Il galateo del saluto
Il saluto più adatto nei vari momenti della giornata. Dal buongiorno
all'addio, passando per il confidenziale ciao Il saluto, espressione di
cortesia o di deferenza, non si deve limitare ad un semplice buongiorno,
buonasera…, ma richiede un adeguato, convincente atteggiamento complessivo,
guardando sempre in volto la persona. Nel contempo, va contenuto tra le
persone che ne sono oggetto, non rendendo partecipi gli astanti.
Con il saluto si intende tranquillizzare l'altra persona. Nell'antichità,
alzando il lembo della tunica che copriva il capo (da qui il successivo gesto
di togliersi il cappello). Poi porgendo la mano, evidenziando con questo gesto
che la stessa non era armata.
La stretta di mano, accettazione dell'altra persona durante la
presentazione, deve avvenire senza indugi che potrebbero procurare imbarazzo e
senza "violenza" in quanto non trattasi di una prova di forza. Alla persona di
riguardo spetta la prima mossa, l'accettazione, o meno. Precedenza che vale
anche per la donna nei confronti dell'uomo.
Per strada, o in un luogo pubblico, il signore stile (impeccabile),
incontrando una signora o una persona di riguardo, accenna al saluto
inclinando leggermente il busto. Se porta il cappello, lo solleva leggermente.
Entrando in un qualsivoglia ambiente, i saluti vanno a tutti i
presenti, con precedenza alle persone già conosciute. Salutati da un
signore, tutti gli uomini si alzano, sempre e comunque. Anche le giovani
ragazze si alzano. Non così le signore, ivi comprese le donne che hanno
acquisito questa "etichetta". Salutati da una signora, si alzano tutti
gli uomini, le giovani ragazze, nonché le amiche più giovani.
Un uomo, entrando in un luogo ove vi siano più persone, anche
sconosciute, fa un leggero inchino, quindi va a salutare la padrona di casa,
quindi il consorte di questa. Quindi saluta i presenti secondo l'ordine che
gli viene più comodo e senza distinzione di sesso o di età. La propria moglie,
se presente, va lasciata per ultima e senza espansione eccessive. Il
visitatore prende quindi posto dove predisposto dalla padrona di casa.
Al ristorante, in compagnia, riconoscendo ad un tavolo dei conoscenti,
si salutano solo con un cenno. Sostando, trattandosi di conoscenze comuni, gli
uomini di quel tavolo si alzano mentre le donne ne sono esentate.
Il baciamano va fatto sollevando la mano della signora fino a sfiorarla con le
labbra. Comunque mai per strada, sulla spiaggia, al bar, in ufficio. E mai una
mano inguantata.
L'inno nazionale, proprio o straniero, richiede rispetto. L'ossequio si
esprime alzandosi in piedi e togliendosi il cappello (solo gli uomini).
Il libro «Come devo comportarmi?» di Anna Vertua Gentile, del 1897, considera
anche un aspetto “esploso” in quegli anni con l’avvento della bicicletta,
mezzo di trasporto per l’élite, non certo per il popolino, impossibilitato ad
un tale acquisto. «Incontrando una signora, il ciclista staccherà un
momento la mano dalla maniglia per portarla al berretto. Che la signora fosse
un'amica di case e si fermasse mostrando desiderio di parlare, il ciclista si
arresterà di botto, balzerà con un salto aggiustato dalla sua macchina, e le
si inchinerà davanti reggendo la bicicletta e levandosi il cappello con la
destra».
Qualche decennio dopo, con l’avvento del fascismo, il saluto diventa più
“igienico”. «Il saluto romano - doveroso per i
fascisti - è il saluto più igienico che sia mai esistito. Va eseguito con
rapidità ed energia. È ridicolo farlo seguire dalla stretta di mano…»
raccomandano nel 1032 Alma Ruffo Lanceri e Riccardo Galluppi, autori di «Le
moderne usanze».
Negli incontri fugaci è sufficiente un semplice Buongiorno,
Buonasera o Buonanotte, a seconda del momento della giornata. Ma,
prevedendo di fermarsi a conversare, al saluto si aggiunge anche signor
o signora. Facendo seguire anche il cognome, se ricordato.
Il più frequente interrogativo sulla scelta dei vari buon... è per lo più
determinata dalla latitudine e dall’uso locali. A Milano con il buongiorno si
saluta dal mattino al tramonto; diversamente a Roma già dopo il pranzo del
mezzogiorno si augura buona sera.
In linea generale, quindi:
- Buongiorno, formula di saluto e di augurio che si usa al mattino
(certamente) e nel primo pomeriggio (a seconda delle zone)
- Buonasera, formula di saluto e di augurio che si usa al pomeriggio e
alla sera.
- Buona notte, formula di saluto e di augurio che si scambia a tarda
sera prima di andare a dormire.
Sono tutte formule di saluto e, primariamente, di augurio. E su questo secondo
aspetto si dovrebbe insistere. O meglio; si dovrebbe recuperare. Infatti il
saluto era primariamente augurale. Oggi è più che altro una formalità.
L’espressione “il buongiorno si vede dal mattino”, non sta ad indicare una
previsione astronomica, ma che il carattere della persona si riconosce dalle
prime manifestazioni. Tanto vale iniziare proprio da un convincente e convinto
saluto che, ben espresso, diventa appunto augurio.
Una formula di saluto amichevole, confidenziale, divenuta di uso
internazionale è il ciao. Espressione di saluto tra intimi e amici,
anche in questo caso non va gridato da un marciapiede all'altro, ma bensì
contenuto tra le persone che ne sono oggetto. Ha origini venete: s-ciao (o
s-ciavo per altri testi) ad indicare: sono tuo schiavo.
Il ciao sottintende il tu, che si ricambia con persone dello stesso ambiente.
L'anzianità, il peso professionale e sociale, dovrebbero porre un freno al
dilagare del «tu». Se è vero che al «tu» e al «lei» ci si deve adeguare
prontamente - ovvero rispondere con la stessa forma -, al tu che viene da
persone anziane, da personaggi importanti, da professori, si risponde con il
«lei».
Per Giovanni Della Casa, autore del “Galateo” a metà del Cinquecento, il tu
era per poltroni e contadini: «Chi dice "Voi" ad un solo, pur che colui non
sia d'infima condizione, di niente gli è cortese del suo: anzi se egli dicesse
"Tu", gli torrebbe di quello di lui e farebbegli oltraggio ed ingiuria,
nominandolo con quella parola, con la quale è usanza di nominare i poltroni
(gente del volgo) ed i contadini».
In anni a noi più prossimi, Anna Vertua Gentile, autrice di «Come devo
comportarmi?», il testo più ‘gettonato’ agli inizi del 1900, si preoccupa che
la familiarità di parole influisca negativamente sui riguardi: «Il "tu",
espressione quasi sempre di affetto e di amicizia, qualche volta vuol dire,
alterigia e prepotenza. Ora io credo per fermo, che il linguaggio influisca
sulle abitudini e che la troppa familiarità di parole, finisca per tradursi in
mancanza di riguardi».
La scrittrice Matilde Serao, importante ‘penna’ negli anni Venti raccomanda
poi alla signorina di utilizzare il tu solo «il tu a fratelli e nipoti. La
signorina dà sempre del lei agli uomini, vecchi e giovani; alle signore di
grandi rispetto, anche il lei. Del tu solo, come uomini, ai fratelli e nipoti.
Infine, il riserbo unito all'amabilità e alla buona grazia, ecco quello che
deve essere il contegno di una signorina, a sedici anni, in pubblico e in
privato».
Tra le altre espressioni di saluto abbiamo anche Salve e Addio. Anche in
questi due casi la genitura è augurale:
- Salve in lingua latina augurava «Stai bene». Ha tono amichevole e
familiare ed è frequentemente utilizzato da chi non sa in quale modo salutare
una certa persona.
- Addio originariamente aveva intendimento augurale: «(ti raccomando) a
Dio». Poi si è trasformata in forma di saluto in commiati sia di tono
confidenziale che elevato, per lo più a carattere definitivo.