CENTO ANNI DI TORO

Cairo: giornata straordinaria
«Ho preso un Toro appena nato in serie B e privo della sua storia»

«È stata una giornata straordinaria e unica, cominciata la mattina a Superga con la messa in onore del grande Torino e poi continuata con la festa allo stadio Olimpico dove siamo riusciti a riunire tutte le vecchie glorie del Toro». Così il presidente del Torino Urbano Cairo, torna sulla festa dei 100 anni della società granata. «È stato straordinario poter celebrare il centenario, perchè quando ho preso il Torino nel 2005 era un Torino appena nato, era in serie B, veniva da un lodo e non aveva nulla della storia precedente, poi siamo riusciti ad acquistare il marchio e i trofei che esporremo in una mostra. È stato inoltre straordinario poterlo celebrare in serie A perchè non dimentichiamo che abbiamo fatto una squadra in sette giorni che poi abbiamo rinforzato e che è riuscita a centrare la promozione. Poi in più con la Juve in B siamo l’unica squadra di Torino in A, ma noi dobbiamo prendere esempio dal Toro degli anni ’40 e ’70 e pensare solo a fare bene noi, senza preoccuparci di quello che fa la Juve». «I bianconeri in B danno economico? Non sono d’accordo con Spinelli, non ne faccio un problema economico, il calcio deve essere uno sport, la parte economica viene dopo, dobbiamo recuperare i veri valori e non mischiare. Se la Juve meriterà di tornare in A faremo un campionato anche con loro». Le ultime parole sul settore giovanile: «Io sto investendo molto sul vivaio, abbiamo 12 squadre e siamo ripartiti da zero, ma per ottenere risultati ci vogliono anni».

Da Law a Pulici un secolo di Toro
A Junior sono piaciuti «il piccoletto e il capitano»

MARCO ANSALDO (da stampaweb)

Gustavo Giagnoni che a marzo compirà 75 anni ma deve aver provato gli elisir di Scapagnini, il medico che ha promesso l’eterna giovinezza a Berlusconi, alla fine scherzava sulla propria memoria. «Dica lei - si rammaricava l’allenatore del primo tremendismo granata - se in un’occasione del genere dovevo dimenticare a casa il mio colbacco». L’avrebbero apprezzato moltissimo. Come tutti hanno applaudito Marco Ferrante, che ha ripetuto per i fotografi il gesto del Toro che incorna l’avversario, come fece dopo il gol in un derby. E Nestor Combin, bello e tondo, che si è presentato nello stadio levando le tre dita, una per ogni rete che segnò alla Juve (ah, la Juve, mai dimenticata in una festa così) in una delle partite più tragiche: Meroni era morto da una settimana e la gente nel vecchio Comunale aveva ancora gli occhi umidi, come sono quelli dell’antico centravanti mentre dice: «Entrando ho visto là di fronte, sopra il palco, la sua foto gigantesca. Mi sono detto: meno male, anche Gigi è qui con noi». I ricordi hanno un suono, un’immagine, un colore. Magari i contorni sono imprecisi e Leo Junior si è confuso sull’angolo dal quale partì il suo cross per un famoso gol di Serena (indovinate a chi?). Che importa? Ognuno ieri s’è portato da casa i propri, come il sacchetto della merenda ad un picnic, ed erano pesanti o felici o tragici o commoventi come quello di Combin che non veniva a Torino da trent’anni «ed è stato bello vedere come la gente non mi ha dimenticato». Hanno sfilato in 104. Brandelli di una storia lunga un secolo ma ieri confinata negli ultimi sessant’anni, dal Grande Torino evocato nella foto di Valentino Mazzola, nel film rievocativo e nella presenza viva e palpabile di tre che scamparono alla morte, perché erano troppo giovani per quel viaggio o li aveva tenuti a casa un infortunio, non la sfortuna. Tomà, Gandolfi, Audisio. La ricostruzione storica è cominciata con loro insieme a Chiambretti sul palco, rotondo come una torta in mezzo al campo. Poi sono seguiti gli altri, la sfilata dei giganti e di quelli per cui il passaggio in granata fu una parentesi, magari la più felice, in una onorata carriera. Applausi e cori. Nessun fischio. Le polemiche e i tradimenti sono stati riposti in un angolo buio, giustamente dimenticati all’apparire di Dino Baggio, che quando lo comprò la Juve si gridò alla vergogna, ma è storia passata ed è bello così. Mancava qualcuno. Il giaguaro Castellini, stranieri irrintracciabili (Scifo, Casagrande, Berggreen, Kieft), Gigi Radice che non se l’è sentita, Mondonico ferito dalla contestazione nell’ultimo periodo granata: «Tifosi che non avevo mai smesso di amare e che mi si voltarono contro appena cambiò il vento». Gli altri c’erano, contenti di esserci. «È stata una riunione riuscita di condominio ma di un condominio dove nessuno litiga e tutti si vogliono bene in nome del Toro», ha commentato Agroppi. Pranzo nel salone dello stadio: davanti a risotto e bresaola per rivedersi, ritrovarsi, riconoscersi. «Mi è capitato di salutare qualcuno e poi chiedere: ma chi è quello là?», confessa Antonio Sabato. Ad esempio, quel signore magro, con i capelli un tempo rossicci sparati in testa è Denis Law. Non lo si vedeva da anni. «Chi gli ha giocato contro mi ha garantito che era un fenomeno come può esserlo oggi Kakà», dice Silvano Martina, affascinato. Nella leggenda torinista e torinese Law è rimasto il talento estroso e ingestibile che si schiantò in auto insieme a Baker contro il monumento a Re Vittorio. Lui sorride, scanzonato come lo era nel gioco. «Festa emozionante. Il Toro e il Manchester United hanno condiviso una tragedia identica e la portano incisa nella loro storia. Per questo vivono atmosfere speciali». Non ha fretta Law. Ma vorrebbe averla. Dopo mezz’ora di partita si agita, si inquieta. Non è tifo: è noia. «Mi hanno obbligato a tornare», spiega al vicino di poltrona che lo vede rientrare dopo l’intervallo. Il guaio è che nella festa del centennale c’è stata anche Toro-Empoli. Molti ne avrebbero fatto a meno. Sguardi scettici, frasi di circostanza. «Certo che si può giocare meglio ma almeno si è visto un carattere che mi ha ricordato un po’ il mio Toro e De Ascentis è stato immenso», dice Giagnoni. Combin è deluso. «Cairo mi ha garantito che a gennaio prenderà qualcuno. Non serve molto per diventare una squadra da quarto o quinto posto, bastano tre uomini e uno deve essere un centravanti che metta davvero paura agli avversari, una paura fisica. Invece ho visto che i difensori dell’Empoli venivano avanti, senza preoccuparsi troppo di chi dovevano controllare». A Leo Junior sono piaciuti «il piccoletto e il capitano», Rosina e De Ascentis. Martin Vazquez che fa il commentatore nelle tv spagnole è buonista («Alla fine il Toro ha meritato di vincere perché ha cercato sempre di segnare, anche nel primo tempo»), Pasquale Bruno ovviamente lo è un po’ meno: «Mi chiedo perché affrontare l’Empoli con tutti quei difensori, il mio Toro di difensori ne aveva due e basta». Sono gli echi di oggi. Meglio quelli di ieri.

Toro, la leggenda del football compie cent'anni
di Dario Ricci

È una specie di magia, lunga un secolo, Il Torino. In principio fu un semplice brindisi tra giovani appassionati e rivoluzionari, innamorati di un gioco che - importato dall'Inghilterra - già da qualche anno stava prendento piede in tutta Italia: il football. Tutto comincia in una notte di dicembre, intorno al tavolo di una birreria torinese, davanti a un buon bicchiere, a sancire la fusione tra l’F.C. Torinese e un gruppo di dissidenti juventini, guidati dallo svizzero Alfredo Dick, contrari alla svolta verso il professionismo della società bianconera. semplice ed essenziale l'atto di costituzione

3 dicembre 1906: "È costituita in Torino, sotto il nome di Football Club Torino, una Società avente per iscopo la pratica di tutti gli sport e segnatamente quello del Football o gioco del Calcio. È espressamente esclusa ogni questione politica o religiosa. I colori sociali sono: granata e bianco. L’anno sociale ha principio col primo settembre di ogni anno". Così Franco Ossola e Renato Tavella rendono omaggio a quegli eroici pionieri, e con essi, a una città e a un'epoca.

"Presi i primi accordi in novembre, in capo a poche settimane la fondazione del F.C. Torino si fece ufficiale in una sala della Birreria Voigt. Posto nel cuore antico della città, questo locale si affacciava sotto un filare di portici, gli stessi che paravano il passaggio della troneggiante figura dai capelli bianchi di Edmondo De Amicis, quando a lunghi passi lo scrittore imboccava infine il portone del suo palazzo, posto due passi, ma proprio due soltanto, dalla birreria…Quasi un luogo obbligato, darsi convegno in una birreria…. Bevendoci su, ovviamente: chi birra, chi scegliendo tra le bevande con le quali le raffinate distillerie cittadine stavano conquistando il mondo. Carpano, Cora, Gancia, Martini&Rossi, Cinzano, non vi era torinese che si sottraesse al rito di bere con gusto un vermuth…" (Franco Ossola-Renato Tavella, Cento anni di calcio italiano, Newton Compton Editori, 1997)

.... La storia corre veloce: prima i quattro fratelli Mosso, poi i quattro Martin fanno le fortune dei granata, che nel 1927-28 arrivano al loro primo scudetto, sotto la presidenza del conte Enrico Marone di Cinzano, che fa anche costruire intorno al campo del Torino le prime tribune di quello che diventerà il mitico "Filadelfia". Ma succede qualcosa d'imprevedibile. Il racconto di Gianni Brera:

"Era già iniziato il campionato 1927-28…quando scoppiò lo scandalo del broglio perpetrato nel derby della Mole a favore del Torino. A darne notizia fu prima Lo Sport di Milano, cui subito rispose un articolo del romano Tifone, intitolato "C’è del marcio in Danimarca"….Il giornalista abitava nella stessa pensione di Allemandi (terzino juventino,ndr) e di uno studente siciliano d’ingegneria a nome Giovanni Gaudioso….Lo studente siciliano parlò con un certo dottor Nani, dirigente del Torino, e dopo aver parlato con lui portò all’amico Allemandi la proposta di collaborare a perdere per la rispettabile somma (almeno quella) di cinquantamila lire. Di tale somma veniva anticipata ad Allemandi la metà. Il derby della Mole ebbe poi luogo….Allemandi aspettò invano la seconda parte della somma pattuita…Il dottor Nani lo aveva visto giocare assai bene e quindi lo riteneva indegno di ulteriori premi…Corsero ingiurie e minacce… Purtroppo la pensione era piccola e il giornalista romano sentì e scrisse ogni cosa sul Tifone" (Gianni Brera, Storia critica del calcio italiano, Baldini&Castoldi, 1998).

Ci penserà sempre il trio delle meraviglie Libonatti-Baloncieri-Rossetti, recitano i sacri testi, ha portare al Toro il primo titolo, appena un anno dopo. Ma i fatti del ’27 ancora aspettano giustizia….

Il momento più fulgido è però quello rappresentato dal Grande Torino, una squadra imbattibile, capace di vincere 5 scudetti consecutivi tra il 1942 2e il '49 e una Coppa Italia nel 1943.. Capitano e leader indiscusso di quella formazione era Valentino Mazzola, padre di Ferruccio e Sandro . La formazione tipo, che tutti gli sportivi italiani conoscevano a memoria, era: Bacigalupo; Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Ma il 4 maggio 1949, l'aereo che trasportava l'intera squadra, di ritorno da una amichevole giocata a Lisbona, a causa di una fitta nebbia si schiantò contro la collina di Superga....

"Nel sentiero della mia vita ritrovo ora uno scompartimento di terza classe, un lento treno che viaggia dalla Sicilia verso Firenze: panini, frittate, la reticella dei bagagli adibita a giaciglio notturno…sullo sfondo di quella scena di ragazzi poveri e felici entra, di prepotenza, di primo mattino, in una piccola stazione tra Calabria e Campania, il grido di un venditore di giornali, che sembra quello di un muezzin, e il volto tristissimo di un controllore. Ora socchiudo gli occhi ed è come se quell’alba del 5 maggio del ’49 si ridestasse di colpo nel mio cuore. «Ragazzi, è morto il grande Torino: il suo aereo si è schiantato ieri sera a Superga». Il controllore ci contagiò con le sue lacrime, e noi ci sentimmo di colpo immersi in un buio angoscioso e soffocante.. In quegli anni penosi del dopoguerra...ci attaccavamo a tutto per sollevarci dagli abissi della prostrazione e della miseria, nella speranza che qualcuno ci restituisse la capacità di sognare…al centro di questi sogni, l’invincibile Torino di capitan Mazzola: noi ci staccavamo dalla magra quotidianità per volare con questi fantastici eroi. E loro ci aiutarono a vivere, ci fecero sentire meno piccini, meno emarginati…" (Candido Cannavò, Una vita in rosa, RCS Libri, 2004)

Seguiranno anni difficili con la prima retrocessione in serie B, avvenuta nel 1959 e per la ricostruzione di una squadra vincente si dovrà attendere fino agli anni '70, quando sotto la presidenza di Pianelli i granata riusciranno a vincere due Coppe Italia e un titolo tricolore. In mezzo, però, un'altra pagina dolorosa: la scomparsa di uno dei calciatori più amati, Gigi Meroni, travolto da un'auto la sera del 15 ottobre 1967.

"…Quella era Torino-Sampdoria del 1967…I tre doriani lo videro addossarsi alla linea del fallo laterale e dovettero sentire ciò che un cacciatore sente quando la preda finisce con le spalle al muro. Lui lasciò che si avvicinassero e poi, sempre palla al piede, iniziò a tornare indietro, lungo la linea bianca, come uno che avesse dimenticato il borsello e tornasse a prenderselo dal barbiere…Alla fine quel che vidi fu Meroni, palla al piede e campo vuoto avanti, con i tre doriani a sbuffare dietro, poveri cristi. Una veronica così non l’avevo mai vista – così larga e solenne, solo un fiume avrebbe potuto dribblare in quel modo – e nessuno mai l’aveva vista, così tutti intorno a me, e io anche in mezzo a loro, iniziarono a gridare: come bambini, loro, come un adulto io…" (Alessandro Baricco, Aurora in Schema Libero, supplemento a La Gazzetta dello Sport, maggio 2003).

Lo scudetto viene conquistato nella stagione 1975/76, al termine di una rimonta entusiasmante ai danni della Juventus che pure in primavera era giunta ad avere cinque punti di vantaggio sui granata. Ma tre sconfitte consecutive dei bianconeri, la seconda delle quali proprio nel derby di ritorno, consentono al Toro - allenato da Gigi Radice, trascinato da Patrizio e Claudio Sala e dalla coppia del gol Pulici-Graziani - il clamoroso sorpasso. Il titolo tricolore viene vinto con due punti di vantaggio sui cugini: 27 anni dopo Superga.

Il resto è storia recente. La coppa Uefa che negli anni ’90 sfuma nella finale contro l’Ajax, con il sogno che si infrange contro tre traverse e Mondonico pronto a lanciare una sedia in campo contro la sfortuna e un arbitro non esattamente irreprensibile…E poi le discese e le risalite dalla B alla A, Ferrante che "incorna" la Juve e che è "incornato" da Maresca, la A conquistata sul campo persa per irregolarità di bilancio, l’addio di Ciminelli e Romero, il fallimento del "vecchio Torino", il tentativo d’acquisto di Giovannone e l’arrivo di Urbano Cairo, il ritorno nella massima serie e l’esonero di De Biasi, per far spazio a Zaccheroni, a due giorni dall’inizio del campionato 2006-2007……

Cento di questi anni, Grande Toro !