L'enjambement in Tasso

Mario Fubini, Studi sulla letteratura del Rinascimento,

L'enjambement preesiste, ma nel Tasso c'é 17,7 volte su cento stanze, mentre nell'Ariosto la proporzione è del 6.5.

Inoltre: mentre in Ariosto corrisponde alla ricerca di una disinvoltura d’espressione, è uno smorzamento di tono, un scendere verso la prosa ("Signor, far mi convien come fa il buono / sonator, sovra il suo strumento arguto..." ) (1), caratteristico è il valore lirico che tale dissonanza assume in Tasso: il rallentamento del ritmo (la pausa necessaria fra le due parole) costringe a soffermarsi sulle due parole, congiunte e divise; e quindi a sottolineare in questo modo un sentimento che, altrimenti, le parole da sole non direbbero. In particolare, il fenomeno è vistoso quando le due parole sono un sostantivo con il suo attributo preposto (perché in tal caso, più che quando l’attributo è posposto, le due parole tendono a formare una stretta unità).

Ciò non vale solo per l'enjambement: la metrica del Tasso è fondata su pause anomale, che spezzano il verso. Quindi, non più versi lineari e ordinati (come quelli dell'Ariosto), ma versi "franti": versi che dunque corrispondono alla intensità patetica di quest'ultimo (così nelle estreme parole di Clorinda: "Amico, hai vinto; io ti perdon... perdona / tu ancora, al corpo no, che nulla pave, / a l’alma sì: deh! per lei prega, e dona / battesmo a me ch’ogni mia colpa lave;" ; o nelle parole di Armida abbandonata: "Forsennata gridava: "O tu che porte / teco parte di me, parte ne lassi, / o prendi l’una, o rendi l’altra, o morte / dà insieme ad ambe: arresta, arresta i passi..."" ).

Ordine e linearità nell'Ariosto corrispondono alla sua visione razionale del mondo, pienamente rinascimentale; nel Tasso invece le tensioni emotive non sono più contenibili entro quella linearità: straripano (Ariosto osserva divertito i suoi cavalieri, Tasso soffre con loro). Un'analisi della sintassi credo rivelerebbe un'analoga differenza: prevalenza paratattica in Ariosto, ipotattica in Tasso.

 

La poesia della Liberata

Lanfranco Caretti, Ariosto e Tasso,

Einaudi 1977, pp. 1O2-110.

I lunghi e dettagliati Discorsi dell'Arte poetica (laddove non abbiamo documenti di poetica ariostesca) testimoniano di una personalità (quella di Tasso) sottoposta a impulsi contrastanti: per cui, la ricerca di unità non è l'ossequio ad una astratta regola aristotelica, ma il bisogno autentico di chi tale unità vuole trovare prima di tutto nella propria coscienza (lacerata fra anelito religioso e oblio sensuale, verità storica e invenzione, ecc.). Unità (etica ed estetica) che invece esisteva a priori in Dante (teocentrica, verticale) o in Ariosto (antropocentrica, orizzontale, aperta).

Ed ecco il "bifrontismo" o doppio registro della Liberata: da una parte l'amore e il piacere (peraltro, con tipica suspence tassiana, rattristati da mancata corresponsione e comunque dal sentimento della labilità), dall'altra la pietà e il sacrificio (elementi, quindi, a torto ritenuti astratti o estrinseci all'ispirazione del poeta; come a torto sono ritenuti impoetici personaggi "tutti d'un pezzo" come Goffredo o Sofronia); o anche: da una parte i momenti lirici (sentimentali e autobiografici) dall'altra quelli eroici (storici e morali): il complesso accordo di questi due registri costituisce il nodo vitale della Liberata.

Anche lo stile si adegua: al momento eroico corrisponde il periodare lungo, l'equilibrio costruttivo dei modelli classici; al momento lirico, un ritmo rapido e nervoso fatto di emozioni fuggitive e trasalimenti sentimentali (è un ritmo che rinnova la tradizione petrarchesca attraverso la lezione dellacasiana).

 

Tasso e l'epoca sua

Lanfranco CARETTI, Ariosto e Tasso,

Einaudi 1977, pp. 87-94.

I romantici vedevano Tasso come una sorta di solitario poeta maudit ; i positivisti volevano spiegarlo mettendone in risalto le deformazioni patologiche: la sua inquietudine invece si spiega come riflesso della crisi che investe quel cinquantennio di storia italiana. Non c'è tanto differenza di psicologie fra Ariosto e Tasso (stabile l'uno, instabile l'altro, afferenti a due archetipi fondamentali: dell'artista razionale o classico, dell'artista sentimentale o romantico), quanto piuttosto di condizioni storiche.

La crisi del Rinascimento è già avvertibile nei Cinque canti. ariosteschi. Di qui, in Tasso, il sentimento della precarietà e finitezza umana che corrode la perfetta armonia del naturalismo rinascimentale; di qui l'ansietà religiosa; ma anche il tentativo di conciliare questi nuovi sentimenti con il classicismo perduto (ed ecco il suo "bifrontismo").

Diversa per i due è poi la corte ferrarese: ambiente naturale per Ariosto, che ne vede con pacatezza vizi e virtù, immagine precisa dell'umanità a lui contemporanea, aperta alle innovazioni, città storicamente definita (e non idealizzata); Tasso è invece uno sradicato che aspira ad una corte ideale (aristocratica radunanza di spiriti eletti) che ormai non esiste più: nella realtà è una corte dove trionfano diffidenza e sospetto, simulazione e diplomazia (tale è l'atmosfera creata dall'Inquisizione, che ha provocato la dissoluzione del vivace circolo di Renata di Francia).

 

Tasso e la questione del poema epico

PETRONIO, pp. 275-77;

M. I., vol. 5, pp. 866-872.

La riesumazione della Poetica di Aristotele apre anche la discussione sul poema epico, che avrebbe dovuto rispettare la verità storica, l'unità d'azione e la presenza di un eroe protagonista. L'Italia liberata dai Goti (2) di G. G. Trissino (1478-1550) avrebbe voluto essere questo (ad imitazione dell'Iliade e dell'Eneide ); laddove invece i "modernisti" sono sostenitori del Furioso, ovvero di un tipo di poema (che allora comincia a chiamarsi "romanzo") che conceda al fantastico ed alla molteplicità di avventure.

Il primo tentativo di Tasso (Il Gierusalemme ) vuol essere conforme al progetto epico. Le evidenti difficoltà lo fanno ripiegare sul "romanzo" cavalleresco, ad imitazione dell'Amadigi del padre: il Rinaldo (protagonista è un eroe del ciclo carolingio, che si realizza in avventure amorose e di gloria), dove, nella unicità del protagonista, è evidente il tentativo di mediazione con le tesi aristoteliche. Dopodiché riprende (e realizza con la Liberata ) il progetto di un poema epico (non di diletto, ma di impegno civile e religioso). Nel '75 la Liberata è conclusa, quindi inizia il dibattito con i critici: c'è chi gli rimprovera (aristotelicamente) le deroghe all'unità d'azione e chi (cattolicamente) le concessioni all'erotico e al magico.

Mentre Tasso è al S. Anna, il poema è pubblicato nell' '80 col titolo di Il Goffredo e nell' '81 come Gerusalemme liberata . Uscito dal S. Anna nell' '86, l'autore dà l'avvio alla revisione che nel '93 porterà alla Conquistata : i canti, da 20, diventeranno 24 (ad imitazione dell'Iliade ); saranno eliminati gli episodi di Olindo e Sofronia (c'è troppa sensualità), di Armida amante abbandonata (il suo dramma, il tentativo di vendetta, la riconciliazione finale; resta come seduttrice demoniaca) e di Erminia tra i pastori (troppo romanzesca).

 

Il bifrontismo o doppio codice

della Liberata

M.I., vol. 5

pp. 876-881

Da Caretti ed altri critici contemporanei si è rilevata nella Liberata la presenza di un "bifrontismo" o doppia ideologia o conflittualità interna alla struttura.

Dietro la metafora della guerra fra cristiani e musulmani è rappresentato il conflitto fra due codici ideologici di comportamento: quello laico, pluralista, libertario (di cui sono campioni i pagani) e quello religioso, universalista (imperialista), autoritario (di cui sono campioni i cristiani); di qui la freddezza dei personaggi positivi (Goffredo, Pier l'eremita) e la simpatia per gli sconfitti (da Satana, che esalta il proprio valore di ribelle contro, si badi bene, non il principio assoluto del bene, ma un altro modello che non tollera il pluralismo e la dialettica; ai "compagni erranti", tipo Rinaldo e Tancredi, che si lasciano sedurre dall' "avventura" invece di corrispondere al "servizio") (3).

Insomma i cristiani sono il modello di comportamento della Controriforma, che combatte contro il modello di comportamento dell'età precedente, fatto di libertà, laicismo, ecc., ovvero contro il mondo del Furioso (sorprendentemente, qui, rappresentato dai pagani). Ed anche: la lotta del "capitano" contro i "compagni erranti", per ricondurli al giusto comportamento, rappresenta la lotta che l’ortodossia cattolica deve combattere contro l’eresia.

Anche le questioni strutturali vanno ricondotte a tale bifrontismo. L'esigenza aristotelica di unità è ancora l'esigenza di ordinare sotto un unico principio (come vogliono fare i cristiani sotto il segno della croce) ciò che invece vorrebbe essere dispersivo, centrifugo, diverso (tale è l'avventura cavalleresca, cosiccome la devianza eretica: ci si lascia sedurre da altro che non dall'unico bene).

La contrapposizione fra cristiani e pagani è netta, dunque, laddove invece nell'Ariosto Rinaldo e Ferraù potevano sospendere il duello in nome dello stesso codice di comportamento (tale codice, invece, nella Liberata, appartiene solo ai pagani; ed è per questo che l'autore - inconsciamente? - ed i lettori sono portati a simpatizzare con questi e con i cristiani devianti).

 

Città e selva in opposizione

nella Liberata

E. RAIMONDI, Poesia come retorica,

Olschki 1980, passim.

Se osserviamo l’ottava (III, 56) in cui si descrive la collocazione di Gerusalemme, già notiamo come l’ordine spaziale rimandi ad un ordine morale (ed è un rimando ampiamente verificabile nel testo): "La città dentro ha lochi in cui si serba / l’acqua che piove, e laghi e fonti vivi; / ma fuor la terra intorno è nuda d’erba, / e di fontane sterile e di rivi. / Né si vede fiorir lieta e superba / d’alberi, e fare schermo ai raggi estivi, / se non se in quanto oltra sei miglia un bosco / sorge d’ombre nocenti orrido e fosco. ". La collocazione geografica indica tre sezioni, di cui una (la pianura sterile) media fra le due estreme: la città (Gerusalemme) e la selva (di Saron), fra cui l’opposizione è visualizzata non solo pittoricamente, ma anche simbolicamente (tra "fonti vivi" e "ombre nocenti", il liquido e l’arido, spazio umano della città e non umano della selva).

Gerusalemme rappresenta dunque il luogo del bene e del dovere assoluti, il punto di riferimento per l’azione dei cavalieri, l’approdo agognato all’unità; laddove invece la selva di Saron rappresenta lo spazio negativo, il luogo della seduzione e della dispersione, dell’evasione anarchica nel molteplice: rappresenta tutti gli ostacoli che la natura (anche la natura individuale, che si lascia traviare dall’eros e dal gusto dell’avventura) frappone al compimento dell’impresa.

Alla selva di Saron rimanda quindi non solo il giardino di Armida (dove si "perde" Rinaldo), ma anche il "placido soggiorno" di Erminia tra i pastori: giacché sono una falsa pace e una falsa innocenza quelle conseguite attraverso l’evasione e non invece attraverso il sacrificio e la lotta eroica contro la tentazione e lo smarrimento. Questa lotta è quella combattuta da Rinaldo (dopo una notte di purificazione sul monte Oliveto, vero e proprio "rovescio" del giardino di Armida) nella selva di Saron, contro magie maligne che non sono altro che la proiezione dei fantasmi della sua stessa coscienza: e dunque questo canto (il XIII) diviene il centro dello spazio narrativo.

 

 

 

NOTE

1) O anche per sottolineare l’intenzione satirica (così nella Satira I: "Or concludendo dico che, se ‘l sacro / cardinal comperato avermi stima…").

2) Scritta a "tavolino" (per dimostrare una tesi teorica), risulta fredda e impoetica. Sarebbe stato il poema della salus, invocato da Dante nel De vulgari eloquentia.

3) Diverso è quindi, rispetto al Furioso, il senso dell’essere cavalieri: in Ariosto l’avventura era intesa come libera espressione della realizzazione individuale, ed era fondata sui valori dell’onore e della virtù; in Tasso invece l’avventura è devianza (deviante è l’individualismo), il cavaliere deve compiere una missione religiosa (e collettiva), in nome della quale deve rinunciare alla libera autodeterminazione ed assoggettare la sua volontà a quella del capitano (che è poi la volontà di Dio).