo le merci si muovono maggiormente e provengono da luoghi più lontani.
Questa tendenza caratterizza il libero mercato e i paesi che lo praticano: la merce commercializzata è quella che garantisce i maggiori profitti da qualsiasi parte provenga e ignorando i costi sociali e ambientali che essa comporta, ed il traffico di mezzi connessi al commercio estero assorbe oramai oltre un ottavo della produzione mondiale di petrolio.
Il fatto che gran parte delle primizie ortofrutticole sono portate sui mercati dell’Europa del nord dall’Africa settentrionale con gli aerei indica palesemente l’abuso nella movimentazione delle merci.

Traffico e infrastrutture in Italia: alcuni dati

Il traffico
I passeggeri/chilometro (p/km) o le tonnellate/chilometro (T/km) corrispondono al numero dei passeggeri o al peso del carico moltiplicati per la distanza percorsa e divisi per la lunghezza della rete, o per il tratto, analizzata.
Il trasporto merci in termini di tonnellate/chilometro trasportato è aumentato in Italia nel 1999 e nel 2000 di circa il 5% annuo, con un aumento complessivo rispetto al 1990 del 36% pur rimanendo la quantità di merci quasi stazionaria.
In Italia viaggia su gomma l’82% delle merci; il 13% su navi e il 5% su ferro. La situazione già anomala per l’Europa dove la quota di mobilità di merci su terra che usa la ferrovia è comunque superiore (Francia 21%, Austria 93%, Italia 10%), tende a peggiorare: tra il 1997 e il 2000 l’incremento di ulteriori 36 miliardi di tonnellate km di merci è stata assorbita per il 97% dal trasporto su gomma.
Il traffico passeggeri dopo una energica crescita tra il 1990 e il 1998 (+23% e triplicato rispetto al 1970) dal 1999 si è stabilizzato rimanendo comunque superiore rispetto alla media europea (+15%).
Nell’ultimo decennio il trasporto su mezzi privati è cresciuto del 25,5% aumentando ulteriormente la quota di trasporto persone su mezzi privati che nel 2000 è arrivata ad essere l’81,8% del totale (all’interno di questa percentuale il trasporto auto è cresciuto del 27% rispetto al 1990 e quello delle moto dell’11%).
La contrazione della mobilità automobilistica sembra essere principalmente motivata dall’uso in ambito urbano dove tra l’altro si notano segnali di ripresa dell’uso dei mezzi pubblici.
Il traffico aereo passeggeri è in notevole aumento (197 milioni di p per km percorsi nel 1960, 10.497 milioni di p/km nel 2000) e copre l’1,2 degli spostamenti.
Dal 1990 ad oggi il traffico passeggeri per modalità di trasporto è così cambiato: mezzi privati +212% (+1.183% rispetto al 1960); bus extraurbani +278%; mezzi pubblici urbani +18,4%; ferrovie +34% (+51% rispetto al 1960); aereo +629%.
In Europa la mobilità delle persone dal 1970 è più che raddoppiata, in Italia triplicata.
I dati caratterizzanti l’Italia sono l’uso delle moto 7,5% più del doppio della media europea ed un uso leggermente più basso del treno.
Molto anomala rispetto all’Europa è invece la ripartizione tra le modalità del trasporto merci dove la quantità su gomma è superiore alla media europea del 9,3%, e quella su ferro è nettamente inferiore del 59,2%.
Sulle acque marine e fluviali transita il 14,9% del traffico; questo è un dato in linea con l’Europa (15,4%) ma molto ridotto rispetto alla potenzialità del paese (si pensi che il trasporto su acqua in Olanda è pari al 44,3% delle merci).
Gli indicatori segnalano che la quantità di spostamenti aumenti molto più rapidamente del reddito (rapporto tra passeggeri km percorsi e milioni di PIL è pari a 362,1 nel 1985 e a 455,3 nel 2000, mentre il rapporto tra tonnellate merci km percorso e milione di PIL è pari a 138,8 nel 1985 e 167,2 nel 2000). Ci si muove senza produrre.

Le dimensioni delle infrastrutture
Dal 1979 ad oggi la rete stradale italiana è aumentata del 22% e quella autostradale del 70%. A questi vanno aggiunti tutti gli adeguamenti dei tracciati esistenti e gli allargamenti (gli ingrandimenti da una a due corsie, da una a più carreggiate, etc.).
La densità di infrastrutture extraurbane media è di 550 m/kmq ma in alcune regioni supera i 700 m/kmq.
La rete ferroviaria è rimasta invariata dal 1970 ad oggi (sono aumentate solo le tratte elettrificate) e solo il 38% della rete è elettrificata a doppio binario.
La densità territoriale delle infrastrutture ferroviarie è molto minore di quelle stradali: 53 m/kmq e 34 m/kmq per la rete elettrificata. È evidente dal confronto tra dimensione della rete stradale e quella ferroviaria come non si sia voluto nel tempo adeguare i sistema di mobilità su ferro alle necessità facendo privilegiare il trasporto privato su gomma supportando la sua crescita con la continua infrastrutturazione.
166.324 sono i km di rete stradale extraurbana e 10.350 i km di rete ferroviaria elettrificata.

Il ruolo delle infrastrutture stradali

Le infrastrutture hanno un ruolo fondamentale per consolidare la modalità di trasporto su gomma. Tale ruolo può essere sintetizzato in tre aspetti:
Ruolo di traino alla vendita di autoveicoli. Più strade vi sono più si rafforza il sistema della mobilità su gomma e più autoveicoli si vendono.
Ruolo di consolidamento del modello sociale. La costruzione di una strada è sempre stata vista come un segnale della modernità in arrivo un indicatore di sviluppo. Le comunità locali hanno gradito quasi sempre la costruzione di strade che legavano gli insediamenti tra loro facilitavano i contatti consolidavano le relazioni. Attraverso di esse passava anche quindi il consolidamento di modello sociale di relazione e di sviluppo anche senza un effettivo beneficio per la comunità.
Ruolo di controllo del territorio. La costruzione di strade ha permesso il controllo militare e lo sfruttamento dei territori. Il più significativo e recente caso è stata la Trans-amazzonica un percorso di migliaia di chilometri che attraversa interamente l’Amazzonia e intorno al quale si sono aggregati i capisaldi per la penetrazione all’interno della foresta pluviale.

Gli effetti della mobilità

Per ogni chilometro percorso da un passeggero con un auto si emettono 28 milligrammi di polveri sottili, con un bus 19 mg, con un treno 16 mg, con un aereo 8 mg.
Per ogni chilometro percorso un autoveicolo emette mediamente 250 grammi di CO2
L’autoveicolo a motore è il sistema meno conveniente di spostamento. Con esso un individuo (70 kg) si muove spostando l’autoveicolo che ha un peso fisico di 1.000 kg e per la cui costruzione sono stati lavorati circa 15.000 kg di materiali.
Ma è anche un sistema energivoro: l’industria automobilistica negli Stati Uniti d’America copre 1/7 dei consumi totali del paese ed assorbe il 70% del piombo, il 34% del ferro, il 20% dell’alluminio, dello zinco, del vetro, il 14% dell’acciaio e il 10% del rame (in Italia e Germania questa incidenza è maggiore). Sempre negli Stati Uniti vengono rottamate ogni anno più di 10 ml di auto, il 94% delle quali viene smantellato: 3/4 della massa sono riciclati, 1/4 divengono rifiuti tossici (2.350.000 tonn).
Alcuni dati:
I consumi energetici
I trasporti in percentuale sono passati dal 27,1% del 1985, al 41,2% del 1999 superando l’industria (38,5%) e uguagliando gli usi civili.
Nei paesi industrializzati (19% della popolazione mondiale) si usa il 59% di tutta l’energia mondiale per i trasporti. Gli Usa da soli 1/3. Nel 1997 il consumo medio annuo di petroli per trasporti è stato di 18 barili pro-capite in Usa, 13 in Canada, 6 in Europa, Giappone, Australia.
Gli effetti ambientali
I veicoli a motore hanno originato il 58% delle emissioni di carbonio nel 1990 e il 73% nel 1997.
Nel 1999 in Europa il 25% delle emissioni di CO2 è stata prodotta dal settore trasporti (nel 1990 era il 21%).
In Italia le emissioni di CO2 da parte del settore trasporti è il 27% del totale.
L’inquinamento atmosferico nelle città è molto elevato nonostante vi siano dei miglioramenti per quanto attiene alcuni specifici inquinanti (la riduzione dei superamenti di soglia deve essere preso solo come dato indicativo sia per il ridotto numero delle centraline, sia per la condizione di diffusa e consistente presenza degli inquinanti appena sotto la soglia).
Circa il 30% dei giapponesi e il 17% degli europei è esposto tutto il giorno a livelli di rumore superiore ai 65 decibel.
I danni per inquinamento idrico, ambientale, mutazioni climatiche, rumore, incidenti del sistema della mobilità su strada sono stati stimati in 125 mld di dollari annui.
Gli effetti sulla salute
Ogni anno nel mondo perdono la vita circa 885.000 persone in incidenti stradali (come se si schiantassero 10 Jumbo al giorno per tutto l’anno).
Nel 2000 vi sono stati in Italia 6.410 morti e 301.599 feriti per incidenti stradali. I dati sono sottostimati in ragione sia dei tempi di rilevamento, sia delle modalità di rilevazione.
La riduzione degli incidenti manifestatasi negli anni ’70 e ’80 non è proseguita nel corso degli anni ’90 e sono cresciuti notevolmente i feriti (+46% nell’ultimo decennio).
17.400 sono i morti in Italia nel 2000 a causa delle emissioni stradali di polveri sottili (PM10).
In Europa i morti di tumore causati da traffico veicolare son stati stimati in circa 85.000 l’anno.

L’interruzione della continuità

L’urbanizzazione, intendendo con essa anche la infrastrutturazione, incide sui sistemi naturali non solamente attraverso l’occupazione diretta di suolo per la costruzione ma anche e principalmente attraverso il loro frazionamento.
Ad esempio in Italia la superficie urbanizzata (edifici, infrastrutture etc) è pari al 7% del totale. Tale superficie però non è concentrata in determinate aree ma distribuita in maniera indifferenziata ha interrotto la continuità dell’unità di paesaggio, ha frazionato i sistemi, indebolendoli, marginalizzandoli, degradandoli, fino a passare, negli ultimi quaranta anni, da una condizione in cui gli insediamenti erano situati all’interno delle aree naturali o agricole ad una condizione inversa in cui le aree naturali ed agricole sono localizzate all’interno di un continuo costruito.
Il 7% di superficie occupata da urbanizzato ha fatto si che solo 347 siano gli areali superiori a 100 kmq non interessati da viabilità di media e alto scorrimento (senza considerare la piccola viabilità), solo 978 gli areali superiori a 100l mq non interessati da centri urbani (senza considerare case sparse e piccoli nuclei), che solo 289 siano le “aree selvagge” superiori a 20 kmq, che solo 7 siano gli ambiti costieri liberi da edificato superiori a 20 km lineari di costa.
Ma la capacità destrutturante delle infrastrutture necessarie non è esclusivamente addebitabile all’occupazione diretta dei suoli e alla frammentazione dello spazio naturale: un’onda alterante infatti accompagna e precede l’insediamento. Effetti connessi allo svolgimento di attività (rumore, inquinamento atmosferico) ma anche effetti connessi alla gestione dei terreni (terreni in attesa di essere edificati, terreni sottoutilizzati, asserviti all’insediamento, depositi etc).
Un’onda che ha una superficie ben più estesa di quella fisicamente interessata dagli insediamenti, che ha una enorme capacità a trasformare i contesti interessati.
Negli Stati Uniti 6,2 ml di km di strade pubbliche coprono circa l’1% della superficie del paese ma l’impatto stimato sulla fauna da parte della rete interessa il 20% del territorio.

La finta ricerca dell’efficienza

Nel 1973 un auto prodotta negli Usa mediamente con un litro percorreva 5,6 km; nel 1986 con un litro 11,5 km. Un notevole miglioramento derivato dall’attenzione posta in quegli anni ai consumi di benzina ma ancora molto lontano e dalle prestazioni europee e dalle capacità tecnologiche disponibili.
Sono stati infatti predisposti negli anni ottanta alcuni modelli con una elevata efficienza energetica: Renault 50 km con un litro velocità 130 Km/h; Volvo e Peugeot 4-5 posti rispettivamente 50 e 28 km con un litro. Il primo si trova al Museo della Scienza di Parigi e nessuno dei tre è mai stato messo in produzione.
Appare evidente che le attuali auto non sono progettate per trasportare le persone in maniera efficiente. A parte il rapporto trasportato/mezzo, che fa si che il peso del primo sia abitualmente 1/10 del secondo, ma 80-85% dell’energia contenuta nel carburante è già sprecata prima di raggiungere la ruota; solo 1/6 dell’energia del carburante che raggiunge le ruote è utilizzate per muovere l’abitacolo. Peso eccessivo, grandi dimensioni, motori potenti che funzionano molto lontano dalla loro ottimale efficienza.
Dell’energia del carburante nel traffico cittadino 1/3 riscalda l’aria, 1/3 riscalda i copertoni e il rivestimento stradale, 1/3 riscalda i freni.
Con adeguati materiali una auto di 4-5 posti potrebbe arrivare a pesare solo 400 kg (3-4 volte in meno di un’auto); come “Ultralite” della GM: 0-100 km/h in 8 secondi, 111 cv, del 1991, non in produzione.
Vi sono soluzioni di veicoli con celle a combustibile a idrogeno che emettono 70 gr di CO2 a km., motori ibridi con il recupero elettrico dell’energia frenante che permettono di arrivare a consumi prossimi ai 2 litri ogni 100 km; alcune ricerche hanno portato a consumi di 0,4-1,6 litri ogni 100 km (250-62,5 km con un litro) come ad esempio l’“Autoibrida” a due posti costruita nel 1994 dall’Università di Western Washington o l’auto ibrida a quattro posti della “Esoco”, piccola ditta svizzera che fa 100 km con 2,1 litri.
Eppure la GM nel 2001 ha comprato un brevetto di un’auto elettrica da una ditta europea con l’accordo di commercializzarla e dopo solo un anno ha abbandonato il programma nonostante l’auto avesse un’elevata efficienza e rispondesse adeguatamente alle richieste. La motivazione ufficiale è che riusciva a venderla; ma la GM non si è peritata di fare un’adeguata comunicazione ed ha mantenuto dei prezzi elevatissimi. Perché allora l’ha comprata? La rincorsa delle grandi produttrici di autoveicoli è quella di comprare qualunque soluzione che possa incidere sul proprio mercato di auto e benzina così da evitare ogni forma di concorrenza alle soluzioni che bruciano benzina e gasolio e consuma ferro.
La ricerca di soluzioni non ha senso in quanto le soluzioni tecniche sono già state trovate e che non possono e non vogliono essere praticate da chi fa la propria ricchezza su auto che servono solo a consumare benzina che riscaldano il mondo e che durano così poco da permettere il continuo aumento della produzione e della concentrazione della ricchezza.


Il grande business è il grande amore

L’automobile è il più grande affare planetario (dopo la Borsa), è la merce che provoca più danni nell’ambiente ma è anche aspirazione, oggetto di conversazione e di soddisfacimento di gran parte dell’umanità.
L’automobile è la dimostrazione di come un oggetto imposto possa essere il grande amore della vita. Come nei matrimoni combinati per essere felici, veramente felici, basta accettare il proprio ruolo.
Da stime il valore complessivo degli autoveicoli circolanti nel mondo ammonta a circa quindicimila miliardi di euro (15.000.000.000.000); ogni anno sono circa 2.100 miliardi di € i costi sostenuti dai proprietari per utilizzare gli autoveicoli, 1.100 miliardi di € i costi a carico di chi non guida (solo in Europa, Giappone e Usa) e 2.200 miliardi di € l’importo del rinnovo del parco esistente.
Un affare da circa cinquemilacinquecento miliardi di euro (5.500.000.000.000) annui gestiti per la quasi totalità da pochi soggetti (meno di due dozzine di compagnie petrolifere, produttrici di autoveicoli e assicurative).
La presenza degli autoveicoli, al di là delle cifre, permea l’intera società. Se ad esempio la pubblicità è una promozione del prodotto è anche il mezzo per sostenere una rivista e su quasi tutte le riviste non specializzate in Italia la pubblicità degli autoveicoli è intorno al 4% delle pagine occupate dalla comunicazione commerciale. Il 4% costante indirizza la linea culturale di una rivista su temi specifici quali ad esempio innovazione tecnologica, infrastrutture, sviluppo, afferenti il settore automobilistico.
In numerose riviste alle quattro pagine complete di promozione di auto, che sono una costante vanno aggiunte le pubblicità indirette (la presenza di autoveicoli nella promozione di altre merci, nell’illustrazione di articoli) e la pubblicità sotto forma di inchieste o analisi delle merci (schede autoveicoli, presentazioni di innovazioni tecniche, etc) che rendono la presenza più estesa e permeante.
Eppure nonostante il tempo in auto per ragioni di lavoro sia in continua crescita, l’uso dell’autoveicolo è connesso per gran parte ai divertimenti. Nei paesi ricchi più del 50% dei chilometri degli autoveicoli privati non commerciali viene percorso per vacanze o comunque svago, e sembra che la mancanza di tale strumento darebbe una sensazione di limitazione insostenibile proprio nel tempo libero. Stare fermi per ore ai caselli, passare ore in auto, andare in luoghi in cui vi sono auto, non produce fastidio o almeno non produce tanto fastidio da cambiare comportamenti.
Ma l’innamoramento è il mezzo per aumentare le vendite, per cambiare modelli, per essere maggiormente presenti; nessun uomo ragionevole destinerebbe tanta attenzione, fatica, desiderio, a fronte di fastidi e danni, se non fosse innamorato.
Ed al mantenimento di questa passione sono attenti i produttori di autoveicoli che dietro le immagini accattivanti delle merci nascondono interessi, tragedie, danni ambientali.

Lofferta del mercato

Attualmente in Italia sono commercializzati 68 marche, 280 modelli, 2.500 versioni di autoveicoli non commerciali.
L’autoveicolo più economico è venduto a 7.951,00 € (a tutti i prezzi seguenti vanno aggiunti i dazi doganali e completamenti di alcune imposte per cui risultano indicativi).
Sotto i 10.000,00 € vi sono 45 versione (quasi tutte superiori ai 9.000,00 €), sotto i 20.000,00 € 755 versioni, tra i 50.000,00 e i 100.000,00 € 174 versioni; sopra i 100.000,00 € 40 versioni (di cui 7 sopra i 200.000,00 € e 7 sopra i 300.000,00 €), il più caro 357.628,00 €.
La fascia con maggiore numero di versioni, 1.486, è quella tra i 20.000,00 e i 50.000,00 €. Supponendo che lo stipendio di un professore di ruolo (ci si può diventare dopo minimo una decina di anni di precariato, una laurea, una abilitazione e diversi specializzazioni attraverso concorsi) si aggira intorno ai 1.000,00 € è evidente che la maggiore domanda di autoveicoli non è espressa dai docenti.
Le versioni con cilindrate sotto i 1.500 cc sono 456, tra i 1.500 e i 2.300 cc sono 1.424 versioni, sopra i 2.300 cc 620 versioni. Garantendo una cilindrata 1.500 cc prestazioni e comfort elevati è evidente che la maggior parte degli autoveicoli vende prestazioni inutilmente sovradimensionate e ambientalmente deleterie (nel ciclo urbano un veicolo di 2.800 cc consuma per 100 km 14 litri di carburante mentre un veicolo di 700 cc la metà).
Nessun autoveicolo è venduto con velocità massima inferiore ai 130 km/h; 688 versioni hanno una velocità massima dichiarata sotto i 180 km/h (solo una ventina 130 km/h); 1.655 modelli tra i 180 e i 250 km/h; 157 modelli con velocità massima sopra i 250 km/h ciò evidenzia come tutta la produzione sia abbondantemente fuori legge.
Interpretando al meglio i caratteri della società dei consumi i modelli delle auto sono numerosissimi ma anche molto simili. Vi è una finta concorrenza tra le diverse aziende in realtà tutti i modelli sono accorpabili in classi a cui corrispondono medesime caratteristiche e medesimi prezzi.
Come tutto il mercato globale ad una apparente concorrenzialità delle merci corrisponde una uniformità nelle soluzioni e nelle proposte. Assenti o inavvicinabili soluzioni effettivamente alternative.
I 4 modelli elettrici venduti hanno costi variabili tra i 13.500,00 e i 24.900,00 € e dei 4 modelli di microvetture solo 2 costano meno dell’autoveicolo più economico, mentre il prezzo medio si attesta intorno ai 10.500,00 € (ovvero quanto una auto 1.200 di cilindrata a 5 porte).
I costi dell’autoveicolo non sono comunque connessi solo con l’acquisto; il costo medio annuale per possedere e usare una vettura è in Italia di 3.500,00 €, con variazioni tra un minimo di 2.000,00 € per chi percorre 5.000 km e 5.000,00 € per chi percorre 30.000 km e oltre.
A questi vanno aggiunti i costi di ammortamento dell’acquisto e di svalutazione dell’autoveicolo elemento questo che indica più di ogni altro la grande rapina cui si sottopongono gli individui.
Una utilitaria nel primo semestre dopo l’acquisto perde un valore tendente al 30% del suo prezzo di acquisto, in un anno supera il 30% (fino ad arrivare in alcuni casi al 40%); dopo quattro anni il suo prezzo di mercato può essere ridotto del 62% rispetto a quello di acquisto. Tutto ciò facilitato dalla continua sostituzione di modelli che svalutano i precedenti e dalla lontananza dei prezzi dai costi ambientali e dal valore d’uso della merce.

Il parco veicoli in Italia
Nel 2000 sono circolanti in Italia circa 32,5 milioni di autoveicoli; 56,5 auto per ogni 100 abitanti (65 auto ogni 100 abitanti a Napoli e Torino, 66 a Milano, 67 a Roma). Il secondo paese del mondo dopo gli Usa.
Il 49% delle autovetture è immatricolato dopo il 1993 (ha quindi meno di sette anni).
Nel 1971 in Italia circolavano 11.307.090 veicoli (20,9 auto per ogni 100 abitanti): 1/3 di quelli circolanti nel 1999
Dal 1997 al 2000 ogni anno sono stati immatricolati circa 2.300.000 veicoli (4 su 100 abitanti): ogni 4 anni il 14% degli italiani ha comprato un autoveicolo nuovo.
La presenza di un parco veicolare così consistente si risente anche in termini di occupazione di suolo: a Napoli vi sono 5543 autoveicoli per kmq a Milano 4732. Immaginando che la superficie stradale veicolabile urbana si aggiri intorno al 20% ci si sarebbero al massimo 200.000 mq disponibili di cui 55.000 mq già occupati da auto in sosta. Si può immaginare quale siano le enormi necessità di spazio per parcheggi (abitazione, lavoro, acquisti) e movimentazione di ciascuna auto e come siano incompatibili non solo con l’attuale struttura urbana ma con qualunque ipotesi ragionevole di città.

Il rafforzamento del modello
Se in Cina vi fosse lo stesso uso dell’auto attuato negli Stati Uniti d’America ogni anno vi sarebbero 1 miliardo di tonnellate di CO2 di emissioni.
Ma questa preoccupazione non si rilegge nell’azione delle amministrazioni. Anzi si susseguono sovvenzioni e stimoli per la vendita di autoveicoli a paesi in cui la mobilità non era basata sul vettore gomme individuale.
Per il 2010 si prevede in Europa l’aumento della mobilità passeggeri del 24% e del trasporto merci del 38% con un connesso aumento del consumo energetico tale da ipotizzare l’aumento del contributo totale alle emissioni di gas serra dall’odierno 28% al 50%.
L’ipotesi perseguita in Italia è quello di costruire circa 2.000 km di nuove autostrade per un investimento di circa 50 miliardi di € e di completare il progetto dell’alta velocità ferroviaria per circa 23 miliardi di €.
Per quanto riguarda le aree urbane la pedonalizzazione e la limitazione del traffico per parti di essa ha un andamento discordante. Ad un aumento della superficie tra il 1997 e il 2000 nei capoluogo di provincia del 28% si è riscontrata una concentrazione di tali superfici in alcuni comuni (Roma, Napoli, Torino) e una risposta assolutamente negativa in altre città con l’eliminazione di aree già definite (per esempio Bologna) o comunque con l’abbandono dell’intento.
Tendenzialmente è rileggibile un disinteresse generalizzato rispetto agli anni passati nei confronti di soluzioni di questo tipo.
In Italia il progetto del Ponte sullo Stretto è la realizzazione di una politica che sostiene la mobilità su gomma anche dove non ha senso che esista e dove sussistono soluzioni di cabotaggio che con poco potrebbero essere molto più efficienti.

I limiti dell’attuale proposizione

È difficile incontrare qualcuno che dichiari il proprio piacere a stare delle ore in auto o che non riesca a rendersi conto degli effettivi danni prodotti alla salute dell’uomo e alle condizioni dell’ambiente da parte del sistema della mobilità così come oggi impostato.
È altrettanto difficile imbattersi in amministrazioni che non abbiano messo al centro del loro interesse la gestione della mobilità. E questo in tutti paesi anche in quelli dove l’azione regolamentativa delle amministrazione non viene esercitata.
Molte sono le soluzioni proposte: da quelle esclusivamente volte all’aumento dell’efficienza dei veicoli, da quelle che interessano le modalità insediative, dalla maggiore infrastrutturazione ed uso dei mezzi pubblici fino a soluzioni di entità minore di auto comuni, taxi collettivi etc.
Le soluzioni ci sono, le volontà sono dichiarate, non dovrebbe esserci più il problema. In realtà la questione della mobilità non è risolvibile sulla base delle condizioni date. Essa anzi è il caso forse di maggiore evidenza della complessità del modello.
Gran parte di coloro che usano gli autoveicoli, e soffrono delle condizioni di inquinamento, desidera l’autoveicolo, prova soddisfazione ad ottenere un veicolo di moda anche quando questo è più inquinante. Non è un caso ad esempio che l’aumento del consumo energetico nel settore automobilistico registrato recentemente negli Stati Uniti d’America derivi proprio dalla crescente vendita della tipologia di vetture “monovolume” e fuoristrada (risultate le più vendute) tipologia che di fatto ha neutralizzato i miglioramenti in termini di efficienza energetica ottenuti nel decennio precedente.
Si è di fronte a delle vittime che sono anche carnefici, oltre che degli altri anche di loro stessi. Vittime-carnefici che utilizzano gli autoveicoli oltre la logica e contribuiscono attivamente alla dipendenza da questo sistema di trasporto.
La stessa casa in campagna è il sistema di maggiore asservimento al veicolo in quanto, a parità di relazioni, rende impossibile ogni altra forma di collegamento se non quella privata su gomma.
Gran parte delle amministrazioni ha consapevolezza del problema ma continua a sostenere il sistema della mobilità su gomma. La Banca Mondiale, che dovrebbe avere conoscenza e coscienza degli effetti ambientali e sociali della mobilità privata su gomma, dal 1997 al 1999 ha destinato i suoi prestiti afferenti la mobilità per il 63% ad opere autostradali.
La politica di gran parte dei paesi è volta all’aumento delle infrastrutture stradali ed alla riduzione di quelle ferroviarie che sarebbero una valida alternativa al trasporto privato.
Così dalla metà degli anni ottanta alla metà degli anni novanta la rete stradale degli Stati Uniti d’America e del Giappone è aumentata del 2% mentre quella ferroviaria è diminuita rispettivamente del 28% e del 12%. Questo partendo da uno sviluppo della rete ferroviaria rispettivamente circa 35 e 100 volte inferiore a quella stradale.
L’uso degli autoveicoli è motivato dall’uso della benzina e questo non soltanto è sostenuto dai petrolieri e dall’industria delle automobili ma non è contrastato dai governi sia per la loro disponibilità nei confronti dei poteri forti sia per l’interesse che hanno nella vendita della benzina. In Inghilterra l’imposta sulla benzina è del 76% del prezzo, in Francia del 69%, in Italia del 64%, in Brasile del 65% etc.
Gli stati attraverso il meccanismo delle imposte potrebbero avviare un’azione atta alla riduzione degli inquinamenti e dei consumi con una politica dei prezzi o impegnando queste entrate in opere di riqualificazione ambientale, in mobilità pubblica, nella prefigurazione di soluzioni alternative; ma ciò ridurrebbe le entrate.
Di fatto anche le amministrazione meno colluse divengono alleate dei petrolieri invece che regolatrici dei loro interessi.
Ben diverse sono le situazioni degli Stati Uniti (25%) o Indonesia (0%) dove lo stato esercita minimamente o non esercita affatto un’azione regolamentativa degli interessi privati

L’azione di stimolo alle amministrazioni deve dunque fare i conti con gli interessi dei pochi e con il piacere dei tanti. Sono pochissime le amministrazioni che sono riuscite a sostenere modelli di mobilità diversa ma quando ciò è avvenuto vi è sempre stato una modificazione di comportamenti alla base delle soluzioni praticate.
Ma il problema, a ben guardare, è anche quello di una cultura fondata sul progresso e sullo sviluppo, che vede nell’autoveicolo un simbolo indiscutibile, una merce fondamentale e uno strumento di appagamento, che non solo permea la società occidentale ma che è utilizzata per l’espansione del suo mercato
Proprio in questo si incentra l’interesse del miglioramento delle prestazioni ambientali degli autoveicoli (dei rimanenti vettori non se ne discute proprio).
Ma la maggiore efficienza delle soluzioni attuate non consente comunque di garantire un ulteriore incremento delle quantità. Ad esempio attraverso l’uso di nuove tecnologie, ed in particolare la catalizzazione, in Europa si è riusciti a ridurre le emissioni di Nox del 22% rispetto al 1990 e di CO del 38% ma non si è riuscito a contenere le emissioni di CO2 che è aumentata in relazione all’aumento del volume di traffico e dei consumi energetici del settore. L’efficienza ambientale si ottiene solo agendo contemporaneamente nella riduzione del numero degli autoveicoli, nell’allungamento della durata di uso, nella riduzione dei chilometri percorsi e nell’aumento dell’efficienza tecnologica. Ogni soluzione che si interessi esclusivamente di quest’ultimo tema è parziale non risolutiva ed atta a garantire esclusivamente nuovi mercati industriali.
In sintesi non è possibile immaginare che si possa continuare sulla strada di questo modello (ognuno la sua macchina a chilometraggio prestazioni, dimensioni, cilindrata illimitati, con un modello nuovo ogni due anni) solo aumentando l’efficienza dei prodotti.

Le soluzioni proposte, le alternative praticate
Nei paesi socialisti prima degli anni novanta la soluzione praticata al problema della mobilità è stata quella del trasporto pubblico. Questa soluzione ha funzionato per la possibilità sia di mantenere sotto controllo il mercato delle auto sia di gestire le localizzazioni degli insediamenti.
Nei paesi occidentali il trasporto pubblico non inserendosi in sistema completamente gestito non è riuscito a sostituirsi a quello privato anzi quasi sempre da esso ne è stato soffocato.
Dalla fine degli anni ottanta è però cresciuta all’interno della popolazione, in particolare europea, un crescente fastidio alla sudditanza al trasporto individuale su gomma ed una crescente ricerca di soluzioni alternative siano esse programmate dall’amministrazione siano esse ritrovate individualmente.
In alcuni paesi del nord Europa si è mantenuta anche negli anni culturalmente più bui la struttura del trasporto pubblico e l’abitudine all’uso della bicicletta, in altri si sono riprese alcune modalità di trasporto che erano state abbandonate.
Le amministrazioni possono operare grandemente mantenendo una rete di trasporto pubblico funzionante sia extraurbana sia urbana non cercando le grandi opere (metropolitane etc) che hanno costi elevatissimi ma applicando misure che riducano lo spazio al trasporto privato su gomma in superficie e favoriscano altri vettori. Una linea di mezzi pubblici anche su gomma su corsia preferenziale riesce a captare un numero elevatissimo di persone se ben posizionata con costi infinitamente inferiori a quelle di una metro.
Vi sono anche iniziative che hanno attualmente un valore sperimentale ma che mantengono il senso di una alternativa: Taxi collettivo: piccoli mezzi pubblici 10-12 utenti con costo di biglietto inferiore a quello del taxi e superiore a quello dell’autobus, con linee flessibili da personalizzare sulla necessità degli utenti (con supporto telematico), soluzione differenziata su percorsi prestabiliti, a destinazioni comune e origine differenziata (o inverso) od altro; Car sharing: multiproprietà autovettura destinata ad essere usata da più persone; un parco automobili coordinato da un operatore che gestisce ed una prenotazione per uso; oggi vi sono 100.000 associati a 40 organizzazioni in 230 città (Germania, Austria, Svizzera, Paesi Bassi) 510.000 km annui risparmiati di percorrenza; Mobility manager: gestione organica dei flussi e dei mezzi delle grandi aziende ed uffici pubblici
Ma vi sono soluzioni intraprese dai cittadini, indipendentemente dall’amministrazione, che vanno capite, interpretate e sostenute con agevolazioni, come, per esempio l’uso delle biciclette. Non è possibile imporlo ma sicuramente è possibile facilitarlo, come lo stesso uso dei motocicli, che se praticato con mezzi non inquinanti ha una capacità di migliorare le condizioni del traffico mantenendo il carattere di individualità del trasporto. Nei paesi socialisti prima degli anni novanta la soluzione praticata al problema della mobilità è stata quella del trasporto pubblico. Questa soluzione ha funzionato per la possibilità sia di mantenere sotto controllo il mercato delle auto sia di gestire le localizzazioni degli insediamenti.
Nei paesi occidentali il trasporto pubblico non inserendosi in sistema completamente gestito non è riuscito a sostituirsi a quello privato anzi quasi sempre da esso ne è stato soffocato.
Dalla fine degli anni ottanta è però cresciuta all’interno della popolazione, in particolare europea, un crescente fastidio alla sudditanza al trasporto individuale su gomma ed una crescente ricerca di soluzioni alternative siano esse programmate dall’amministrazione siano esse ritrovate individualmente.
In alcuni paesi del nord Europa si è mantenuta anche negli anni culturalmente più bui la struttura del trasporto pubblico e l’abitudine all’uso della bicicletta, in altri si sono riprese alcune modalità di trasporto che erano state abbandonate.
Le amministrazioni possono operare grandemente mantenendo una rete di trasporto pubblico funzionante sia extraurbana sia urbana non cercando le grandi opere (metropolitane etc) che hanno costi elevatissimi ma applicando misure che riducano lo spazio al trasporto privato su gomma in superficie e favoriscano altri vettori. Una linea di mezzi pubblici anche su gomma su corsia preferenziale riesce a captare un numero elevatissimo di persone se ben posizionata con costi infinitamente inferiori a quelle di una metro.
Vi sono anche iniziative che hanno attualmente un valore sperimentale ma che mantengono il senso di una alternativa: Taxi collettivo: piccoli mezzi pubblici 10-12 utenti con costo di biglietto inferiore a quello del taxi e superiore a quello dell’autobus, con linee flessibili da personalizzare sulla necessità degli utenti (con supporto telematico), soluzione differenziata su percorsi prestabiliti, a destinazioni comune e origine differenziata (o inverso) od altro; Car sharing: multiproprietà autovettura destinata ad essere usata da più persone; un parco automobili coordinato da un operatore che gestisce ed una prenotazione per uso; oggi vi sono 100.000 associati a 40 organizzazioni in 230 città (Germania, Austria, Svizzera, Paesi Bassi) 510.000 km annui risparmiati di percorrenza; Mobility manager: gestione organica dei flussi e dei mezzi delle grandi aziende e uffici pubblici
Ma vi sono soluzioni intraprese dai cittadini, indipendentemente dall’amministrazione, che vanno capite, interpretate e sostenute con agevolazioni, come, per esempio l’uso delle biciclette. Non è possibile imporlo ma sicuramente è possibile facilitarlo, come lo stesso uso dei motocicli, che se praticato con mezzi non inquinanti ha una capacità di migliorare le condizioni del traffico mantenendo il carattere di individualità del trasporto.

I nodi da risolvere

L’accessibilità. L’attuale sistema di mobilità fondato sull’autoveicolo riduce l’accessibilità ai servizi. Attraverso la disgregazione degli insediamenti, resa possibile proprio dalla disponibilità degli autoveicoli, si rende impossibile raggiungere i luoghi che compongono gli insediamenti da parte di coloro i quali non possiedono o non vogliono utilizzare l’auto. Così mentre in passato ciascun cittadino aveva ugualmente la possibilità di raggiungere ciò che gli serviva oggi si sono create due categorie: una, quella numericamente preminente, gli automobilisti ed un’altra coloro che non vogliono o non hanno gli autoveicoli, che soffrono dell’handicap della irraggiungibilità di alcuni servizi primari (negozi servizi etc sempre più localizzati in un’ottica di accessibilità veicolare). Quindi se questa condizione dovesse esser mantenuta vi dovrebbe essere un servizio gratuito con autista per coloro che non vogliono/non possono avere autoveicoli.
Equità. In questo la società già parte iniqua diversificando le possibilità di benessere in ragione dell’asservimento ad uno strumento. Ma diventa ancora più iniqua nel far sì che sia definito necessario uno strumento, l’autoveicolo, che ha un costo di manutenzione e di acquisto elevato e che incide notevolmente sulle disponibilità economiche delle famiglie. Quindi se dovesse essere mantenuto questo criterio vi dovrebbe essere un servizio che garantisse un auto gratuita in proprietà per coloro che ne facciano esplicita richiesta
Salute. Gli autoveicoli a motore fanno male. Comportandoci con le stesse modalità beghine attuate negli Stati Uniti, non dovrebbero essere utilizzati pubblicamente per non essere da “cattivo esempio” (come l’alcol). Dovrebbero essere consumati in appositi locali onde non danneggiare gli altri (come le sigarette), dovrebbero avere scritte tipo “nuoce gravemente alla salute”, “si sconsiglia l’uso ai minorenni”, “non usare nei luoghi pubblici”. Quindi, volendo continuare a percorrere questa strada, l’autovettura dovrebbe essere accompagnata da una serie di indicazioni tendenti a ridurne i disastrosi effetti ambientali e sociali

La soluzione: non muovere non muoversi

Non muovere merci: scegliere le merci che provengono da luoghi prossimi, evitare di consumare alimenti esotici che necessitano di lunghi trasporti. Prima tra tutto: non muovere gli autoveicoli per muovere se stessi.
Non muoversi: selezionare le cose da fare, dare valore agli spostamenti, non fare spostamenti inutili.
Rallentare: dare tempo agli spostamenti, non cercare di ridurne i tempi prendendo mezzi più rapidi.

L'incredibile cecità di una cultura produttiva
La vicenda della ristrutturazione della maggiore industria automobilistica italiana è rappresentativa della contemporanea incapacità a proporre soluzioni ed evidenziare limiti da parte di quei soggetti che tradizionalmente “si sono fatti interpreti” della proposizione.
La Fiat auto è stata acquisita dalla GM che entrerà in campo quando la Fiat avrà eliminato quelle parti della sua produzione che non interessano e quelle che potrebbero essere delle rogne. La GM compra la Fiat per acquisire un mercato, quello italiano, e per concentrare la produzione nei luoghi più convenienti e non necessariamente negli attuali luoghi Fiat. Questa strategia è nota alla Fiat che ha operato alla stessa maniera con Innocenti, Lancia, Alfa Romeo, OM, ed altro.
In questo processo possono essere convenienti ma non indispensabili gli aiuti dello stato; nell’epoca della globalizzazione i palliativi statali non sono ricercati perché, seppur minimamente, pongono condizioni ad un processo che risulta maggiormente efficace tanto più drastico, rapido e cruento si manifesta.
In questo contesto, molto malamente analizzato dai maggiori sindacati, lo slogan condiviso è che in Italia si producono circa 1.200.000 autoveicoli e che dunque si debba mantenere questa produzione per mantenere l’occupazione connessa. Non si considera che produzione ed occupazione non sono più direttamente collegate (lo stesso numero di autoveicoli aveva bisogno di circa quattro volte l’attuale personale solo negli anni settanta), e ancora più grave non si considera che se il mercato degli autoveicoli non fosse alterato dalla speculazione non vi sarebbe assolutamente bisogno di 1.200.000 autoveicoli l’anno.
Si dovrebbe partire dal numero ragionevolmente utile di autoveicoli, cercando di allungarne il tempo di uso, di gestirne l’intero ciclo e da li cominciare a parlare di addetti.
I dipendenti Fiat sono 28.450, con un indotto valutato variamente da 3 a 5 volte tanto. Si parla quindi di circa 140.000 addetti. Se le macchine necessarie fossero la metà gli addetti in eccedenza sarebbero complessivamente 70.000. Avremmo tolto dall’autostrada migliaia di Tir, avremmo ridotto il consumo di acqua e di energia, avremmo ridotto una quantità spaventosa di inquinamenti, avremmo aumentato la disponibilità economica delle famiglie, avremmo ridotto i significativi profitti di alcuni gruppi internazionali (benzine, auto, assicurazioni, etc).
Aziende agricole, forestazioni, cabotaggio, gestione delle città urbane, opere di manutenzione del territorio, altre produzioni manifatturiere, sono tutti ambiti di attività in cui si può operare con quei settantamila ed in cui il richiamato intervento dello stato può essere più efficace del mantenimento di una produzione che non serve se non a chi accumula denaro con essa.

Velocità di spostamenti e omogeneizzazione del mondo
Centinaia di milioni di persone si muovono ogni anno per trascorrere le proprie ferie in posti diversi da quelli dove risiedono. Le compagnie di turismo organizzano viaggi in località “selvagge” predisponendo strutture consone al mercato. Tutto ciò per osservare il mondo, ma sempre da un osservatorio privilegiato e più o meno sicuro. Mai come in questo periodo i resoconti dei viaggi sono così frustranti: sempre cose diverse vissute e apprese alla stessa maniera.
I veloci spostamenti sono lo strumento attraverso cui si portano esperienze ed esemplificazioni del modello occidentale che lasciano tracce indelebili della loro presenza e della loro modalità di esistenza nei luoghi visitati.
Le persone che viaggiano costituiscono la domanda; l’offerta si adegua ad essa e nei casi in cui il luogo non sia conforme alla domanda sarà adeguato attraverso la modificazione degli insediamenti, dei processi produttivi, delle abitudini alimentari, dei costumi, finalizzandole al soddisfacimento del visitatore.
Il viaggiatore costituisce un riferimento culturale, un ambasciatore di un modello che si mostra ricco e felice e le popolazioni visitate sono stimolate a tendere nella direzione dell’uniformazione.
Maggiore è la velocità, e quindi la quantità di questo tipo di relazioni, e maggiore sarà l’uniformità tra i luoghi: ad una velocità infinitamente alta corrisponderanno luoghi infinitamente simili.

Alcune cose da non fare e cercare di non far fare

Insediamenti
Evitare case fuori città quando si lavora, si compra, si incontrano gli amici, si portano a scuola i figli ed in campagna si guarda solo la televisione (aumentano straordinariamente il livello di mobilità necessaria e praticamente rendono dipendenti dalla mobilità privata).
Opporsi al decentramento degli uffici.
Non frequentare ipermercati esterni al tessuto consolidato ed opporsi alla loro creazione.

Merci
Tenersi la macchina vecchia o comprare macchine usate (l’incidenza dell’occupazione in fabbrica è limitata ma lavora di più il carrozziere e il meccanico).
Comprare macchine di piccola cilindrata, efficienti, leggermente più piccole di quello che potrebbero servire.

Lavoro
Ridurre la propria mobilità all’indispensabile.
Dove possibile, operare alla riconfigurazione del lavoro in ragione della riduzione della mobilità.
Muoversi con mezzi pubblici, utilizzare con altri i mezzi privati.

Turismo
Organizzare vacanze in posti non troppo lontani (non ricercatamente lontani).
Mettere in relazione tempi e lontananza (nel caso uno non ne possa fare a meno, alle Bahamas ci va per due mesi, “fuori porta” per una giornata).
Dare tempo alla comprensione dei luoghi (no turismo sintetico, sì permanenza prolungata).

Abitudini
Porsi dei limiti (anche solo di riferimento) ai chilometri da percorrere con gli autoveicoli.
Muoversi di meno, trovare gusto nello stare, adeguare i posti dove uno risiede.
Muoversi a piedi, in bici con mezzi che non consumino energia.
Utilizzare, se serve, tutti i mezzi disponibili e più convenienti allo spostamento (auto fino al mezzo pubblico, poi mezzo pubblico, poi bici).
Trovare mezzi di trasporto privato alternativi (anche moto, se piccole- medie cilindrate, efficienti ambientalmente).
Muoversi con i treni, le navi (da preferire comunque ad aerei e autovetture: minore efficienza ambientale, maggiore impatto culturale).

Questo volantone
è stato realizzato da Adriano Paolella e Zelinda Carloni. Per contattarli via e-mail, scrivete a antiglo@email.it

Questo volantone è il quinto di una serie – tutta curata da Adriano e Zelinda – iniziata con Globalizzazione - Idee per capire, vivere ed opporsi al nuovo modello di profitto, uscito nel n. 274 (estate 2001) in versione bilingue (italiano ed inglese) in coincidenza con la mobilitazione a Genova contro il G8.
Nel novembre 2001 è poi seguito Le strategie della fame, supplemento al n. 276, realizzato in vista del vertice di Roma (poi rimandato) della FAO.
Nel marzo del 2002 è stato pubblicato il terzo, Riscaldamento globale e controllo sociale, come supplemento al n. 279.
Nell'estate 2002 è stato pubblicato il quarto, Il controllo delle risorse, come supplemento al n. 283.
Ne sono previsti altri, in un prossimo futuro.
Chi volesse ricevere copie singole e/o per la diffusione, ci contatti per conoscerne disponibilità e prezzi.

Questo volantone esce come supplemento al n. 286 (dicembre 2002) della rivista mensile anarchica “A”, direttrice responsabile Fausta Bizzozzero, registrazione al tribunale di Milano n. 72 in data 24.2.1971, stampa e legatoria Sap s.n.c. (Vigano di Gaggiano - Mi).

“A” esce regolarmente 9 volte l’anno dal febbraio 1971. Non esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre. È in vendita per abbonamento postale, in numerose librerie e presso centri sociali, circoli anarchici, botteghe ecc. Se ne vuoi una copia/saggio, chiedicela. Siamo alla ricerca di nuovi diffusori.

Per qualsiasi informazione, compresa la lista completa dei nostri “prodotti” (volantone antifascista, Letture di Bakunin, Kropotkin, Malatesta e Proudhon, volantoni della serie anti-globalizzazione, maglietta “Segno Libero”, poster di Malatesta 1921, cd+libretto di Fabrizio De André “ed avevamo gli occhi troppo belli”, dossier “Signora libertà, signorina anarchia” dedicato a De André, dossier su Franco Serantini, lista di oltre cento cd, mc, ecc. della ‘Musica per “A”’, ecc.) contattaci. Se ci fai avere per fax, e-mail o in segreteria telefonica il tuo indirizzo completo, ti spediamo a casa tutte le info necessarie per poter ordinare quello che vuoi.

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