Sperando di far cosa gradita ai visitatori del mio sito riproduco, qui di seguito, questo libretto pubblicato dal dott. Stefano Mulè-Bertòlo nel 1886 che con l’intento di dare consigli igienico-sanitari ai Villalbesi fa una disanima di tutti gli usi, i costumi, i pregiudizi della società villalbese di fine 800.
Leggendolo si ha la possibilità di rendersi conto di com’era strutturato il nostro paese, dell’arretratezza, del modesto tenore di vita cui erano costretti i nostri avi e dei gravissimi problemi sanitari a cui andavano continuamente incontro.

Ho trovato interessante anche il linguaggio usato dallo scrittore molto diverso dal nostro e curiosi alcuni consigli sanitari che sembravano non tenere conto dell’indigenza che affligeva la popolazione.

Ringrazio il prof. Antonio (Peppino) Guarino per avermi fatto avere le fotocopie del libretto.

Il libretto è consultabile scorrendolo oppure cliccando sui titoli dei capitoli dell’indice sottostante per andare all’argomento desiderato.

 

VILLALBA

E LA SUA GEOGRAFIA FISICA

SOTTO

L’ASPETTO IGIENICO

del Dr. Mulè-Bertolo Stefano

 

A VOI

MIEI CARI CONCITTADINI VILLALBESI

QUESTE PAGINE  OFFRO

Stefano Mulè-Bertolo

 

 

 


Caro Giovannino

La nostra Villalba, lo sai benissimo, in quest’anno compie il suo primo centenario, se vogliamo stabilir noi l’epoca della sua origine dal giorno, in cui ebbero esercizio le autorità civili ed ecclesiastiche.

Ogni cittadino, in questa ricorrenza, dovrebbe deporre un fiore sull’altare della patria.

Ed io, traendo profitto dalle mie conoscenze di medico-chirurgo, presento ai nostri concittadini alcune norme igieniche, la cui osservanza potrebbe tornare di utile alla loro salute.

Se io pago il mio tributo, dico col Giusti, in moneta di rame, altri lo pagherà, senza dubbio, in oro.

Ho fatto bene o male?

Io credo bene, perché cotesti precetti d’igiene mirano alla conservazione d’un dono prezioso, la salute, senza la quale anche un ricco come Creso e un potente come un re sarà sempre un infelice.

Ed ora mi segno

 

Villalba, 31 agosto 1885

 

A te Giovanni Mulè-Bertòlo

Rettore del Convitto provinciale Caltanissetta

 

Tuo fratello S. Mulè-Bertòlo

 

 

INDICE:

 

Ai lettori villabesi

I.        Topografia di Villaba

II.       Mezzi igienici

III.      Natura geologica dei terreni

IV.      Agricoltura

V.       Acque potabili e acque amare

VI.      Venti dominanti

VII.     Meteore acquee – Elettricità

VIII.   Strade interne

IX.      Case di abitazione

X.       Istruzione

XI.      Cimitero

XII.     Clima

XIII.   Malattie dominanti

XIV.   Vaccinazione e rivaccinazione

XV.    Pregiudizii popolari

XVI.   Visite e lutto

XVII.  Conclusione e desiderii

 

 

 

AI LETTORI VILLALBESI

 

Fo proprie le parole pronunziate nel Parlamento italiano dal compianto Bettino Ricasoli: la più grande ventura, la più grande ricompensa, a cui possa aspirare un cittadino, è quella di rendere un segnalato servigio al suo paese.

Ed è vero!

Or io, non potendo in più nobile aringo essere utile alla nostra Villalba, perché in me fan difetto, le virtù l’ingegno e il sapere, farò di tutto per poterle rendere qualche lieve servigio quanto all’igiene.

Non è certamente un servigio segnalato nel senso del Ricasoli, ma è sempre un servigio nell’interesse della salute pubblica di Villalba.Porro unum necessarium: salus.

Un filosofo chiesto a dire qual si fosse il miglior bene in questo mondo, rispose senza dubitare un istante: Mens sana in corpore sano.

E chi è sano è ricco, dice il proverbio.

 

È la salute infatti un dono tale,

Di cui non può comprendersi il valore

Altro che quando ci sentiamo male1.

 

È per questo che da qualche tempo vagheggio il disegno di voler diffondere fra i miei concittadini la conoscenza di certe norme igieniche, oggi per altro consigliate dalla scuola moderna, valevoli a far conseguire quel grado di salute, che è l’aspirazione perenne dell’essere vivente; ma le sterili lotte municipali, gravi sventure di famiglie e sollecitudini, di cui è generosa apportatrice l’arte ippocratica, mi hanno sinoggi impedito di tradurre in fatto il suaccennato mio disegno.

Ora sciolgo il voto dell’animo mio, facendo insieme omaggio alla nobile proposta del chiarissimo prof. Cacopardo, il quale bramerebbe che ogni comune si avesse i suoi cenni geografici, convinto come sono che le cure, anco più adatte, spesse volte in date malattie non dànno buoni risultati e che l’osservanza delle norme igieniche è valevole ad impedire che i morbi vengano ad assalirci.

L’illustre prof. Maggiorani, testè mancato alla scienza, bene a ragione sosteneva che la medicina di prevenzione è più efficace della medicina curativa.

Diamo una mentita al detto dei Segneri, il quale riteneva che l’uomo è sommamente di sua natura più inclinato a temere nei grandi pericoli che disposto ad assicurarsi.E noi lungi dall’imitare coloro, che temono dei mali presenti e poi punto si dànno pensiero de’ mali venturi, atteniamoci oggi ai fattori igienici a fine di evitare i morbi da venire.Giungeremo a tanto? Hoc opus, hic labor est.

Da parte mia farò il possibile, et si desint vires, tamen est laudanda voluntas.

L’uomo abbrevia i suoi giorni, o meglio uccide sè stesso con la crapula, con le passioni smodate, co’ vizii. Ma, dicono i medici, ablata causa, tollitur effectus.Allontanate la causa e il male non verrà: chi vuole la salute, dice il prof.Marino Turchi, prevenga la malattia.

Ecco perché oggi vediamo molti igienisti, primo fra noi il ch.Mantegazza, scrivere libri lodevolissimi per la salute del popolo; ecco perché il prof.Franco, non ostante l’onorata falange di periodici intesi al progresso delle mediche discipline, dottissimo fra tutti il Morgagni, e non ostante una colluvie di libri e di opuscoli, che vedono la luce per trattar di igiene pubblica e privata, dà vita, con plauso dei dotti, al giornale «La Preventiva», cui auguro lunghissima esistenza nell’interesse esclusivo dell’umanità deteriorata.

Ciò detto, entro in materia.

 

1 Guadagnoli, Poesie giocose.

 

 

I.

Topografia di Villalba

 

Villalba, sede del mandamento omonimo1, dista dal capo-provincia Caltanissetta chilometro 50, da’ suoi comuni suffraganei: Vallelunga chil.3, Marianopoli chilom.10.La sua stazione ferroviaria è a chil. 29 da quella di Caltanissetta, a chil.5 tanto da quella di Vallelunga quanto dall’altra di Marianopoli.

Si eleva sul livello del mare m. 641 ed è a m. 37121 dal Mar Tirreno2.

«Un Nicolò Palmieri comperò sub verbo regio nel 1751 da un certo Spinotto il feudo Miccichè dipendente dalla Baronia del principe Villanova; e poiché v’era inerente il dritto di popolare e del mero e misto impero, chiese al re, il Palmieri, nel 1753 il permesso di usarne, fabbricando poi una novella terricciuola, che fu Villalba, per imporre un argine alle invasioni degli abitatori della vicina terra di Vallelunga, sorta già da più di un secolo ed accresciuta molto.Il Duca di Pratameno, signore di Vallelunga, fece allora validissima opposizione al diritto del Palmieri, mal soffrendo un novello paese, che avrebbe per la migliore posizione spopolato le sue terre.

«Animoso fu il litigio e più volte riprodotto presso i più alti Tribunali, ma prevalse alfine il dritto del Palmieri sanzionato dalla parola del re, cui si ebbe ricorso contro tutti i raggiri dell’avversario.

«D’allora adunque stette Villalba, dove stabilivasi gente da Racalmuto, da S.Cataldo e da paesi vicini. Con tutto ciò i primordii di essa furono lenti a causa  della lunga controversia, nè prima del 1785 si ebbero esercizio le autorità ecclesiastiche e civili3.

Villalba oggi conta un secolo di esistenza.

Essa sta sopra un poggio, dove l’arte, prima creatrice dell’opulenza, si fa lieta di una illuminata filosofia rurale; al sud-est ha una catena di romantiche collinette, che la rendono assai ridente; al nord-est guarda le Nebrodi; al sud-ovest sorge la casa della famiglia Palmieri.

Le sue strade sono diritte, simmetriche, spaziose e quasi tutte selciate per opera del mio concittadino Rosario Giglio, il quale con l’ufficio di Sindaco non indietreggiò dinanzi a mille ostacoli e ad opposizioni di ogni sorta.Lo scorrere degli anni e l’uso hanno reso le strade in tali condizioni da richiedersi pronti ripari, cui ha rivolto il suo pensiero l’attuale Amministrazione del comune.

L’aria è salubre, il territorio è feracissimo e produce con usura ceci, lenti, fave, orzo, sulla e grani, che nei mercati non trovano confronti e per qualità e per peso.

Si coltivano l’olivo, il mandorlo, il pesco, il fico, il pomo, il ciriegio e la vite, e comincia a rigogliarvi giovane castagneto.In contrada, che ha nome Fiumarella, lussureggiano ben undici mila piante di gelso, che nella penultima decade della prima metà di questo secolo diedero vita e sviluppo all’industria serica con grande profitto del proprietario e con molto vantaggio di quei cittadini, che erano richiesti a prestare l’opera loro.

Se questa industria, come è desiderio generale, si riattivasse dal marchese Palmieri, verrebbe in qualche modo attenuata la miseria, che affligge la buona quanto laboriosa popolazione villalbese, specie nei mesi di aprile e maggio.

Villalba abbonda di chiare, fresche e dolci acque; ha un Monte frumentario, un Monte dei pegni, due chiese, oltre a quella che sorge presso la casa Palmieri, un ufficcio pretoriale, un ufficio postale e telegrafico, una stazione ferroviaria, scuole maschili e femminili, una biblioteca circolante, una Ricevitoria del lotto, un Casino di compagnia.

Gli abitanti sono sani, robusti, svelti, laboriosi, amanti dell’istruzione e del progresso; ma la miseria fa capolino, anzi domina le classi infime del popolo.

La popolazione villalbese, giusta l’ultimo censimento del 1881, ascende a 4181 anima.

Dal fin qui accennato detegesi che la posizione topografica di Villalba è molto favorevole alla vita, o meglio allo svolgimento fisiologico del nostro organismo, il che è di non poco vantaggio alla spigliatezza dell’ingegno e alla bontà di salute, che si ammirano nei villalbesi.

 

La terra lieta, molle e dilettosa

Simili a sè gli abitator produce4

 

Sarebbe un fuor d’opera entrar qui in lunghe discettazioni5 riguardo alla innegabile potenza dei climi sullo sviluppo fisico-psichico-etico degli uomini.È cosa nota ai medici come ai profani della scienza salutare, ed il Tasso non era un discepolo di Esculapio.

Le strade simmetrice, larghe, diritte, che scendono su piano inclinato, dànno libero corso alle acque piovane e non permettono la creazione di quelle pozzanghere e di quei ristagni, onde di leggieri s’inquina l’aria, la quale in Villalba circola libera e ossigenata.

L’esposizione dell’abitato ad oriente compie, direi, il benfatto; poiché tutti sappiamo l’importanza della luce solare e de’ suoi benefici effetti sull’uomo, su gli animali, sulle piante.Di che il Pope chiamava il sole il gran chimico della natura; l’Alighieri lo proclamava lo padre d’ogni mortal vita  ed altrove il ministro maggior della natura: e l’esperienza dice: Ove non entra il sole, là entra il medico: le malattie si producono nell’ombra e le guarigioni al sole.

Mi è di sommo godimento il dir tutto questo, come mi è doloroso il rilevare che nel piccolo nostro comune esiste qualche cosa che meriti l’attenzione del medico igienista.

Appunto per questo verrò esponendo alcune mie osservazioni, che saranno seguite dalla proposta di alcune riforme, che giudico opportune e utili.

 

 

1Legge n.1565 del 16 aprile 1819, con la quale si stabiliscono i circondari dei dominii oltre il Faro.

2 Queste notizie sono dovute alla gentilezza del Direttore dell’Ufficio Meteorologico di Caltanissetta.

3 V.Dizionario topografico della Sicilia di Vito Amico.Traduzione dell’ab. cav.G.Di Marzo, vol.2, pagine 659-660.

4 Tasso, Gerusalemme liberata.

5 Ziino, Compendio di Medicina legale

 

 

II.

Mezzi igienici

 

Dovendo, varie volte, nel corso di questo scritto far parola dei così detti mezzi igienici, non sarà discaro l’avvertire fin da ora che noi li troveremo, almeno in buona parte, nell’uso moderato di quelle cose, che sono tanto necessarie alla nostra esistenza, come in esse stanno nascosti i germi delle malattie: per ea, quibus vivimus, infirmamur et morimur.

Così la luce, il calorico, l’elettricità, l’aria atmosferica, gli alimenti, le bevande, ecc., mentre sono elementi necessarii alla vita e possono divenire altrettanti mezzi igienici, se agiscono moderatamente, ed entrano in giuste proporzioni nel nostro organismo; diventano fattori di nocumento, se eccedono nella loro azione e nella loro partecipazione all’organismo nostro.

Renderò più chiaro il mio concetto: premetto la seguente conoscenza.

I fisiologi non sono di accordo p. e. sulla quantità dei cibi e delle bevande, di cui dovrebbe far uso l’uomo nel corso di un giorno; e la ragione si è che non tutti possediamo uguale forza organico-vitale, non tutti siamo dotati del medesimo temperamento, non tutti viviamo sotto il medesimo clima, ed esercitiamo la stessa professione, la stessa arte, lo stesso mestiere.Il bisogno degli alimenti per altro varia col variar delle stagioni, dell’età ec. ec.

Pur non di meno facciamo tesoro delle osservazioni dei celebri Haller, Santorio e Cornaro.

Quest’ultimo dice che sieno bisognevoli all’uomo 400 grammi di alimenti solidi e 500 grammi di liquidi nel corso di 24 ore.

Or bene, ritenendo esatti questi dati, noi avremo che minor quantità di alimenti solidi e di liquidi indurrebbe, e ciò in tesi generale, sofferenze debilitanti al nostro organismo, come nella maggior quantità si andrebbe incontro al morbo: indigestione, vomiturazione, colica addominale, diarrea ec. Difatti a quanti non è accaduto di aver troppo riempito lo stomaco di cibi e con grande voluttà?Anzichè al benessere, sono andati incontro a delle sofferenze.Quanti in un momento di buon umore non hanno abusato del vino, cadendo poi vittima di deliri, vertigini, dolor di capo, lassitudine di forze?L’uso regolare del cibo e del vino genera bene, come l’abuso genera male.

Mangiando e bevendo secondo misura, si osservano i dettami di una buona igiene.

Adunque il cibo e il vino, tanto necessari alla nutrizione, contengono germi di malattia, eccedendosi nell’uso.

Un altro esempio relativamente all’aria.

Per molti di voi, lettori miei concittadini, è dura necessità il coltivar le terre in ex-feudo Belici, ove le acque stagnanti del fiume omonimo son causa, ne’ mesi estivi, di grave infezione malarica.Quanti non siete stati presi da febbre palustre, da febbre perniciosa, che ha minacciato la vostra esistenza?

Frequentare tali luoghi non è da saggi, starne lungi è osservare un mezzo igienico.

Osereste non osservarlo? Non lo credo; ma nella peggiore ipotesi eccovi un altro rimedio igienico, sebbene di valore meno efficace.Lavorate di pieno giorno ne’ luoghi paludosi, ma guardatevi dal pernottarvi, poichè è risaputo che i miasmi vengono dissipati dal calore del sole.Fare il contrario è un attentato alla vostra salute, la quale, perduta una volta, non si riacquista più o si riacquista difficilmente.

Ecco provato alla meglio come nelle cose necessarie alla nostra esistenza stiano nascosti i germi delle malattie.Difatti l’aria, il pabulum vitae, è causa di un morbo d’indole oltre modo infettiva per contenere il bacillus malariae del Klebs e del Crudeli.

Or dunque che s’intende per igiene?

L’igiene, parola greca che significa sanità, si può definire: l’arte di conservare e migliorare la salute per mezzo di modificatori, che si dicono cosmici.L’igiene si divide in privata e pubblica, mettendo da parte le suddivisioni, di cui si occupano gli scienziati.Si dice privata, quando insegna all’uomo il modo di usare delle cose, che lo circondano e che ne riguardano i bisogni o il conseguimento di leciti piaceri; è pubblica, se i suoi precetti mirano al benessere d’un popolo, d’una nazione.

Così l’igiene, che ha per iscopo lo additare le norme di tenervi lontani da tutto ciò, che possa recar nocumento alla vostra salute, ha il carattere privato, perchè riguarda voi in modo esclusivo.

 

 

III.

Natura geologica dei terreni

 

L’influenza del suolo esercita sul nostro organismo un’azione non indifferente: da tale influenza origina in buona parte la varietà delle costruzioni, che osserviamo negli abitatori delle montagne, delle pianure, delle valli, delle terre paludose, dei luoghi fertili e bene esposti.

Non sarà discaro il dir brevemente della formazione dei terreni.La scienza, che se ne occupa, chiamasi geologia, e i cultori di siffatta scienza prendono nome di geologi.

Un celebre geologo, Laplace, sostiene, e la sua opinione è oggi generalmente accolta, che la materia constituente la terra fu un tempo allo stato vaporoso quale sarebbe quello delle attuali Nebulose.A poco a poco quella materia si condensò, risultandone poi una massa fluida per elevata temperatura.Cotesta massa fusa e liquida raffreddossi lentamente, finché la parte superficiale cominciò a solidificarsi in una crosta, la quale, contraendosi mano mano secondo i gradi di freddo, che raggiungeva, subì delle crespe.

Su questa pellicola si formarono in seguito le prime montagne o perché essa fu qua e là sollevata dalla sottostante materia, o perchè si spezzò in vari punti e ne eruppe la sostanza interna liquida, che vi si solidificò sopra1.

Così ebbero origine le montagne e le valli, che dovettero subire delle modificazioni per ulteriori sconvolgimenti terrestri, che nessuno potrà autorizzarsi a credere di non doversi ripetere.

La crosta terrestre risula da quattro strati principali, che prendono insieme il nome di terreno.Il suolo ha due parti: una attiva, cioè permeabile all’influenza atmosferica, arabile, propria alla cultura e alla vegetazione; l’altra, denominata sotto-suolo, inerte, non  arabile e non soggetta all’azione dell’aria.

Le terre, proprie della vegetazione, sono i suoli argillosi, sabbiosi, calcarei, magnesiaci ed umiferi2.

Spetta a me far menzione della parte attiva e assegnare la natura geologica del terreno villalbese, del quale potrei dire: Dum facta video, rationem non quaero. Ed il fatto, che osservo, si è che il nostro terreno è fertilissimo, perchè in sè contiene gli elementi suaccennati.

Il terreno argilloso-calcare-quarzoso3 si osserva nelle contrade denominate Galera, Perticaro e Vascelleria; il calcare-argilloso-quarzoso nelle contrade Scifazzo, Pietrosa, Santo Nicola e Porco; il quarzoso-argilloso-calcare nelle contrade Bonazzo, Cozzopilato, Rovitello, Cozzo di Garbo, Fiumarella4.

I nostri terreni inoltre contengono dell’Humus e sostanza vegetale in decomposizione.

Risulta quindi che il nostro terreno è arabile, coltivabile e poroso; ma non tutte le contrade sono adatte ad una data pianta.Così nel terreno quarzoso-argilloso-calcare vegetano bene il mandorlo, il fico, il pesco, l’opunzia, la vite ec., mentre le terre argillose-calcaree-quarzose convengono meglio alla coltivazione de’ cereali.

Vediamo ora, sotto l’aspetto igienico, se la natura del nostro suolo sia o no di nocumento alla salute.

Secondo le osservazioni del De Sausurre i terreni argillosi, in genere, hanno la massima affinità per l’idrogeno solforato, per l’azoto, per l’idrogeno e particolarmente per l’ammoniaca, che, isolatamente considerati, se non venissero assorbiti dal terreno argilloso, sarebbero elementi nocivi alla salute.

Il nostro terreno, come fu detto, è permeabile alle acque, specie il suolo, su cui sorge Villalba, essendo terreno sabbioso.Le acque per essere di leggieri assorbite non possono produrre delle pozzanghere, le quali, essendo fornite di effluvii nocivi, cagionerebbero non lieve danno alla salute.Per la stessa ragione non vi ha quello stato di vera umidità, che è pure un attentato alla esistenza animale.

Quando al calore poi il nostro terreno per la sua composizione chimica non ne assorbe che poca quantità, e l’esperienza c’insegna difatti che la temperatura presso noi si eleva molto sotto l’influenza dei raggi solari, ai quali, appena spariti, tien dietro un senso di freddo nella stagione invernale e nei giorni estivi un senso piacevole di freschezza.Questa è la prova evidente che il nostro terreno non assorbe calore che in poche proporzioni.

Aggiungasi che le terre del territorio villalbese son tutte coltivate e bene, e però non possono non essere salubri, perchè i principii organici nocivi e l’eccesso di umidità sono distrutti dalla vegetazione.Inoltre le terre sabbiose e calcaree, al dir del Paulier, sembrano incompatibili con l’elemento palustre, miasma tellurico, e si ritiene che siano refrattarie alle malattie d’indole infettiva.

Da queste poche riflessioni si può dedurre che la natura geologica del nostro terreno è salutare.

Un inconveniente è da notarsi, quanto alla temperatura, cioè, che ai nostri campagnuoli, specie durante il lavoro estivo, apresi la pelle, la quale, sopravvenendo la notte, si raffredda, il che è cagione di reumatismo e spesso di pneumonite, che ho notato con mia sorpresa anche nella stagione de’ più forti calori.

Si usi quindi da’ campagnuoli ogni possibile precauzione per impedire che avvengano conseguenze morbose. Non dormano, come è uso generale, sotto la vôlta del cielo e quel ch’è più senza un velo che valga a garantirne il corpo dalla sottrazione del calore tanto necessario alla vita; è contrario ad ogni buona regola d’igiene l’asciugare il corpo bagnato di sudore all’ombra degli alberi, dove regna un che di umidità capace di arrestare il respirabile; è riprovato dalla scienza il bere acqua o il lavarsi nello stato di sudore.In quest’ultimo caso si consiglia l’uso del vino, ma sempre nei limiti d’una benintesa moderazione: l’eccesso origina iperemia cerebrale, specie nella stagione calda, che suol produrre rilasciamento della tonicità dei vasi cerebrali.

Per non ripetermi, qui non fo cenno di altri inconvenienti, dei quali tratterò più avanti, sebbene abbiano diretta relazione col presente capitolo.

 

1Regazzoni, Nozioni elementari di scienze naturali.Paride Colucchi Nucchelli, Trattato di storia naturale.

2 Paulier, Manuale d’igiene pubblica e privata.

3 Minerale composto di silice ed avente poca quantità di calce, allumina, ossido di ferro, manganese.

4 Queste notizie gentilmente mi furono date dal signor Giuseppe Pantaleone del fu Gennaro, che sente molto avanti in fatto di materie agrarie.

 

 

IV.

Agricoltura

 

Sarebbe un fuor d’opera, se qui si accennasse ai metodi di cultura adottati nel territorio villalbese e alle riforme consigliate dalla scienza e dalla pratica o si passassero a rassegna gli strumenti agrari, che tuttavia sono in uso a dispetto dei progressi dei nostri tempi.Ad altri un tal còmpito.

Quel che conviene al mio scopo è tutt’altro, ed io senza preamboli lo espongo con quella brevità, che prefissi come regola a questo qualunque siasi mio lavoro.

L’agro villalbese è tutto coltivato e, direi, molto bene.

Nelle contrade Fiumarella, Cozzo di Garbo, Bonazzo, Cozzopilato e Rovitello vegetano rigogliosi l’olivo, il ciriegio, il pesco, il nespolo, il cotogno, il pomo, il melograno, il gelso, il castagno, l’albicocco e la vite, perchè terreni quarzosi-argillosi-calcarei.Attecchiscono pure nelle contrade Santo Nicola e Pietrosa, ma la loro esistenza non è duratura per difetto di sabbia nel suolo.Nelle altre parti del territorio, essendo in predominio l’elemento argilloso, si coltivano con successo i ceci, le lenti, le fave, l’orzo, il fieno, il grano.

L’abitato trovasi cinto in gran parte di terre di quest’ultima natura, spopolate di piante di alto fusto, la cui mancanza concorre all’aumento più o meno notevole della temperatura locale.Di che gli abitanti non sono allietati di quel verde, che ha tanta influenza benefica sulla esistenza animale, e, ultimata la messe, son costretti a spaziare lo sguardo sopra una zona di terreni spogli d’ogni vegetazione, e che proprio ti dànno l’immagine di un vero deserto.

È sperabile quindi che i possessori delle terre contigue all’abitato facciano opera di renderle amene, popolandole di quelle piante, la cui vegetazione sotto il rapporto igienico è importantissima ed esercita, secondo il Clavè, sul clima un’azione chimica, fisica, fisiologica e meccanica.

Azione chimica.Le piante scompongono l’anidride carbonica dell’aria, fissano il carbonio e sprigionano ossigeno, giusta le dimostrazioni fatte dalle ricerche del Bonnet e di altri.

Azione fisica.Le piante impediscono l’evaporizzazione del suolo, favoriscono lo scolo delle pioggie torrenziali e modificano la direzione de’ venti.

Azione fisiologica.L’immensa evaporizzazione delle foglie rende all’aria una parte dell’acqua, che le radici hanno assorbita.

Azione meccanica.Le radici delle piante rassodano le terre, impediscono che si creino i torrenti, proteggono le vallate dalle frane e dalle inondazioni, agevolano l’infiltrazione delle acque pluviali negli strati inferiori, non permettono che la terra si riscaldi, mantengono un dato grado di umidità e annullano lo sviluppo delle emanazioni miasmatiche.

Ecco il motivo, per cui lo sboscamento produce effetti disastrosi; il difetto o la scarsezza delle piante cagiona aumento di calore insieme con la secchezza dell’aria e del suolo; gl’individui, che menano la vita fra le piante, godono di buona salute e raggiungono una tarda età.

L’aria dei campi è eminentemente salutare, e però è mio voto che i terreni ond’è circondata la nostra Villalba, sieno coperti di piante: sotto un cielo sempre limpido, imbalsamato dal profumo dei fiori e ossigenato dalle foglie degli alberi, il nostro organismo acquisterebbe maggior attività, vantaggerebbe di salute il tubercoloso, il linfatico, il clorotico, il convalescente ec.

La salubrità dell’aria dettò al Parini quei versi:

 

Io dei miei colli ameni

Nel bel clima innocente

Passerò o dì sereni

Fra la beata gente,

Che, di fatica onusta,

È vegeta e robusta.

 

Nei campi la vita corre più allegra.Qual differenza tra il campagnuolo dal volto abbronzito e il cittadino dal viso smunto!

Nel campagnuolo si ammira la vigoria organica, nel cittadino osserviamo una salute snervata, non duratura.

Ed il contadino villalbese, che da mane a sera è inteso al lavoro, rappresenta il tipo della virilità, benchè la più squallida miseria gli sia sempre alle costole in modo da renderlo per lo più privo dello stretto necessario.

Paolo Balsamo, chiarissimo agronomo siciliano, scrive che la ricchezza degli agricoltori è la prima cagione della buona cultura delle terre: un povero agricoltore sarà sempre un cattivo agricoltore.

Questo essere, direi, disgraziato, senza beni di sorta, costretto a coltivare i campi altrui a condizioni troppo angariche da non fargli guadagnare il pane necessario alla sua famigliuola, condannato a pagare de’ balzelli, preoccupato d’un presente assai squallido e innanzi agli occhi con l’immagine d’un avvenire più triste, come mai può vivere una vita lunga e sana?

La miseria, con grave danno della coltura de’ campi, affievolisce le forze del villico; è cattiva consigliera di prostituzione; ammorba l’organismo, e le generazioni venture non potranno essere che generazioni fiacche.

Alla miseria adunque bisogna dare un rimedio e il menomarla, quanto è possibile, è mezzo igienico di molta importanza.

E qui mi rivolgo ai proprietari di Villalba, del cui cuore benfatto non è da dubitare, perchè vogliano essere più larghi di aiuto verso i poveri coltivatori dei campi: che sia un po’ ridotta la dote sulle terre è un giusto desiderio.

Fo poi voti che il proprietario del già feudo Miccichè perduri nel commendevole proponimento di dare a censo il resto delle sue vaste terre.Assicuri, ed è ben giusto, le sue annuali entrate, ma lasci che le terre sieno divise, mercè equo conveniente censo, a probi ed onesti agricoltori, i quali coltivandole con amore possano trovare un giusto compenso delle diuturne e gravi loro fatiche.

La certezza d’un discreto guadagno vivificherà i novelli possessori, i quali faranno opera che le terre, loro affidate, diano maggiori prodotti, bonificandole con popolarle di piante, che, come sopra si è accennato, concorrono efficacemente ad una buona igiene, e così costruirvi delle case non senza grande vantaggio dei coloni e degli animali addetti alla cultura de’ campi.

E qui cade in concio il significare un mio desiderio che, cioè, l’esimio Marchese Palmeri non voglia più oltre permettere che continui a lussureggiare d’inutile vegetazione il suo vasto gelseto.L’industria serica, nell’arricchire di altra importante entrata il patrimonio di lui, offrirebbe altro mezzo di onesto guadagno alla povera gente.

Son sicuro che il Municipio, spinto dal suo lodevole amor di patria, non desisterà dal chiedere perchè finalmente sia fatta giustizia a Villalba con una nuova circoscrizione territoriale, che varrebbe a diminuire il peso dei balzelli comunali, mentre sarebbe di grande concorso all’immediata azione della giustizia punitrice.

Nulla ho da raccomandare alla Commissione delle opere pie: sono noti l’amore e lo zelo, con cui procedono le amministrazioni del Monte dei pegni1 e del Monte frumentario2.

Queste istituzioni, le quali sorsero con lo scopo di combattere l’ongordigia dgli usurai, che speculavano sulla miseria del povero, e di favorire la cultura dei campi, vorrei che fossero invertite in una Banca agraria a meglio raggiungere il fine, offerendo solo i suoi favori alle mezzane fortune e non ai ricchi proprietari.

La classe operaia, ch’è la parte maggiore del popolo, è tempo che trovi guarentigia e protezione nel governo.I tempi son maturi e la giustizia mano mano si fa strada.Sotto il regime delle libere istituzioni sarà senza dubbio esaudito il voto del celebre Balsamo, il quale non dubitava di scrivere, quando il più efferato dispotismo teneva avvinto al suo carro il popolo siciliano: «Uno dei più importanti oggetti, che deve avere in vista una saggia e prudente legislazione, si è quello di rendere comodi e ricchi i coltivatori dello stato, perchè dalla loro ricchezza nasce la buona cultura dei terreni, l’abbondanza delle derrate e la pubblica felicità».

 

1Il Monte dei pegni trae la sua origine del Decreto luogotenenziale del 10 novembre 1858, in forza del quale decreto veniva autorizzata la vendita di una data quantità di grano del Monte frumentario.Col prezzo di L. 8500 fu istituita l’opera, di cui si fa cenno.V.Statuto organico del Monte dei pegni approvato con decreto reale del 28 ottobre 1878.

2 Villalba sin dalla sua fondazione cominciò a contare un’opera di beneficenza sotto il nome di Monte frumentario.Questa istituzione devesi a spontanee oblazioni dei primi abitatori del Comune.V.Statuto organico del Monte frumentario approvato con decreto reale del 28 ottobre 1878.

 

 

 

V.

Acqua potabile e acque amare

 

L’acqua, la bibita naturale, la bibita per eccellenza, è un elemento necessario a tutti gli esseri viventi come lo è l’aria atmosferica.Senza questo fluido sarebbe impossibile la vita: sine fluidis nulla vita in toto naturar ambitu, scriveva il grande Ippocrate.

L’acqua, composta d’idrogeno e di ossigeno, è un corpo trasparente, elastico, compressibile, inodoro.Sparso sul nostro globo terrestre occupa i due terzi di questo.Del nostro corpo costituisce anche presso che i 2/3 del peso e non v’è parte o tessuto che non ne contenga.L’abbondanza o la scarsezza di questo elemento, dice il professor Albini, è causa di non poche alterazioni organiche1.

Quindi la necessità che ogni popolo sia provvisto di una quantità sufficiente di acqua per soddisfare i propri bisogni: una città, un borgo, che ne difetti, non può essere che una città, un borgo sofferentissimo.

Nell’acqua i medici trovano il più innocente ed insieme il più salutare fra tutti i rimedi.Il primo medico a riconoscere la virtù di tale elemento fu senza dubbio l’istinto, poichè l’uomo dovette sentire di buon’ora il bisogno di bibite e di lavande come rimedio alle sue infermità.

La scienza, che tratta dell’acqua applicata alle diverse malattie, chiamasi Idroterapia: la conobbero Ippocrate, Celso, Galeno come è oggi riconosciuta da quanti coltivano l’arte medica.

Gli antichi ne fecero uso anche come mezzo igienico.

Nell’oriente le abluzioni e i bagni freddi trovavano posto fra i dommi religiosi.

Gl’Indiani avevano le abluzioni, e i bagni venivano prescritti tre volte al giorno per espiare le colpe e rimuovere le impurità.

Presso i nobili della China una sala era destinata ai bagni, e questi come rimedi si prescrivevano ora freddi, ora caldi per la cura delle diverse malattie.

Gli Egizi avevano come precetto la pulitezza e si lavavano due volte al giorno e due volte la notte.Nella sacra Bibbia difatti leggiamo che la figlia di Faraone aveva l’uso di prendere i bagni nel fiume Nilo, ove una volta trovò un cestino, che conteneva un bambino, al quale fu poi dato il nome di Mosè: questi divenne il primo legislatore del popolo ebreo2.

Tutti sappiamo dei vastissimi stabilimenti, che i Greci e i Romani destinavano all’uso delle stufe e dei bagni, i quali erano divisi in freddi e caldi.

Nell’isola nostra l’uso dei bagni rimonta sino ai più remoti tempi.Narrasi che Ercole venuto in Sicilia trovò liete accoglienze presso Minerva, la quale, stando a diporto nel tenère del moderno Termini, fece scavare alle sue ninfe le sorgenti d’acqua termale a fine di rinfrancare l’eroe.Si dice di Dedalo, sommo architetto e scultore, che creasse l’antro vaporoso, ove sono oggi le stufe di Termini Selinuntina, come riferisce la storia che Minosse re di Creta trovò morte nel bagno presso la reggia di Cocalo per opera delle figlie di questo re sicano3.

Dunque l’importanza e i vantaggi de’ bagni vennero riconosciuti sin dai tempi, in cui la civiltà senza dubbio non era tanto progredita.

La nostra salute guadagna molto per l’uso dei bagni, perché questi esercitano sul nostro corpo un’azione chimica e fisica.

Vi ha scrittori, i quali son di parere che le materie, contenute nelle acque, penetrino attraverso la pelle, si combinino col sangue e però riescano curative.A questo assorbimento altri non prestano fede e fra essi si conta il prof.Maturi di Napoli, il quale raccomanderebbe in vece che si bevessero quelle acque che in sè contengono virtù medicamentosa.

Finalmente i bagni stimolano la pelle, ne modificano le funzioni, tolgono il sudiciume, favoriscono l’esfoliazione dell’epidermide ed il ricambio organico.

I bagni hanno diversa azione secondo il calorico, che contengono.Dall’opera idrologica del prelodato prof.Maturi rilevasi che l’acqua è:

fredda a 12 gradi,

fresca a 25,

tiepida da 25 a 31,

calda da 31 a 37,

caldissima da 37 in su.

Di che ora è sedativa, ora eccitante, ora tonica ed ora, al dir del chiarissimo prof.Semmola, senapizzante ecc. Spetta quindi al medico indicare il grado dell’acqua nelle diverse malattie, come spetta a lui il prescrivere l’uso del bagno generale, del semicupio, dell’inviluppo umido, della doccia, della cintura di Nettuno e via dicendo.

L’acqua, de’ cui caratteri generali ho fatto cenno, merita tutta l’attenzione dell’igienista, il quale ci dà le seguenti conoscenze:

Una buona acqua potabile deve essere limpida, leggiera, aereata, dolce, fredda in estate, tiepida in inverno, senza odore, di sapore fresco e piacevole.Inoltre deve cuocere i legumi e sciogliere il sapone senza formar grumi.Poca aria atmosferica, poco acido carbonico, poco cloruro di sodio e carbonato di calce la rendono buona.Il iodio ed il bronzo sono del pari necessari all’acqua potabile.Contenendo altre sostanze, diviene amara e però nociva.

Le esposizioni locali influiscono del pari a renderla più o meno buona.Così il Corso elementare di geografia del De-Candia ci apprende che le acque esposte a levante sono le migliori, quelle ad occidente sono più o meno sane, quelle a mezzogiorno sotto l’azione dei venti sono generalmente salmastre e malsane e cagionano malattie, essendo calde in estate e fredde nell’inverno, e quelle esposte a tramontana sono fredde e crude4.

Dovrei ora far parola delle acque del territorio villalbese, esponendo di ciascuna l’analisi chimica.Presentai al Sindaco la proposta di farle analizzare da competente scienziato.L’egregio magistrato accolse la mia proposta e pregò un valente professore a fine d’indicare il peso specifico e le sostanze di ciascuna delle acque, di cui fanno uso i Villalbesi.È scorso molto tempo, ma tuttavia il risultato delle indagini scientifiche è un pio desiderio.Aspettando che altri raccolga il verbo della scienza, io mi limito a passare in rassegna, così alla buona, tutte le acque, che scorrono nel comune.

Villalba attualmente possiede:

1. l’acqua denominata del Cannolicchio,

2. l’acqua di Mezzo,

3. l’acqua di Nasca,

4. l’acqua della Strada Maggiore,

5. l’acqua delle Pile.

Le prime due, cioè l’acqua del Cannolicchio e quella di Mezzo, perché chiare, fresche, leggere e perché sciolgono il sapone, sono potabili.Ha fatto opera commendevole il nostro Municipio, sostituendo, per la conduzione di tali acque nell’abitato, ai doccioni di creta i doccioni in ghisa, sotterrati ad una certa profondità, perché non avvenga l’assorbimento di materie inorganiche, perché si mantengano sempre fresche e perché, in caso di epidemia colerosa, non siano inquinate di quei microbi, che il Koch riconosce come causa dell’indica lue.

Queste due sorgenti non sono sufficienti ai bisogni della cittadinanza e gli attuali amministratori della cosa pubblica hanno lodevolmente rivolto il loro pensiero alla sorgente denominata Scifazzo per arricchire il comune di altro volume di acque potabili.I procedimenti si sono iniziati, anzi sono molto progrediti, sicchè non passerà molto che la relativa conduttura sarà uno dei fatti compiuti con immenso vantaggio di questo popolo, che saprà restar grato a chi dei suoi bisogni prende cura e sollecitudine.

Le acque di Nasca, della Strada Maggiore e delle Pile sono amare, perché cariche di solfato di magnesia, di soda e di materie organiche in putrefazione.Se ne fa uso per gli animali domestici e per altro.

Il bere queste acque nuocerebbe alla salute dell’uomo.Credo non esser discaro il far qui alcuni avvertimenti igienici.

L’uso eccessivo di acqua, distende molto il ventricolo non senza dolore, eccita il vomito e produce ciò che in dialetto appellasi matruni.È quindi brutale il lenire tali sofferenze con le forti strofinazioni, che si fanno con la palma della mano sulla regione epigastrica. Le forti pressioni sullo stomaco, disteso per abbondanza di acqua, potrebbero cagionarne la rottura o per lo meno irritarne la mucosa e quindi causare un catarro gastrico. In questi casi si preferisca l’eccitare il vomito per liberar lo stomaco dalla eccessiva quantità del liquido o dar tempo che questo sia intieramente assorbito.

L’eccesso abituale dell’acqua produce colica gastrica, diarrea, aumento di secrezione urinaria e scoloramento dei tessuti; l’uso insufficiente diminuisce la parte sierosa del sangue, che tende poi a coagulare, come una prolungata privazione può indurre la morte.

L’acqua calda eccita il sudore, l’acqua tiepida non disseta, è scipida e suole promuovere il vomito.

L’acqua fredda, a temperatura ordinaria, produce piacevole sensazione e può produrre disordini più o meno gravi, bevendone sotto il dominio del sudore.

L’acqua freddissima rallenta la circolazione, abbassa la temperatura: il ghiaccio e le bibite gelate, a stomaco digiuno, fanno gran male.

Le acque piovane, perchè sature di gas dell’aria, contegono cloruro di sodio, di magnesia, ossido di ferro ecc., e però sono pesanti, insipide e capaci di produrre coliche.

Le acque di neve e di ghiaccio mancano di elementi salini, sono scipide, pesanti, malsane e di difficile digestione.

Le acque di fiume contengono elementi estranei, vanno soggette a corrompersi e quindi cagionano febbri miasmatiche.

Le acque di lago, di stagno, di pantano sono nocive, producendo infezioni palustri per le molte sostanze organiche in putrefazione.

Le acque di pozzo, se poco aereate e stagnanti, sono pessime.

Le acque sorgive variano di qualità secondo la natura dei terreni.Giudicarle buone o nocive in senso generale sarebbe un errore.

Pria di por termine a queste norme, credo non inutile il raccomandare l’acqua come bagno idroterapico, che diviene un mezzo efficace sotto l’aspetto igienico, profilattico, curativo.

Il nostro clima, lo ripeto, ha pregi indiscutibili, ma è molto variabile.Non adusati a bruschi cambiamenti atmosferici possiamo contrarre serie malattie, specie d’indole reumatica.

Osservo col prof. Franco che l’idroterapia conferisce a chi l’adopera convenientemente e per molto tempo la prerogativa di risentir poco o nulla i rapidi cangiamenti dell’atmosfera. L’idroterapia bene usata e a tempo debito dà minor numero di organismi flosci, grulli, meschini, linfatici, scrofolosi, tisici e li renderà meno svogliati al lavoro: darà minor numero perciò di pezzenti, di ladri e così via via5.

Gli antichi Romani, perché facevano uso dei bagni, furono amanti del lavoro, forti, robusti e temuti.

Questo è molto nell’interesse individuale e nell’interesse della nazione.

I bagni entrino a far parte delle abitudini della nostra vita, ma se ne faccia uso dietro prescrizioni dello uomo della scienza, che saprà indicarci il grado di calore dell’acqua e il modo e il tempo opportuno.

 

1Albini, Fisiologia normale.

2 R. Maturi, Idroterapia teorico-pratica.

3 Palmieri.Somma della Storia di Sicilia.

4 De-Candia - Corso elementare completo di geografia

5 Dottor Franco Domenico - Almanacco idrologico.

 

 

 

VI.

VENTI DOMINANTI

 

Non è alieno dallo scopo di questo mio lavoro il parlarvi del vento e degli strumenti, che lo scienziato adopera per conoscere lo stato termometrico, barometrico e igrometrico dell’aria.

Premetto che la massa gasosa, entro la quale noi respiriamo e che involge il nostro pianeta, dicesi aria atmosferica.Questa è composta di ossigeno, azoto e, in tenuissime proporzioni, di acido carbonico.Secondo i luoghi e secondo le stagioni può mescersi all’aria il vapore acqueo, che la rende più o meno umida.

Il vento non è che l’aria posta in movimento in una data direzione.

I diversi gradi di freddo e di caldo, cui va soggetta l’atmosfera, sono segnati da uno strumento chiamato termometro, invenzione dovuta nel 1620 a Cornelio Van Drabet olandese.

Un altro strumento, il barometro, che il pisano Torricelli presentava agli scienziati nel 1643, ci fa conoscere il peso dell’aria, la cui pressione sul corpo umano è più di 12,000 chilogrammi, essendo la superficie del corpo umano di circa 12,000 centimetri quadrati1.

Per misurare l’umidità atmosferica vi ha un terzo strumento, che chiamasi igrometro, ed il più in uso è quello di Sausurre2.

Or Villalba posta sopra un poggio declive, non circondata d’alete montagne nè di alberi di alto fusto, con un vasto orizzonte, va soggetta a quasi tutti i venti. Predomina però il sud-est, che suole essere apportatore di benefiche piogge come il nord dirada sempre le nubi.

Il motivo, per cui vi circolano tutti i venti, si è che la termogenesi varia anche nel corso di un giorno.In genere però l’aria è temperata e quindi salutare.

Il termometro R.nel più forte dell’està segna all’ombra da 25 a 28 gradi ed al sole da 30 a 32; nel rigore invernale da 15-10 scende a 6.

Le condizioni barometriche corrispondono allo stato termometrico ed igrometrico della nostra atmosfera; quindi la pressione atmosferica si avverte maggiore, quando l’aria è asciutta; meno, quando l’aria è umida e soffiano forti venti, che ne disturbano la pressione diretta.

Dalle cose fin qui esposte risalta che l’aria è poco umida: in inverno è fredda e quasi secca, in estate calda e piuttosto secca, ove non soffii il vento di tramontana, che suole apportare dell’umido.La sua incostanza cagiona le così dette corizze, i catarri bronchiali, le angine, il reumatismo, le pneumoniti, le quali malattie oggi sono più frequenti per una maggiore variabilità atmosferica, che rende irregolare il corso delle stagioni.

Quali i mezzi igienici da usarsi?

Non essendo dato all’uomo il comandare o il modificare gli elementi, di cui si è fatta menzione, e fra gli animali essendo gli uomini, come dice il prof.Pandolfini, sprovveduti di naturali copriture, cioè, di lanugine, di scorze, di gusci, di piume, di scaglie, di squame, e merce le quali la provvida natura difende i primi dalle ingiurie degli elementi3, è uopo dal rigore e dal calore estivo.

Ad ottener questo valgono le case di abitazione e i vestimenti.

Quanto alle case nulla dirò, perché non havvi chi non conosca la necessità di stanze bene adatte durante l’inverno e la stagione estiva a premunirsi da quelle influenze atmosferiche, che attentano alla nostra salute e alla nostra vita.Per altro ne parlerò di proposito in altra parte del mio lavoro.

Qui m’intratterrò dei vestimenti, accennando, sotto l’aspetto igienico, alle qualità peculiari dei tessuti, di cui facciamo uso.

La tela trasmette più che la lana le materie traspirate: una camicia di tela non dovrebbe perciò addossarsi per un tempo maggiore di tre giorni.

La seta attrae meno che il lino l’umidità atmosferica, ma non per questo favorisce la traspirazione: è un eccellente conduttore del calorico ed è però utile in està, procurando un senso di freschezza.

La lana, e pel fregamento della pelle e perché cattivo conduttore del calorico, facilita la traspirazione e per la sua natura porosa permette la evaporazione della materia, che ha ricevuto dalla pelle.Giova in inverno, non nuoce in està.

Il cotone sta tra il lino e la lana, aumenta il calore e la traspirazione, ma siccome ritiene gli umori traspirati può cagionare dei mali.

La lana quindi offre dei vantaggi sopra di altri tessuti.

Anche il peso dei vestimenti merita attenzione, perché, oltre all’essere cattivi conduttori del calorico, riscaldano per la fatica che danno col loro peso.Il Wagner diceva che un vestimento sottile agisce come il freddo, un altro troppo grosso come il calore4.

Il vestimento ha lo scopo d’impedire l’irradiazione del calorico del corpo come serve a riparare dal calore raggiante.

Ciò posto, evidentemente si riconosce l’utilità di addossare abiti di tela e di seta nella stagione estiva, di lana e di cotone durante l’inverno.Attesto poi i caratteri suaccennati, la lana potrebbe anche essere addossata nei giorni estivi.

Sa di molta imprudenza quindi il lavoro, come è uso fra noi specie entro le aie, fatto a corpo nudo o per lo meno con le spalle direttamente esposte ai cocenti raggi del sole di luglio o di agosto.A prescindere dalla decenza, che ovunque vuol essere osservata, essendo la morale l’igiene dell’anima, questo uso ha dei gravi incovenienti, perché ci espone alle insolazioni, alle congestioni cerebrali, alle scottature, alle dermatiti ecc. Il cappello dalle larghe falde ed il vestito di tela, durante i lavori della messe, offrono dei vantaggi, che non vanno soggetti a contestazione.

Trovandosi il corpo sotto il dominio della traspirazione causata dal lavoro o dal calore, non è prudente che sia esposto all’azione dei venti: questi, sottraendo calorico, se da un lato ti danno la sensazione del fresco, dall’altro, impedendo il sudore, producono quei malori, dei quali testé ho fatto menzione.

È anche cosa prudente il preservarci dall’azione dei venti nei giorni invernali: essa, potendo congelare gli umori, riuscirebbe funesta alla nostra vita.I tessuti di lana, conservando il calorico necessario, valgono ad impedire si grave male.

È infine saggio consiglio il garantirci dall’umido, il quale è un nemico temibile della nostra salute.

 

1Cosmos popolare.

2 Ganöt – Trattato elementare di fisica.

3 Pandolfini – Patologia generale.

4 Uhle-Vagner – Trattato di patologia generale.

 

 

 

VII.

METEORE ACQUEE – ELETTRICITÀ

 

Le meteore acquee e l’elettricità hanno la loro influenza sulla nostra economia animale.

Chi all’avvicinar d’un temporale non ha provato difficoltà di respiro, stizza indicibile, lassitudine muscolare, dolor di capo1?

E chi sconosce del pari il benessere, che ne segue?

Le meteore sono quei fenomeni, che avvengono nell’atmosfera: nubi, nebbie, pioggia, rugiada, grandine, neve, ecc...ecc...

Le nubi risultano da una data quantità di vapore vescicolare, che s’innalza a certa altezza nell’atmosfera: si formano per la miscela di due masse di aria umida di diversa temperatura e traggono origine dalle acque marine, dalle acque della terra, da tutti i corpi umidi.Il calore le evaporizza, sicchè fatte più leggere nuotano nel grande oceano nell’aria atmosferica.

Le nebbie riconoscono la stessa origine e la stessa formazione delle nubi, dalle quali differiscono soltanto per essere in contatto col suolo.

La pioggia è un assembramento di vescicole, da cui risultano formate le nubi.Queste vescicole si condensano per freddo e si riuniscono in gocciole liquide, le quali, rendendosi più pesanti dell’altra, cadono giù sulla terra.

La rugiada è un vapore acqueo dell’aria, il quale si condensa al contatto con qualche sostanza più fredda.

La grandine e la neve non sono che gocce di pioggia congelate più o meno da una corrente di aria freddissima e prendono forme diverse.

Dalla evaporizzazione delle acque alla superficie della terra, dai cambiamenti chimici, che accadono sul suolo e nell’atmosfera, dallo sfregamento, che avviene in aria, delle correnti d’ineguale temperatura trae origine un fluido potente, il quale dicesi elettricità e del quale il fulmine è una scintilla.

Tutti gli esseri animati contengono di cotesto fluido.

Il sistema nervoso ha proprietà elettriche in particolare: può dare, al pari di una pila o batteria, delle correnti capaci di far deviare gli aghi magnetici e di dar luogo a fenomeni chimici ed elettrolitici e a contrazioni muscolari.

Al principio del secolo scorso anatomici, fisiologi e fisici sospettarono ed alcuni sostennero questa proprietà elettrica nel tessuto nervoso.Indi il Galvani pria e il Volta dopo provarono chiaramente l’elettricità animale2.

Nell’agro villalbese le piogge son quasi sempre benefiche, mai devastatrici; la grandine vien giù raramente; la neve fiocca di ordinario in gennaio e febbraio, ma in modo leggiero, meno qualche eccezione; le nebbie quasi si sconoscono; l’elettrico non vi spiega la sua potenza, perché non vi sono edifici eminenti, elevate montagne, alberi di alto fusto, fiumi o laghi, che sono buoni conduttori elettrici.

Non per tanto credo utile far delle osservazioni, che potrebbero tornare di giovamento ai nostri contadini, i quali per difetto d’istruzione sconoscono i primi rudimenti della scienza fisica.

Durante un temporale perciò, durante un grande sviluppo elettrico, ho visto molti di voi, miei concittadini, a cercare ricovero nelle chiese per preservarvi dal fulmine e scongiurare col suono delle campane l’ira della tempesta, che vi minaccia così da vicino.Volendo schivare il pericolo, voi in vece andate difilati incontro allo stesso; poichè se un solo individuo è un buon conduttore di elettrico, la riunione di molti individui aumenta la probabilità dell’attrazione del fulmine.Le chiese poi, essendo edifici più alti delle nostre case di abitazione, vanno, più che queste, soggette ai colpi dello elettrico.

Che dire del suono delle campane? Sul metallo l’elettrico ha molta presa e mal ne potrebbe venire a chi stringe la corda, cui è attaccato il batacchio, essendo questo un facile mezzo di comunicazione di quel terribile fluido, dal quale cerca garantirsi.

Ecco il motivo, per cui osservate i grandi edifici provvisti di parafulmine.Questo beneficio ritrovato consiste in una verga metallica, la quale da una parte si eleva sopra l’edificio e dall’altra si tuffa nell’acqua di un pozzo o comunica col suolo bagnato.La parte superiore è acuminata per meglio sottrarre l’elettrico alle nubi e comunicarlo al grande serbatoio, che è la terra.Invenzione così prodigiosa devesi al genio di Beniamino Franklin.

Per le ragioni, che sono si accennate, non è da legge il riunirvi in molti nelle case campestri, il ricoverarvi sotto i grandi alberi, il fermarvi presso i fiumi o acque correnti: sono questi tutti buoni conduttori dell’elettrico.

Durante il temporale, mettete da canto le chiavi, gli anelli, le catene, gli orologi, gli spilli, gli orecchini: son cose che accrescono il pericolo.Allontanatevi dalle mura elevate, perché queste, avvicinandosi alle nubi, potrebbero ricevere lo elettrico per comunicarlo a voi.Non vi fate presso al focolaio, che ha il suo camino alquanto più elevato del tetto della vostra casa.

In simili casi preferite il centro dell’abitazione e copritevi di tessuti di lana, riconosciuta come cattivo conduttore del fluido surriferito.

Raccomandando inoltre ai campagnoli, mentre imperversa il temporale, di non asciuttare i loro vestiti.Il prelodato Franklin non potè dar morte con lo elettrico artificiale ad un topo bagnato; al contrario facilmente lo uccise, dopo averlo bene asciugato3.

L’elettricità, che si sviluppa con lo sfregamento dei corpi, col loro contatto, con la loro composizione e decomposizione e che esercita grande influenza sulla vita e su tutto ciò, che ci circonda; l’elettricità, che, al dir del Bouchut, è la forza universale, che trascina i mondi, che regola il corso degli astri e che produce con l’affinità il calore e la luce e tutti i fenomeni della vegetazione terrestre4; questa elettricità, io dico, l’ingegno umano è riuscito a produrre con appositi apparecchi, traendone vantaggio per le industrie e per agevolare l’opera dei medici nella cura di date malattie.

E fermandomi un po’ relativamente alla cura dei morbi, dico che l’elettricità animale, che esercita la sua influenza sul nostro organismo, può spesso subire serie perturbazioni e perciò produrre in noi affezioni varie d’indole eminentemente nervosa.Ebbene cotesti disturbi patologici trovano la loro indicazione medica nella elettroterapia, che oggi è una delle grandi risorse dell’arte salutare ed ha dato in molti casi soddisfacentissimi risultati

Raccomando quindi a voi, cari concittadini, di prestar fiducia allo elettrico per la cura dei morbi, che in esso trovano un rimedio, lasciando all’uomo dell’arte il diritto e il dovere insieme di dar le relative prescrizioni.

 

1I reumatici, barometri ambulanti, sono quelli, che a preferenza preavvertono i cambiamenti atmosferici.E perché ciò? A dir vero, non ha trovato nella letteratura medica un cenno intorno alla causa di questo fenomeno, o almeno lo ignoro.Io opino che i principii, estranei all’organismo e che devono essere eliminati dalla pelle, per esser questa in uno stato patologico, si riversino in vece nel sangue lo inquinino, producendo ciò che dicesi discrasia reumatica.Tali principii, irritando e perturbando l’innervazione, dan luogo ad una vera nevropatia.I nervi quindi, non ricevendo la nutrizione come allo stato normale, si alterano nel loro fluido elettrico-magnetico e resi sensibili avvisano alla loro volta il disturbo elettro-magnetico dell’atmosfera: disturbo, che si manifesta con dolori vaganti in tutte le parti del corpo, noia e rilasciamento muscolare.

2 Albini – Fisiologia normale.Lussaa – Manuale pratico di fisiologia.

3 Cosmos popolare.

4 Depres e Bouchut – Dizionario di medicina e di terapeutica medica e chirurgia.

 

 

 

VIII.

STRADE INTERNE

 

Le strade interne di Villalba, come si è detto a principio di questo opuscolo, sono diritte, simmetriche ed esposte ad oriente. L’aria vi corre e vi circola liberamente, ma che sia scevra di principii nocivi alla salute ne dubito, come sono per esporre.

Le strade, dal dì della fondazione del comune, si presentarono per quasi mezzo secolo in uno stato assai deplorevole.Il piano era irregolarissimo e poteva dirsi, nella stagione piovosa, una serie di pozzanghere.Il patriottismo e la fermezza di carattere del sindaco Rosario Giglio, durante il triennio della sua amministrazione 1843-45, poterono superare ostacoli ed opposizioni non lievi per dare alle strade una forza meno accidentata e ricoprirle di selciato.Da quel tempo le amministrazioni sono successe alle amministrazioni, ma nessuna ha saputo conservare l’opera commendevole del Giglio con ripari e riattamenti, sicchè le strade per il volgere degli anni e per un attrito continuo di poco d’un mezzo secolo si trovano in condizioni tali da richiedere le cure e le sollecitudini degli amministratori.Per dovere di giustizia ricordo il sindaco signor Pietro Agnesi, al cui buon volere e alla cui energia devesi la riduzione del piano della Concezione nello stato attuale, piano che pria ti dava l’immagine d’una informe collinetta nel cuor dell’abitato.

Se ho detto che nessuna delle amministrazioni ha saputo conservare l’opera del Giglio, non è stato mio pensiero il biasimare menomamente gli egregi miei concittadini, che hanno avuto nelle mani la somma delle cose.In tutti non è mancato l’amor di patria, che anzi da tutti i Villalbesi si sente in modo efficace, come ebbe ad osservare quella mente arguta e poderosa dell’illustre Filippo Cordova, onore e vanto dell’isola e dell’Italia1, ma la colpa è tutta delle condizioni finanziarie comunali, che non hanno mai permesso di tradurre in fatto i miglioramenti vagheggiati da quanti sono stati nei consigli del Comune.E l’attuale Sindaco, sig.Angelo Pantaleone, ci fa bene sperare pel miglioramento delle strade, sapendo per prova quanto buon volere ispiri gli atti della sua amministrazione.Ne m’inganno, poichè ha dato principio alla sistemazione definitiva della via traversa del Carcere ed ha fatto eseguire un piano planimetrico per dare forma regolare all’abitato.

Ma ritorno all’argomento: le strade interne di Villalba attualmente sono in condizioni molto tristi e richiedono pronti ripari.Due maestri, onesti, laboriosi ed esperti con l’annuo stipendio di L.500 ciascuno, potrebbero, senza apportare grave onere alle finanze comunali, riattare quelle strade, il cui selciato trovasi sdrucito, e selciare con pietre a forma di cono le strade nuove che sembrano vie rurali.

La nettezza poi va efficacemente raccomandata: le immondezze, le urine, le ossa, gli stracci, le sostanze vegetali, le acqua lorde, che vediamo buttate per le vie, la fanno a calci con lo spirito delle leggi, le quali hanno lo scopo di conservar la salute pubblica.

Gli spazzini sono un bisogno generalmente sentito, ed il Municipio con lodevole pensiero ne ha creato uno; ma l’esperienza dimostra che l’opera d’un solo spazzino non può affatto raggiungere lo scopo.È il caso del detto di Virgilio: rari nantes in gurgite vasto.

Io sarò oltre modo lieto quel giorno, in cui potrò battere le mani a quegli amministratori, i quali avranno, direi, messo a nuovo le strade col selciarle, le avranno rese nette e pulite con l’opera assidua degli spazzini e le avranno fornite, durante le ore notturne, di sufficiente illuminazione.

Ed ora mi si permetta che io manifesti tutta la mia indignazione per la esistenza dei concimai proprio alle mura dell’abitato.È il più grave attentato che possa consumarsi a danno della pubblica salute: le febbri intermittenti in maggior parte promanano da simili depositi.Lo allontanamento dei concimai sarà un omaggio reso alla civiltà dei tempi e al benessere di ben 4000 abitanti.Si circondi piuttosto la ridente Villalba di piante salutari, fra le quali occupa il primo posto l’Eucalyptus, che, al dire del dottor Carlotti, esercita una influenza favorevolissima sulla salubrità della contrada, dove si coltiva2.Le febbri intermittenti spariscono sotto l’influenza di questa benefica pianta, la quale più che le altre assorbe le acque piovane, asciugando il suolo, modifica il clima, fa guerra aperta allo sviluppo delle epidemie, dà la caccia alle zanzare e ad altri nocivi insetti e con la sua essenza fa cadere a terra la crittogama degli arbusti convertita in polvere nera.

In Corsica (vallata di Ostricom) fornite di malefiche esalazioni, sono scomparse le paludi innanzi all’azione del lussureggiante Eucalyptus.Le vaste paludi dell’Algeria devono la loro bonificazione alla presenza di quest’albero salutare.Chi percorre in Australia quelle zone, dove l’acqua totalmente fa difetto, osserva che gli abitanti estirpano le radici dell’Eucalyptus, le sospendono in alto e ne ottengono un umore, che fa le veci dell’acqua buona e freschissima. Che questa pianta si coltivi e in abbondanza in quei luoghi, nei quali le emanazioni telluriche sono un grave e permanente pericolo della salute e della vita umana.

Oso del pari raccomandare al nostro Municipio perché voglia rigorosamente disporre che sia vietato l’uso di asciugare il lino dei dintorni dell’abitato: dalle esalazioni di questo vegetale ma ne viene alla pubblica salute.

Un altro inconveniente da togliere via si è l’uso di sgranar le spighe nelle pubbliche vie.A parte il fastidio, che danno le pule agli occhi dei cittadini, e a parte l’ingombro, che ne viene delle strade, sono un attentato alla salute le paglie rimaste sul lastrico, perché, soggette all’azione dell’umido della notte e del calore del sole, si putrefanno e così inquinano l’aria, che tutti abbiamo interesse di mantenere pura.Essendo però una delle principali fonti di entrata della povera gente il ricolto delle spighe, il Municipio per la sgranatura delle stesse dovrebbe assegnare nel suolo comunale, fuori l’abitato, parecchi luoghi da servir di aie.

Si vieti l’uso di crear focolari nelle pubbliche strade sia per cottura dei cibi come per far della liscivia: col fumo si nuoce alla vista e si deturpano i prospetti delle case e col calore si riscalda di più l’aria abbastanza infuocata dei raggi solari.Con le vie ingombre di paglie e di focolari noi abbiamo anzi che un comune, il quale aspira al progresso, una grande fattoria campestre.

Che dire poi delle acque reflue, delle acque sporche, delle urine, ecc... che si buttano impunemente nelle vie?

La salute pubblica ci va seriamente di mezzo.Ma quale il rimedio? Più che i condotti impuri son da raccomandarsi i pozzi neri, i quali sono giudicati meno nocivi alla salute.

Nè la serie degl’inconvenienti è terminata.Il macello, che si permette nel cuor dell’abitato, è antigienico e insieme un atto di barbarie: è antigienico, perché le materie, che rimangono sul lastrico, vanno soggette a putrefazione; è un atto di barbarie, perché col continuo assistervi fa venir meno nel cuore, specie dei ragazzi, i più delicati sentimenti.

Un altro spettacolo nauseante si offre spesso allo sguardo di questi cittadini: lo spettacolo del salasso e del fuoco delle bestie da soma.Ne offre la salute pubblica col sangue, che si lascia scorrere per le strade, e col puzzo, che ammorba l’aria; non regge il cuore alla vista della più efferata tortura delle bestie sofferenti.

Pria di chiudere questo articolo, credo esser cosa utile il richiamare l’attenzione del Municipio sul bisogno, che si esperimenta di un pubblico lavatoio nei pressi del comune.Per difetto d’un lavatoio vicino, la povera gente spesso trascura la pulitezza della biancheria, con quanto danno dell’igiene è superfluo il dire.

Io son sicuro che a questo sarà provveduto, quando le acqua potabili dello Scifazzo scorreranno entro l’abitato, com’è voto generale de’ cittadini e uno dei lodevoli intendimenti degli attuali amministratori della cosa pubblica.

 

1V.Relazione del 23 marzo 1810 all’Intendente Barone di Rigiliti.

2 Regolo Carlotti – Sui climi insalubri e l’effetto dell’Eucalyptus.Journal d’hygiène.

 

 

 

IX.

CASE DI ABITAZIONE

 

È noto che l’uomo passa tre quarti di vita nella casa della sua abitazione. L’influenza adunque che questa esercita sull’organismo umano è molto considerevole.

Nulla ho da osservare quanto alla esposizione delle case, perché questa è conforme ai dettami di benintesa igiene.I materiali sono eccellenti: solo è da raccomandarsi che si faccia meno uso di gesso e più di calce.

Circa l’altezza, la larghezza e la capacità non c’è da rimaner soddisfatti.

Fatta eccezione di quelle delle famiglie agiate, in genere le case sono piccole e basse, e si che il costruirle più elevate e più spaziose non costerebbe molto, non facendo difetto la sabbia, la calce, il gesso e la pietra e potendoli acquistare a modico prezzo.

Il nostro Municipio è molto commendevole per la vigilanza, che esercita circa alla linea da osservarsi nella costruzione delle case per la conversazione della simmetria, che rende ameno e gradevole l’abitato; ma la lode sarebbe intera, se pensasse ad un regolamento edilizio, col quale si prenderebbero in considerazione la salubrità e le prospettive delle case.Salus suprema lex est.

Le dimensioni dovrebbero esser tali da permettere che l’aria liberamente circoli e si rinnovi: i calcoli scientifici prescrivono che ogni individuo debba respirare all’ora 30 metri cubici d’aria.

I prospetti, oltre al vantaggio di garantire le fabbriche dalle ingiurie del tempo, riescono gradevoli all’ottica e segnano sempre un grado di progredito vivere civile.La calce, della quale si fa uso per gl’intonachi dei prospetti, è un efficace disinfettante e si oppone allo sviluppo ed alla propagazione dei morbi epidemici.

Che dire delle case dei nostri concittadini, che vivono una vita di stenti, quasi servi condannati alla gleba?

Il cuore si stringe e la penna rifugge dal descriverle: son catapecchie, dove coabitano famiglie numerose insieme con animali addetti all’agricoltura, con animali immondi, con galline, con colombi.

Può esser sufficiente all’uomo l’aria di tali abitazioni?È esente da principi infettivi?

La risposta non può essere che scoraggiante.

Povera gente! Voi non avete colpa, la miseria vi costringe a vivere una vita assai triste, ma vita da bruti.Voglia il cielo che per voi vengano giorni migliori, che le vostre fatiche si abbiano un adequato compenso e che le vostre condizioni migliorino.

Ma non tenete in non cale quelle norme d’igiene, che anche nel duro stato, in cui siete, possono tornare utili alla vostra salute, menomando in qualche modo la serie di pericoli, onde è circondata la vostra vita.

Non abitate le case, appena terminata la costruzione delle fabbriche, come è uso fra noi: l’umido, che contengono, è causa di reumatismo, angine, affezioni croniche del cuore e del polmone, linfatismo, nevralgie ecc.

Non essendo possibile il toglier via dalle vostre case di abitazione la stalla, il pollaio e il porcile, rinnovate almeno l’aria il più spesso che si può, trasportate giorno per giorno al letamaio le micidiali immondezze, lavando bene i luoghi sporchi per eliminare gli elementi d’infezione, che cagiona il guasto di tali materie.

Non tenete acceso, durante il tempo destinato al vostro riposo, gli antigienici lumi a petrolio sforniti di tubo di cristallo: distruggono molto dell’ossigeno bisognevole alla vostra respirazione.

Fate a meno di quei mazzi di fiori, che nella stagione primaverile vedo così di frequente sotto le imagini dei santi come omaggio del vostro sentire religioso: durante la notte, sono molto nocivi, perché sviluppano carbonio e possono produrre vertigini, cefalee, sincopi convulsioni isteriformi, specie alle donne gravi, e non di raro asfissia.

Vi raccomando di spegnere il fuoco, prima di andare a letto: non vi ha casa che nei frigidi mesi invernali non abbia il suo braciere, il suo scaldino sempre acceso a fine di mitigare il rigore della stagione.L’acido carbonico, che si sviluppa dalle materie accese, è un terribile nemico della vostra vita: innumerabili sono le vittime dell’asfissia.

Pulitezza dunque nelle vostre case ed avrete provveduto in qualche modo alla vostra vita, distruggendo insieme la causa, per cui vediamo non senza nausea muoversi negli angoli delle vostre abitazioni molti e molti scarabei, contro la esistenza dei quali, al dir del professore Turchi, è arma efficace la polvere di euforbio mista con farina 0 e con foglie di noce.

 

 

X.

ISTRUZIONE

 

In un mio opuscolo sulla Biblioteca circolante di Villalba io scriveva come sia più civile quel popolo, il quale conti minor numero di analfabeti; ove fioriscono le lettere e le scienze, trovarsi attività mercantile, spirito di associazione, forza d’industria, incremento dell’agricoltura e delle arti; è là che i pubblici lavori ed il benessere sociale si sviluppano con celerità e meraviglia; è là che si sveglia la vita di un popolo dalla sonnolenza e dall’inerzia, in  cui lo avevano gettato i sospettosi governi; è là infine che si trovano l’ordine, il buon costume, il rispetto alle autorità e alle leggi1.

L’istruzione, illuminando l’intelletto, distrugge i pregiudizii ed educa l’uomo allo esercizio dei suoi diritti e allo adempimento dei relativi doveri.

Per essa l’Italia vanta un Alighieri, un Petrarca, un Boccaccio, un Ariosto, un Tasso, un Macchiavelli, un Galileo, un Volta, un Alfieri, un Foscolo, un Leopardi, un Cavour, un Manzoni, un Giusti. E ad essa devesi se questo novello comune può andar superbo di figli, che sentono molto avanti nelle scienze mediche, nelle discipline giuridiche, nelle materie ecclesiastiche e nelle lettere.

Il sapere, scriveva un cittadino a Villalba, quando viene spostato al lavoro costituisce quella vita, ch’è vita di popoli; è l’unico sostegno della libertà e dell’indipendenza della patria; è l’organo dell’incivilimento e del progresso nazionale; è uno dei principali mezzi per ottenere l’accrescimento delle virtù cittadine; è luce, che rischiara le menti; è fuoco, che riscalda; è base della prosperità e della felicità delle nazioni2.

Roberto, re di Napoli, diceva: Se dovessi perdere le lettere o lo scettro, amerei, anzi che esser privo delle prime, perdere la corona.

Il governo d’Italia è degno di encomio per le cure, che spende a pro dell’istruzione, rendendola anche obbligatoria, come è meritevole di lode il municipio di Villalba per l’opera sua efficace di diffondere quanto è possibile questo grande beneficio.Nonostante le sue ristrette condizioni finanziarie eroga ogni anno la somma di L.6745.

Villalba ha una biblioteca popolare circolante, la quale mercè le mie insistenze e le generose offerte dei miei concittadini e di molti letterati d’Italia conta 729 volumi, 45 opuscoli e due stupendi scaffali.Affidata alla direzione di chi non poteva sentire affetto per questa terra perdette circa 300 volumi.La incuria da parte della direzione e la nessuna vigilanza di che ne aveva l’obbligo causarono sì grave perdita.Ma la Biblioteca non rimarrà stazionaria: il buon volere degli attuali amministratori e le intelligienti cure del Segretario signor Michele Cipolla-Bertòlo ben promettono dell’incremento di si utile istituzione.

Le scuole elementari sono sette, delle quali 4 maschili e 3 femminili.Vi ha una scuola serale per gli adulti, una scuola domenicale e un’altra di complemento.

Ora una domanda a me stesso: che cosa è la scuola? La scuola è quel sacro tempio, ove si alleva la gioventù alla scienza e alla morale, affinchè divenga il sacerdozio eletto della società, capace di sagrificare sull’altare della patria l’interesse e il bene privato, non che la vita medesima al bene comune3.

Parlando poi della scuola elementare, dico col Raynieri che essa ha per iscopo il fare apprendere quel complesso di cognizioni necessarie a tutti i cittadini d’uno stato pervenuto ad un determinato grado di civiltà4.

Un po’ d’igiene.

La scuola, come diceva il Fleury della chiesa, dovrebbe essere il più elegante, il più magnifico, il più bello edificio.I bimbi vi andrebbero di buon animo e sedotti dalle apparenze volentieri vi dimorerebbero durante il tempo delle lezioni.

La scuola preferisce il pianterreno, perché si eviterebbero molti pericoli di cadute; vuol essere centrale, perché sia di facile accesso a tutti i bimbi del quartiere, del rione, del comune; aborre dalle emanazioni nocive e dall’umido e richiede l’esposizione ad est e molto ambiente, perché maestro ed alunni non ricevano nocumento alla loro salute; ama le finestre alle con apposite tendine, perché le une valgano meglio a rinnovare l’aria e le altre a mitigare l’eccesso di luce; nella stagione invernale dovrebbe esser fornita di camino, perché la temperatura della stanza si mantenga sempre costante.

Se alla scuola fosse annesso un cortile, l’edificio sarebbe completo: l’educazione morale non va disgiunta dall’educazione fisica, la ginnastica del corpo fortifica la ginnastica della mente.

Gli alunni per essere ammessi in questo tempio sacro al sapere si presentino con gli abiti puliti, col volto e con le mani nette, coi capelli bene pettinati; siano buoni con tutti, ubbidienti e grati ai maestri e ai superiori; abbiano cura dei libri; rifuggano dalle brighe e dalle azioni condannate dalla morale e dal galateo; fuggano i cattivi compagni e l’ozio, pessimi consiglieri; in fine mostrino tutta la riconoscenza ai genitori, che non perdonano a sacrifizi e cure per la loro educazione.

Le case destinate all’istruzione popolare in Villalba rispondono al fine?

Mi duole il dirlo, lasciano molto a desiderare.Ve ne ha di quelle, nelle quali gli alunni stanno a disagio o per troppo numero, o per difetto di luce, o per manco di aria; ve n’ha di quelle, che sono eccentriche.Mi conforta però il conoscere come gli amministratori comunali abbiano il fermo proposito di far sorgere un edificio, che in sè comprenda tutte le scuole e che abbia tutti i requisiti prescritti dall’igiene e dai regolamenti scolastici.

 

1Mulè Bertòlo S. – Biblioteca popolare di Villalba 1875.

2 F.Mulè Bertòlo – Discorso letto in occasione dell’apertura della scuola serale in Villalba 1865.

3 Anastacio Bocci – La reazione del pensiero.

4 Rayneri – Primi principii di metodica.

 

 

XI.

CIMITERO.

 

Il dovere di sottrarre i cittadini alla influenza micidiale delle esalazioni cadaveriche è stato mai sempre riconosciuto, molto più di oggi che l’igiene progredita ha seriamente studiato e discusso le quistioni relative alla salute pubblica.

Le prescrizioni di questa scienza, dice il Poulier, sono di accordo con le idee religiose, e i legislatori di tutti i popoli, ispirandosi ai principii scientifici e alle massime religiose, prescrivono misure rigorose perché la separazione dei vivi dai morti sia esattamente osservata.

Non è molto, in Villalba i cadaveri venivano sepolti nella chiesa della Concezione, proprio nel cuore dell’abitato.Ma i nostri estinti non si trovavano l’eterno riposo, perché, riempita la sepoltura, era necessità che gli scheletri si trasportassero fuori del comune per essere deposti in una fossa, scavata dietro la croce centrale del Calvario.A questa fossa davasi il nome di Carnara, nome che non saprei definire: tale cumulo di funeste idee mi sveglia nella mente!

Descrivere non potrei le scene, alle quali si assisteva in quei terribili giorni destinati al trasporto delle ossa.

Tutti i cittadini erano in lutto, perché si ridestavano i più profondi dolori, come se accadesse allora la sventura.

Che dire quanto all’igiene?

Il continuo scoperchiarsi dell’unica fossa per accogliere la salma di coloro, che accrescevano il numero dei più, e la disumazione dei cadaveri, molti ancora in putrefazione, ammonticchiati per parecchi giorni nella piccola chiesa, erano il più grave attentato, che si potesse permettere contro la salute pubblica.

L’aria dell’abitato, durante il trasporto, vale a dire per la durata di quasi una settimana, era appestata da stomachevole puzzo: sembrava il piccolo comune un cimitero con le tombe scoperchiate!

Nel 1838 era Intendente di questa provincia il barone Filippo Landolina di Rigilifi, uomo di grandi iniziative, specie in fatto di opere pubbliche.La città di Caltanissetta ricorderà sempre con affetto e con riconoscenza il nome di sì energico e intelligiente magistrato, perché alla opera efficace di lui deve la riforma e l’immegliamento materiale.

Sotto l’amministrazione dell’illustre Landolina furono creati in maggior parte i campisanti della provincia.

Per la scelta del luogo, in cui doveva sorgere il camposanto a Villalba, si ebbe il mandato di Consigliere d’Intendenza avv.Filippo Cordova, quel prodigio di memoria, di sapere e di eloquenza, che la Sicilia ebbe ad ammirare nella gloriosa rivoluzione del 1848 e l’Italia nella Camera elettiva e nei Consigli della Corona.

E il Cordova venne a Villalba e trovò alloggio per parecchi giorni in casa del sac.Salvatore Mulè.

Studiati i dintorni dell’abitato, l’intelligiente Consigliere trovò adatto, giusta le prescrizioni della scienza, quel poggetto, che sia a sud-est dall’abitato, a 600 metri circa di distanza, e ch’è parte estrema della contrada denominata Rovitello.

Fu questo un passo avanti nel sentiero della civiltà!

Dai documenti, che esistono nell’ufficio comunale, scritti da due cittadini villalbesi, Michele Mulè di Stefano e dottor Emanuele Cipolla di Carmelo, uomini egregi per amor di patria e per cultura storica e letteraria, si detege che il camposanto fu costruito sullo scorcio dell’anno 1839.

In un vigliettino, che trovasi fra i preaccennati documenti ed è scritto dal sullodato dottor Cipolla, sta notato che la cerimonia della benedizione religiosa del cimitero si eseguiva il giorno 23 febbraio 1840.

Per l’aumentata popolazione si riconobbe la necessità di estendere i confini del cimitero, il che fu eseguito nel 1885 sotto l’amministrazione del sindaco signor Angelo Pantaleone.

Il sepellimento dei cadaveri si esegue per inumazione con fosse separate. Vi ha fosse comuni, ma queste appartengono a talune delle varie Congregazioni religiose, che portano questi nomi: del Sagramento, dell’Immacolata Concezione, dell’Addolorata, dell’Annunziata e dei Luigini.

Il nostro cimitero non ha monumenti sacri alla memoria degli estinti, non ha viali di piante odorifere e di fiori, in una parola è un pezzo di terra abbandonata a sè stessa con recinto di alte mura.Nel centro sorge solo una piccola chiesa costruita a spese della Congregazione del Sagramento.

L’igiene ha molto da osservare in contrario, anzi ha tutta da disapprovare.E come no, quando avviene spesso che oggi si scopre una fossa, coperta ieri, con possibile danno della salute pubblica? Se questo potevasi giustificare prima dell’ingrandimento del cimitero, ora è un grave delitto, che si lascia impunemente perpetrare.

Presso tutti i popoli, anche in tempo di barbarie, i luoghi destinati alla conservazione delle spoglie umane erano e sono circondati delle più affettuose sollecitudini.La religione degli estinti è sacra.

Io non ne dubito, Villalba non verrà meno a sè stessa in fatto di culto alla memoria dei nostri trapassati, conciliando insieme l’osservanza di quei precetti, che mirano alla conservazione della salute pubblica.

Se la morte con la sua inesorabile falce e col treno delle sue funeste conseguenze rende tetro il luogo, dove riposano le ceneri dei nostri più cari, facciamo opera del canto nostro perché la tristezza sia bandita, formando del cimitero un luogo dai viali odoriferi e dalle pianti salutari, e perché vi circoli un’aria resa respirabile per balsamiche esalazioni.I cimiteri non ispirino orrore, ma rispetto: la visita della dimora degli estinti diventi un bisogno, un dovere, specie quando il cuore sente la necessità di grandi emozioni, che spesso valgono a correggere un passato biasimevole, ad illuminare le tenebre di un avvenire incerto, ad accendere l’animo a magnanime cose.

Altri inconvenienti si deplorano in Villalba e senza dubbio il Municipio vi provvederà quanto prima.

Il trasporto del cadavere, disteso su una bara senza un velo che lo copra, merita l’ostracismo: per altro la legge severamente lo proibisce.Lasciare il cadavere per ben 24 ore nella chiesa della Concezione, tanto frequentata oggi, non è cosa degna dei nostri tempi, nè permessa dall’igiene.In 24 ore la putrefazione in molti casi è pronunziata molto.E poi la vista dei cadaveri qual raccapriccio non desta? Qual paura non eccita nei fanciulli? Di quali conseguenze non è causa nel sesso gentile?

È urgente bisogno che sorga fuori l’abitato una casa mortuaria col duplice scopo di ottemperare alla legge, che saggiamente prescrive l’osservazione dei cadaveri per la durata di 24 ore, e di dare agio agli uomini della scienza e alla giustizia punitrice di procedere a quelle investigazioni necroscopiche, che attualmente si compiono sulla nuda terra e sotto la volta del cielo.

 

 

XII.

CLIMA.

 

L’influenza, che promana direttamente dall’atmosfera e dal suolo d’una data regione, dicesi clima.Ed io ne parlo dopo avere accennato alla topografia del comune, alla natura geologica del terreno, all’agricoltura, alle acque, all’aria, alle condizioni locali igrometriche, termometriche, barometriche, alle meteore acquee, alla elettricità ecc.

Lo studio del clima è di grave importanza pel medico: questi, come deve saper prescrivere quali i medicamenti atti a debellare una data malattia, ha del pari l’obbligo d’indicare il luogo che convenga meglio a sostenere e a vincere la lotta.

Villalba posta su un poggetto declive, con un orizzonte estesissimo, con una temperatura media, con aria, che liberamente circola, con istrade larghe e spaziose, con feracissimi terreni, con acque eccellenti e abbondanti, non può non avere un clima salutare.

La salute florida e la robusta costituzione dei suoi abitanti, la svegliatezza del loro ingegno, la tarda età, che i molti ragazzini raggiungono1 non ostante che la più squallida miseria governi la grande maggioranza delle famiglie, la quasi totale assenza di malattie infettive, sono prove luminose del mio assunto.

Arrogi che quanti forestieri abbiamo avuto l’onore di accogliere come ospiti fra noi hanno riconosciuto la bontà di questo clima, vantaggiandosene in salute.

L’illustre famiglia Palmeri ha scelto mai sempre Villalba come luogo di sua villeggiatura e nei mesi estivi in diversi anni son venuti fra noi a diporto le nobili famiglie dei conti Capaci, de duchi di s.Martino, dei baroni Merlo, dei baroni di s.Giuseppe, dei cavalieri Denti2, dei marchesi3 e altre, di cui non ricordo i nomi.

Quando nel 1862 l’uomo leggendario, l’eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi si partiva di Palermo e percorreva l’interno dell’isola con lo storico motto, o Roma o morte, passando per Villalba la prescelse a luogo di sua dimora per un giorno e due notti.Invaghito delle aperte contrade volle visitarle a cavallo con la sola compagnia di persona dipendente dalla famiglia Palmieri, nel cui palazzo venne ospitato.Fattosi ad una delle finestre, che guardano a nord-ovest, restò preso di meraviglia al vedersi innanzi la gigantesca montagna di Cammarata con l’addossatavi cittadina omonima, le lontane alture della parte settentrionale di Sicilia e il comune di Valledolmo, che sta come a specchio della casa Palmieri, e chiesta una carta dell’isola volle verificare se quelle estese contrade trovassero una esatta corrispondenza con gli studi del geografo.Il romito di Caprera non lasciò occasione di manifestare a quanti andarono a visitarlo il giudizio favorevolissimo, che portava della residenza villalbese.E si che all’occhio osservatore di tant’Uomo non si può affatto negare la virtù di veder diritto e di giudicar bene4.

 

1Molti son quelli che oltrepassano l’80mo anni di vita.

2 Giovanni Denti-Piraino cospirò sempre per la libertà.

3 Rosolino Pilo, il martire della libertà, fu varie volte a villeggiare fra noi.

4 Garibaldi fu a Villalba dal giorno 8 al giorno 10 agosto 1862.

 

 

XIII.

MALATTIE DOMINANTI.

 

Dalle malattie dominanti potrà anche desumersi la bontà del clima.

Credo perciò opportuno farne un cenno con una esposizione breve del relativo metodo di cura.

In primavera, quasi sempre, il medico è in riposo: le malattie lo lasciano in pace.Rare volte hanno fatto capolino i morbi esantematici come la scarlatina, la rosolia ecc. Compiuto il corso clinico, nessuna conseguenza funesta si è deplorata.

Semplice cautela, pozioni calde o limonee, qualche centigramma di belladonna, chinacci, brodi consumati: è questa la cura prescritta in simili casi.Indi non sonosi trascurati i ricostituenti.

In està, causa la temperatura elevata e un eccessivo abuso di frutta, sono frequenti le indigestioni, i catarri agro-intestinali, le dissenterie, le febbri gastriche e qualche volta le febbri crisipelatose.

Leggieri purganti salini, emulsioni laudanate, limonee, bibite di acqua tamandirata, posche calde sull’addome e alle volte fredde sono le prescrizioni curative.

Quanto alla dermatite crisipelatosa della faccia ho riconosciuto essere nocivi i topici locali, specie la pennellazione del silicato di potassa, come ho esperimentato utile e vantaggioso l’usare semplici bagnature di acqua di lattuga, leggermente acidulata, e il coprir la parte di cotone fenicato.Esperimento attualmente le bagnature di acido borico.

In autunno dominano le febbri intermittenti a tipo quotidiano, le terzane, le doppie terzane, le quartane, le larvale, le perniciose a forma apoplettica, dissenterica e nevralgica.

Tali febbri d’indole infettiva sono una importazione: traggono origine dalle emanazioni miasmatiche del fiume Belici, che dista ad est da Villalba circa 5 chilometri e scorre nel fertilissimo e vasto già feudo omonimo, le cui terre son coltivate da’ villalbesi.

I chinacei somministrati per via ipodermica, per bocca, per l’intestino retto vincono del tutto coteste malattie, tranne qualche raro caso di perniciosa, proprio quando il medico abbia perduto quel momento opportuno che corrisponde al sapiente detto d’Ippocrate occasio pracceps, sono prescritti per siffatte malattie.

Ho esperimentato pure il cloruro di sodio abbrustolito giusta le indicazioni del Morgagni, la tintura di fuligine, la decozione di limone raccomandata dal chiarissimo prof.Maglieri e altri succedanei come l’acanfora; ma i risultati nono sono stati soddisfacenti.Ed io esclamo col Metastasio:

 

È folle quel nocchiero

Che cerca un’altra stella

E non si affida a quella,

Che in porto lo guidò

 

Non sunt neganda clara propter quaedam.

In inverno, causa la rigidezza atmosferica, hanno dominio reumatismi, angine catarrali, specialmente pleuriti e pneumoniti genuine o gastriche.

Cautela, bevande sudorifere, gargarismi di latte, o di decotto d’orzo mielato, o di acqua alcalina per le angine; alcalini internamente somministrati nell’acuzie del reumatismo; ioduro di potassio, bagni termali nel cronicismo: in generale è questo il metodo curativo.

Mi si permetta ora di dire quanto metto in uso per le pleuriti e per le pneumoniti.

Non seguace di alcun sistema in medicina, perché i sistemi, dico col prof.Conti, sono là diroccati e ridotti ad un mucchio di rovine, testimoni miserandi del passato e ammaestramenti severi per l’avvenire, io punto amico della medicina tedesca odierna ed esatto interprete della natura, poco prescrivo in simili malattie.

Il temperamento dell’inferno, la sua costituzione, i poteri fisiologici, il grado del morbo, le complicazioni ecc. sono i criteri, che mi guidano a prescrivere questo o quell’altro rimedio, facendola sempre da vigile e coscenzioso spettatore.

La dieta negativa sino alla cessazione della febbre, somma cautela, decotti caldi d’orzo, scorzonera, altea, avena, sono le mie ordinarie prescrizioni.

Non trascuro, secondo i casi, un lieve salasso e le mignatte, il purgante, gli espettoranti, specialmente l’infuso d’ipecacuana, di poligala, di violette, le acque alcaline e simili: con queste indicazioni ho superato quasi sempre la pneumonite.

Nell’acuto dolore della pleurite, oltre alle mignatte, ho trovato utile la pomata del chiarissimo prof.Cantani (di oppio, morfina e sugna) come ho riconosciuto efficaci i cataplasmi caldi spesso rinnovati.

Se nel corso della malattia vien somministrato dagli assistenti, s’intende alla insaputa del medico, qualche cibo o altro; la pneumonite si esacerba e l’ammalato corre pericolo di vita.Edotto da questa costante esperienza non so persuadermi come nella clinica di Napoli e altrove si possano prescrivere ai pulmoniaci due o tre tazze di brodo nel corso del giorno e spesso insieme con torlo d’uovo.Io ho veduto ammalati peggiorare per la sola somministrazione di poca borragine cotta in acqua.Replico: se la febbre non è cessata, non permetto assolutamente cibi di scorta. Del resto dico col sommo Baglivi: Unicuique regioni sua est medicina, sua methodus.

Questo ho voluto accennare come norma ai miei concittadini villalbesi, i quali, colgo l’occasione di farne pubblico elogio, sono veramente ammirevolissimi per grande fiducia, che ripongono nell’uomo della scienza medica, vorrei dire, ispirandosi alle parole dell’Ecclesiaste: Honora medicum propter necessitatem, etenim Deus creavit medicamenta et vir prudens non haborret ab eis.

Ed io riconoscente di tanta fiducia vivo sicuro che, raccomandando agli stessi di smettere dal pregiudizio di negare ai sofferenti pneumonite l’uso dell’acqua potabile, vorranno di buon grado accogliere la raccomandazione di chi ha dato mai sempre prove di benevolenza verso i suoi concittadini.L’acqua non è mai di nocumento, rinfresca il sangue e meglio che i decotti e gli espettoranti agevola l’espulsione degli essudati pulmonari: al più di usi la cautela di non darla a bere troppo fredda.

Intanto siccome la causa diretta della malattia è l’aria fredda, è uopo il garentire l’ammalato dall’azione atmosferica.E questo si raccomanda in ispecie a quanti vanno soggetti a contrarre siffatto morbo.Conosco degl’individui, che annualmente son presi da polmonite.

La tisi pulmonale in Villalba era quasi sconosciuta: da parecchio tempo se ne sono notati alcuni casi.Ad evitarla non si contragga matrimonio con chi è procreato da padre o madre tubercolosa e non avvenga l’unione tra due linfatici o scrofolosi: la tisi troverà terreno molto propizio al suo sviluppo.

Inutile ogni cura, perché il morbo si è ribelle ai dettami della scienza.Il lichen, l’acqua di pino, di catrame, la trementina, l’olio di fegato di merluzzo, l’estratto di grano tallito, i chinacei non la vincono sulla morte.In pochissmi casi ho riportato dei vantaggi dall’aria pura dei campi, dagl’ipofosfiti di calce, dal benzeato di soda e dagli arsenicali.

La calcolosi conta dei sofferenti nel nostro comune, di che le coliche nefritiche seguite da uscita di calcoletti e la formazione della pietra in vescica.

A sedare la colica ho trovato utile l’uso razionale dei purganti, rendendo così gli ureteri liberi da ogni ostacolo.Indi mi son valso dei semicupii, dell’oppio, del cloroformio e dell’idrato di cloralio, che ho trovato di maggior efficacia nel sollevare il paziente, come notai in un articolo pubblicato nel giornale caltanissettese l’Unione1.

Richiedendolo il bisogno, non trascuro le coppette locali, le mignattazioni, le fomentazioni calde con erbe, che hanno virù sedativa.

Per calcolo vescicale non v’è che il frangipietra o la eistotomia.

Intanto non ometto di regolare il cibo e di prescrivere gli alcalini come il bicarbonato di soda, il carbonato, il benzoato di litina, le acque del Vichy ecc. Questo metodo curativo spesso non viene osservato, perché taluni hanno la credenza che i calcoli siano prodotti dalle acque, di cui facciamo uso in Villalba: è una falsa credenza, che produce i suoi tristi effetti.

La calcolosi, in tesi generale, trae origine dai cibi, dei quali ci nutriamo e che sono capaci di alterare chimicamente la composizione del sangue in modo da produrre una diatesi particolare detta litiasi.Potrei provare il mio assunto, facendo tesoro delle preziose lezioni del dottissimo Cantani, ma non sarebbe questo il luogo, e poi come compendiare quanto l’illustre scienziato espone nella stupenda sua opera «Patologia e terapia del ricambio materiale».

Solo credo utile l’osservare che qui si va soggetti non tanto alla calcolosi urica, quanto alla calcolosi fosfatica, carbonatica: difatti i calcoli sono d’un color bianco sporco e di natura friabile; e sono sofferenti detti calcoli quelli, i quali abusano dei farinacei come legumi, pasta, pane, ecc.

Perciò, oltre alla cura farmaceutica, il mezzo igienico sta nel moto, nel bere molta acqua e nel far uso d’una dieta mista di carne, pesce, uova, frutta e erbe.

Qui reputo molto utile il riportare quanto osservò il prelodato prof.Cantani:

1. Gli urati abbondavano con la carne, col pesce, coi farinacei; erano normali con le uova e con la dieta mista; scarsi co’ gelatinosi, co’ brodi, con gli erbacei, con le frutta.

2. I fosfati terrosi abbondavano dopo la dieta mista e dopo quella farinacea; erano normali dopo la carne, il pesce, il latte e gli erbacei; scarsi dopo le uova, i gelatinosi, i brodi e le fretta.

3. I fosfati alcalini abbondavano sotto la dieta mista e sotto il pesce; erano normali sotto la carne, il latte, le uova; scarsi sotto i gelatinosi, i brodi, i farinacci, gli erbacci e le frutta2.

È questa una norma sicura per la scelta dei cibi, i quali, s’intende bene, varieranno secondo la natura del calcoletto, cioè se a base urica ovvero a base di fosfati, terrosi o alcalini.

La zafara è una malattia, che si manifesta durante la fioritura della fava nostrana.

Se non tutti gli affetti da cotesto morbo, alcuni soffrono in quei giorni cefalea, ronzio delle orecchie, vomiturazione di materie biliose, cardialgia, paralisi vescicale, ematuria o emissione di orina semplicemente gialla, prostrazione delle forze organico-vitali e tinta itterica o sub-itterica, che si presenta per tutto il corpo.

La guarigione non è da mettersi in dubbio, benchè si contino dei casi seguiti da morte.

Nessun cenno mi fu dato di trovare intorno a questa malattia nella letterautra medica, e però reputai mio dovere il descriverla, pel primo, sotto il titolo Itterizia particolare prodotta dalle particelle odorifere del fiore della fava.

Di quanto asserisco fanno fede il Morgagni di Napoli, l’Osservatore Medico di Palermo, il Farinata di Sardegna, l’Annuario delle scienze mediche di Schivardi e Pini, il Dizionario Medico del prof.Maturi, il Sunto di medicina pratica dell’illustre professore tedesco dottor Kunze, tradizione italiana del prof.Canettoli, il quale riproducendo da pag. 394 a 396 quanto io gli comunicai, conchiude con queste parole:

«Ed io raccomando ai clinici lo studio di tale malattia e di farla conoscere agli allievi: e sin da ora richiamo l’attenzione dei medici forensi, i quali potrebbero nei mesi di aprile e maggio essere consultati per dare il loro giudizio su della morte di qualche sventurato caduto vittima della zafara».

Per sofferenze cagionate dalla malattia, di cui tratto, ho raccomandato i cordiali, gli antispasmodici come il cloroformio, l’etere, il castoro: per la cefalea bagnature fredde alla testa; per la paralisi vescicale il caterismo; per la prostrazione delle forze il vino Marsala, il vermouth, i brodi, l’arrosto.

A quanti hanno speciale idiosincrasi a contrarre la zafara, raccomando lo starsene lungi dai campi, ove fiorisce la fava, e molto più di non mangiar siffatto legume verde, perché potrebbero correre pericolo di vita.

Intanto è pregiudizio condannabile il farsi, come volgarmente si dice, stagliare la zafara da certe comari: la prudenza vuole che in fatto di sofferenze corporali si richieda l’opera dell’uomo dell’arte e non si presti fede alle imposture dei cerretani.

Pria di dar fine a questo capitolo mi si permetta che di volo m’intrattenga dalle epidemie, che non hanno risparmiato il comune di Villalba, quantunque non vi abbiano trovato i favori dell’aria.

Il cholera morbus, che tanto ha funestato le contrade europee dal secondo decennio di questo secolo, fece le sue vittime in Villalba nell’anno 1837.Tutte le cautele furono prese per impedirne l’invasione, ma tutto riuscì vano.In questa funesta occasione spiccò la nobile figura di un grande personaggio, il cui esempio dovrebbe trovare imitatori fra quanti sono favoriti dalla fortuna3.

Anche al 1867 Villalba non venne risparmiata dall’indica lue, ma questa volta l’azione malefica del morbo fu meno funesta che al 1837.Io da medico rimasi sempre fermo sulla breccia ed ebbi coraggioso compagno in questa lotta, non priva di pericoli per la propria esistenza, il parroco, reverendo sac.Giuseppe Vizzini4. Il governo volle mostrare il suo gradimento per l’opera mia e di questo egregio sacerdote col decretarci una medaglia di argento come benemeriti della salute pubblica.

Nel 1877 Villalba fu visitata contemporaneamente da scarlatina, rosolia e difterite, che non pochi bambini strapparono all’affetto e alle carenze materne.E questa epidemia può dirsi una vera eccezione.

Qui non si conoscono il tifo petecchiale o addominale, il vaiuolo, la militare.

 

1Vedi l’Unione, che vide la luce nel 1874-75.

2 Cantani – Patologia e terapia del ricambio materiale.

3 Niccolò Palmieri marchese di Villalba.

Così scrive Giovanni Denti di Piraino nella sua Necrologia di Niccolò Palmieri stampata a Palermo nel 1845:

«Alla metà dell’anno 1837, segno alla inaudita sventura per la Sicilia, il colera morbus piombò su noi, spiegando tutta l’infernale potenza.» A tale epoca, in cui

 

«..............era natura

«Lo snaturarsi e non udir rimorsi

 

«l’anima rara di Niccolò non si ristrette a convertir prontamente in dispensatorio d’ogni genere di soccorso tutto il suo Castello e sino le stanze che abitava; di là si apprestarono, e con profusione, ai farmacisti del paese le droghe da lui acquistate, per i rigori del tempo, con grave rischio a dispendio dai capo-luoghi vicini, e necessarie per arrestare i progressi e la strage del flagello dominatore; di là non mancarono mai alla comune quanti cereali abbisognarono per far argine al’a generale miseria di non piccol numero di giornalieri coltivatori, privi affatto in quel tempo di lavoro.A quel Castello affluivano ogni giorno i convalescenti avvertiti dal tocco periodico di una campana per essere provvisti e nutriti di cibo confacente alla loro prostrazione».

Morì Niccolò Palmieri il 16 maggio 1844 in Villalba e la sua perdita fu lutto generale.

A ritrarre a pieno questa grande figura credo far cosa gradita il riportare le seguenti tre iscrizioni dovute all’aurea penna del compianto Gaetano Daita:

I

la benedizione del giusto

è debito alla memoria

di niccolò palmieri marchese di villalba

che ad un bel nome sortì simile il cuore

non degenere l’intelletto

si ebbe cara la sapienza santo l’amore

la patria che venerava

poichè opra più salutare non scorse

peregrinando giovò di cultura di lumi

l’agraria economia nei campi aviti introdusse

nei vicini con l’esempio diffuse

la beneficienza rese strumento di civiltà

non alimento d’inerzia

e fe’ chiaro che in questa vita di esilio

dalla pace del ritiro

è pure una missione pe’ buoni

 

nato in termine il giorno xi febbraio mdcclxv

il dì xvi maggio mdcccxliv

settantesimo quarto di sua vita

mentre l’anima sua volava all’eterno

non si turbava dun solo rimorso

 

II

quando il lustro del sangue è socio della virtù

non è peccato sociale

è gran bene per gli umani

e niccolò palmieri marchese di villalba

trasse sempre dalla grandezza

conforti a sollevar la sventura

tesori ad educare gl’indotti

non orgoglio non disprezzo

modello ai patrizi e rimprovero insieme

poiché seppe e mostrò come alle lor mani

abbia iddio affidate le dovizie e la forza

per correggere le ingiurie di fortuna.

 

III

in quella terra ove or son sei lustri

erano scarsi abituri e squallidi volti

ei sparse con l’industria l’opulenza

con la prosperità accrebbe le braccia e la vita

quando stretta la vide dai bisogni e dai morbi

non ghiesto la soccorse e salvolla

in villalba forse solo esempio fra noi

non è più sua mercè

una destra che accatti il pane

sono ivi si occhi per lacrimare

or che posano in quella terra

le reliquie del pio

cui un giorno senza benefizii

parve giorno perduto.

 

4 Si segnalarono per abnegazione il sindaco sig.Pietro Agnesi, p.Felice Cacciatore, sac.Calogero Plumeri, p.Alfonso di Raimondo, il dottore Emanuele Cipolla, il segretario comunale sig.Leopoldo Mulè Beròlo, i signori Alfonso Plumeri e Stefano Mulè Giannò.V.deliberazione consiliare del 25 settembre 1867.

 

 

XIV.

VACCINAZIONE E RIVACCINAZIONE.

 

Sin da quando fu annunziato al mondo medico la scoperta della vaccinia, è sub iudice la quistione se debba o no darsene il merito al sommo Ienner.Alcuni medici, e questi non sono pochi, credono di avere dalla storia tali prove da rimanere assodato che la vaccinazione prima di lui si conosceva non solo, ma anche era propagata.

Nondimeno, dico col prof.Pandolfini, perché Ienner ebbe il talento di trovare tutti i vantaggi, che i primi osservatori non avean fatto che indicare, così la scoverta si riconosce e si accetta per di lui fatto1.

Come vi sono stati e vi sono di quelli, che non vogliono riconoscere il merito del Ienner, vi sono anche di coloro, che combattono la vaccinazione quale causa di gravi danni alla salute pubblica.

Il periodico mensile di Roma «Il Movimento medico» sotto il titolo di Guerra alla vaccinazione annunziava che al Congresso internazionale di Berna doveva presentarsi un lavoro statistico comprovante che la mortalità dei fanciulli era diminuita in parecchi cantoni svizzeri dal tempo che si era abbandonata la vaccinazione.

Il ritenersi il vaccino un male anzi che un bene ha cagionato in molte parti una riluttanza riprovevole per questa salutare operazione.Incombe ai corpi accademici ed al governo il combattere con efficacia si falsa idea, la quale potrebbe essere causa di funeste conseguenze.

Io son lieto di constatare che qui, in Villalba, si presta cieca fiducia alla vaccinazione, e le madri di famiglia senza impulso di sorta si mostrano zelanti perché la loro prole si preservi da un male, che un tempo decimava il genere umano.

La vaccinazione fra noi è stata sempre osservata con lode e con felici risultati.Ne furono pria il compianto dottor Emanuele Cipolla e poi il dottor Giuseppe Pantaleone.Oggi questo importantissimo servizio è affidato all’opera mia.La Commissione provinciale vaccinica è là per attestare lo zelo da tutti spiegato per questo importante servizio.

Ed è per questo che in Villalba l’arabo vaiuolo non ha esercitato la sua malefica influenza.

Ove mai questo terribile male voglia far presa fra noi, raccomando la rivaccinazione generale, meno per quelli che si trovano vaccinati entro il periodo di cinque anni: la rivaccinazione è un’arma potente ed efficace a combattere e allontanare il morbo.Con dati statistici d’un valore incontestabile io ho provato alla prelodata Commissione vaccinica che la sola vaccinazione non vale sempre a preservarci per tutta la vita, constandomi per esperienza che in molti fanciulli dopo cinque anni era venuta meno l’azione preservatrice del vaccino.Il celebre Niemayer è pure per la rivaccinazione e il prof.Canettoli nella sua traduzione del Sunto di medicina pratica del Kunze a pag. 364 dice:

«Essendo controversa tuttora una si importante quistione, raccomando anch’io ai colleghi di ripetere l’esperimento dell’egregio professore Mulè-Bertòlo appoggiato dal parere emesso dal sommo clinico tedesco.»

Il dottor Cesare Musatti, or da vicino, è venuto alla conoscenza di due fatti, che dimostrano come tale immunità possa essere di durata anche minore e mette in guardia i medici affinchè in tempo di epidemia vajulosa consiglino i loro clienti a rivaccinarsi, se anche vaccinati 3 o 4 anni prima2.

 

1Pandolfini – La scienza vaccinica ridotta a sessanta proposizioni.

2Vedi il Morgagni 30 maggio 1885, pag. 352.

 

 

XV.

PREGIUDIZI POPOLARI.

 

I pregiudizi popolari meritano tutta l’attenzione del medico igienista: le loro conseguenze rie­ scono di frequente assai fatali. E noi Siciliani dovremmo essere molto grati a quell’eminente letterato, ch’è il prof. Giuseppe Pitrè, il quale, nel raccogliere ed illustrare i pregiudizi popolari dell’isola con iscopo etnografico, ha indirettamente reso un importante servizio alla scienza medica nell’interesse della salute pubblica.

Io qui parlo di quei pregiudizi, che deploro nella mia Villalba.

Vermi. Gli ossiuri, i lombricoidi ed il tenia che abitano i primi nell’intestino tenue ed il terzo in tutto il tratto del tubo digerente, sono i vermi, i quali principalmente ci vessano nell’età infantile. Essi producono sintomi diversi: prurito al naso ed al retto, vomitazioni, diarrea, colica addominale e fenomeni nervosi riflessi, e perciò le convulsioni coreiformi, epilettiche ec.

Quando i bambini son presi da queste convulsioni, le comari sono invitate per istagliare i vermi. Crocioni sull’addome e una serie di orazioni recitate con misterioso sussieguo sono i mezzi, di cui fanno uso pseudo-medichesse per liberare dal male il piccolo sofferente, il quale spesso in preda de’ sintomi su descritti vola ad accrescere il numero degli angioli del paradiso.

I vermi non sentono l’efficacia delle preghiere e le comari son buone a maneggiar fusi e rocche, spole ed arcolai.

Unienique suum! Al medico il curare gli’infermi.

Itterizia. Un individuo, divenuto giallo sia per zafara, della quale ho fatto menzione, sia per itterizia idiopatica o secondaria ad affezione epatica, va in cerca pure di chi stagli il malore.

Questa volta non è la comare, alla quale si ricorre, ma è il prete, che con la lettura del rituale deve ottenere la guarigione desiderata.

Ammetto la preghiera, ch’è il balsamo delle anime credenti, ma vorrei che il prete raccomandasse al paziente di subito adibir l’opera del medico. Spesso si dà il caso che l’infermo, sperando nell’efficacia dell’orazione, si abbandona a sè stesso e non esperimenta i rimedi, che potrebbe consigliare l’arte d’Ippocrate.

Principiis absta, sero medicina paratur, dico col poeta di Sulmona.

Serpenti. Nel mese di luglio, alquanti anni or sono, il contadino N.N. riposava tranquillamente in casa, quando si avvide di un serpe, che metteva il capo fuori dal crepaccio del muro interno. Detto fatto da di piglio alla falce e riduce in pezzi il brutto rettile.

Informata la moglie di tanto, lo rimprovera fortemente e gli mette la paura addosso. E perchè?

Il pregiudizio inculca di non uccidere i serpenti, che l’uccisore pria di chiudere gli occhi al sonno eterno deve immancabilmente provare le stesse convulsioni, sotto l’impero delle quali è morto il rettile.

Il povero contadino, che ignorava le conseguenze dell’uccisione del serpe, preso da panico si ammala. Il medico non è adibito, perchè il male non ammette rimedio, e il paziente se ne muore non so dire se al settimo o all’ottavo giorno di febbre.

L’infelice era stato in luoghi paludosi: la paura certamente dovette agire come causa occasionale della febbre intermittente.

Dalle informazioni prese, difatti risultava che la febbre invadeva ogni giorno il contadino con freddo e cessava con copioso sudore, indi, ripetendosi, assunse i caratteri di una vera perniciosa apoplettica, che toglieva la vita al credulo villano.

Il chinino avrebbe operato il miracolo, ma il medico non dovea essere richiesto de’ suoi rimedi, perchè l’uccisore dei serpenti non può salvarsi dalle convulsioni. Sic fata iubere!

Oh l’ignoranza!

E il pregiudizio, di cui si fa parola, ha tanta efficacia quanto la sola vista d’un serpente è capace di produrre gravi conseguenze a danno della salute di chi in esso si è imbattuto. Se morde, il veleno è inoculato; se gli si dà la morte, le sofferenze sopra accennate sono inevitabili!

Fattucchiera. Ecco un altro pregiudizio, che bisogna combattere a tutta oltranza e senza posa. E’ la così detta fattura e son celebri i suoi fasti: la Bonanno, o la vecchia dell’aceto, è ben nota al popolo siciliano  pel racconto popolare del simpatico Linares.

Quando la maliarda giura di vendicarsi di una donna o di un uomo, esalta talmente la fantasia di questo essere credulone da fargli perdere la salute.

Il paziente allora si rivolge agl’intercessori, promette mari e monti perchè la maliarda gli restituisca la salute, ma chi vince è l’astuta e chi perde sempre è il credenzone.

In questi casi è peggio ricorrere al medico: l’offesa sarebbe grave per la fattucchiera, la fattucchiera irritata è inesorabile e allora chi è preso di mira dalla fattucchiera è irremissibilmente perduto!

Una volta fui richiesto dell’opera mia, ma in modo riserbatissimo, da un giovane quadrilustre. Era stecchito e in tale stato di prostrazioni fisiche che lo giudicai, a prima vista, bello e spacciato. Messo a parte del suo segreto feci di tutto per sollervarne il morale, ma ad ottenere a pieno lo scopo volli a compagno un prete di buona fama e insieme durammo fatica a liberare il giovane dal pregiudizio, che lo martellava notte e giorno.

Questi, non passò guari, riacquistò la salute alla barba, credo che la frase mi si passi, alla barba di una malvagia donna, che faceva assenamente sulla dabbeneggine di gente ignorante.

Ombelico. Quando si va soggetti a colica, che si limita alla regione ombelicale, la diagnosi è bella e fatta dalle nostre donne: si tratta di ombelico caduto.

Cognito morbo, facile euratur. Fatta la diagnosi, si passa subito all’operazione, ma non è il dottore che opera: è una dottoressa, che non ha detto gli studi all’Università di Pisa, anzi non conosce lodelvolmente anco le vocali.

Lo strumento è un grande cucchiaio di legno, di caimanico s’impianta nella fossetta ombelicale e gira e gira finchè il rialzamento dell’ombelico non sia un fatto compiuto.

La giustizia punitrice ha voluto colpire una di queste dottoresse, che mandò all’altra vita una povera vecchia affetta dalla malattia, della quale si fa menzione.

Fatta l’autopsia, si constatò quanto segue: grave contusione cancrenita e lacerazione della fossetta ombelicale e peritonite diffusa con essudato purulento nella cavità addominale, cosa, che, quando l’infelice era in vita, non valsero a combattere nè larghe applicazioni di mignatte, nè cataplasmi di seme di lino, nè strofinazioni locali di belladonna, oppio ed unguento napolitano.

Oggi però sembra che la credenza dell’ombelico caduto abbia poco terreno e pochi proseliti.

Ugola. L’ugola, come tutti gli altri tessuti del nostro organismo, va soggetta a rilasciamento per flogosi processa: strisciando sulla base della lingua, eccita la tosse e promuove il vomito. Il sofferente crede di emettere uno sputo, ma non caccia mucco di sorta e si sente di nuovo impacciato nella gola. Son questi i sintomi, che accennano al rilasciamento dell’ugola.

Non mancano le solite medichesse, che per altro fan bene la diagnosi della malattia, ma quanto al metodo di cura son di ben altro avviso che quello consigliato dall’arte ippocratica. Esse non ammettono i gargarismi tonico-astringenti o lievi toccate locali di nitrato di argento; ma fregamento di saliva nella parte posteriore dell’articolazione cubito-radio-carpica dell’uno e dell’altro braccio (tuli) e tiratura di capelli dal centro della zucca.

Ma, care le mie dottoresse, quale relazione esiste trail braccio e l’ugola? tra i capelli e l’ugola? quali i risultati del vostro rimedio?

Mi auguro che questo pregiudizio sia tolto via, mandandosi a spasso le dottoresse, che mettono a profitto l’ignoranza della gente dabbene. Credere a tali sciocchezze è un’onta al progresso dei nostri tempi.

Erpetismo. Alcuni individui, di diatesi erpetica, soffrono di frequente usciture cutanee, le quali si mostrano nel mento e qualche volte negli arti superiori e inferiori: ebbene, questi tumoretti, che, aprendosi, si convertono in piaghettine, sono per la gente del volgo vermi ambulanti.

Vi ha delle donne dotate della virtù di farli sparire ed eccone il modo: ungono di saliva, fatta a stomaco digiuno, il pollice ed eseguono fregamenti sull’eruzione erpetica, mormorando non so quale preghiera. Questa operazione si ripete per tre mattine e il verme è stagliato.

Intanto il male prosiegue ed il sofferente riconosce necessaria l’opera del medico.

Ma santo Iddio! Quando il popolino farà senno, dando l’ostracismo a tutte coteste fandonie che sballano impostori e truffatori?

In casi di simili sofferenze non si omettano le cure antierpetiche come i bagni termali, i preparati arsenicali, di zolfo, e si acquisti una bottiglia dello sciroppo di pariglina del prof. Mazzolini. Non vi scoraggi la spesa, che per altro non è tanto vistosa, ricordandovi del proverbio toscano: Chi ha la sanità, è ricco e non lo sa.

Cholera-morbus. Il più strano pregiudizio domina le masse popolari d’ogni città, d’ogni comune e d’ogni borgo. Pregiudizio fatale, che ha cagionato gravi e funeste conseguenze. Gli annali siciliani ci raccontano le tristi scene, che si deplorarono nel 1837, specie a Palermo e a Siracusa, dove la plebe abbrutita commise eccessi, che sembrano incredibili. E’ credenza generale che il cholera, questo tremendo flagello del genere umano che

 

dagl’Indi estremi

Avvicinossi all’Italo giardino1

e che il Koch vuole prodotto dal bacillo, non sia che veleno sparso per ordine del governo a fine di decimare i popoli e che lo spargimento avvenga per mezzo dei magistrati locali posti di accordo con l’autorità ecclesiastica.

Nel mese di luglio del 1884 pubblicai nel giornale napolitano d’igiene “La Preventiva anno 1°, fascicolo 4°” un articolo, col quale richiamava l’attenzione del governo su cotesto pregiudizio, proponendo delle conferenze popolari da tenersi da scienziati, maestri di scuola, ufficiali dell’esercito ec. Inoltre faceva voti che le autorità ecclesiastiche, alle quali non fa difetto la dottrina, concorrano con la loro influente parola a illuminare le masse, combattendo un errore, le cui conseguenze non possono essere che funeste. Le mie proposte furono bene accolte dalla stampa in generale, e diari politici e giornali medici riprodussero il mio articolo.

Quando nel 1884 il cholera coinvolgeva nel lutto e nella miseria la bella città di Napoli, quanto non valse, ad avvivare presso le classi infime la fede nella scienza e nel governo, quel Cardinale, quel S. Felice, che rimarrà modello di carità cristiana, tipo dei veri coltivatori della vigna del Signore?

Il Clero potrebbe essere di grande giovamento in questa campagna da combattersi contro il pregiudizio, che nel cholera vede e tocca il veleno sparso nell’aria dalla mano dell’uomo.

La scienza assicura che non è l’aria il veicolo di questo fatale morbo, ma sono l’acqua e i cibi, che introducono nel nostro organismo i così detti microbi.

La scienza finora non conosce veleno, che possa rendere micidiale l’aria d’un quartiere, d’una città, d’una isola, d’un regno e che possa produrre sintomi simili a quelli prodotti dal cholera.

E data l’esistenza del voluto veleno, quale enorme quantità non si richiederebbe per decimare scelleratamente i popoli?Ma nessuno degl’infami propagatori, morso dalla coscienza, ha fatto mai palese di terribile segreto? E sì che cotesti propagatori ovrebbero essere a migliaia!

E data la certezza del voluto veleno, a che pro tanti studi, tanti sudori, tante ricerche, tante di­ scussioni da parte degli uomini della scienza? All’infamia vorrebbesi aggiungere anche l’ipocrisia, la mistificazione, lo scherno? E governo, e scienziati, e magistrati ed autorità ecclesiastiche di tutte le nazioni essere così concordi nell’assassinare i popoli e nel canzonarli per sipprassello?

Al govern borbonico si negava ogni sentimento di umanità e lo si credeva capace d’ogni nefanda azione, anche capace di spargere e propagare il veleno. E gli si attribuiva come scopo di tanta scelleratezza la decimazione dei popoli pel timore che questi aumentati, insorgendo, potessero scuotere il trono. E togliendo ad una popolazione di otto milioni un paio di centinaia di mila individui, non tutti giovani baldi, non tutti di sentimenti rivoluzionari, il trono forse rimaneva saldo.

Ma il governo d’Italia di qual movente è animato a commettere tanto eccidio? L’interesse del trono?Ma se il governo siamo noi, se il governo è il popolo, che elegge i suoi rappresentanti? C’è la legge di successione, che spinge il governo a ricorrere al veleno! Ma se le vittime del cholera si contano nella classe meno agiata, fra coloro che vivono di stenti? Con un governo rappresentativo, sotto il quale i partiti sono, direi, un bisogno, una necessità dell’essenza delle cose, la propagazione del veleno per mano dell’uomo è un impossibile: sarebbe questa un’arma potente, di cui si servirebbe un partito di minoranza per atterrare il partito dominante.E in politica ogni mezzo è buono, perchè la politica per lo più è la negazione di ogni morale.

Ma allora perchè, prima che una città, un comune, un borgo sia invaso dall’indica lue, si preparano i lazzaretti, si aumenta il numero dei becchini, si raddoppia di vigilaza per l’annona, si ordina una pulitezza, alla quale non si è mai pensato, si provvedono le farmacie di medicamenti, cominciano le così dette disinfestazioni? Non è questo un conoscere con precedenza che il terribile veleno sarà sparso quanto prima?

Estate parati!

E’ l’igiene, che prescrive quanto sopra è accennato, e l’igiene è un formidabile nemico del cholera: gli combatte il terreno palmo a palmo. E’ all’igiene che si deve essere riconoscenti, se il morbo non ha mai potuto spiegare tutta la sua malefica azione.

E quei, che sono esatti esecutori delle prescrizioni igieniche, meritano gratitudine.

Un medico, che, miando a salvare i fanciulli dalla scarlatina, o dalla difterite, ecc., consiglia la palitezza delle case, la disinfezione e il segregamento dei sani dagli affetti del morbo, vuole forse la propagazione del male, o ne vuole diminuire l’efficacia?E’ meritevole di biasimo o della più viva riconoscenza?

E i magistrati, che sopraintendono alla cosa pubblica, nel timore di un’invasione cholerica o durante l’invasione, non fanno senza nè più ne meno quello che fa il medico in una epidemia di difterite, di scarlatina ec.? Son essi meritevoli di biasimo o della più viva riconoscenza?

Il generale Garibaldi, del cui affetto verso il popolo nessuno ha menomamente dubitato, scriveva al signor Coppola in Catania, durante l’invasione cholerica del 1867, la seguente lettera:

 

Mio caro Coppola

Sono addolorato della situazione infelice, in cui si trova cotesto carissimo popolo di Catania.

Io amo il popolo della Sicilia con affetto di figlio, di fratello e son superbo del convincimento ch’esso non può temere inganno da parte mia.

Dite alle afflitte nostre popolazioni che il cholera è flagello indipendente dalla volontà umana e che non è dato a nessuna creatura di spargerlo e propagarlo.

Giuseppe Garibaldi

 

Se l’eroe di Caprera fu un leone contro gli oppressori, che non sarebbe stato contro gli avvelenatori del suo popolo?

Il popolo villalbese è un popolo intelligente e di buon senso e vorrà senza dubbio prestar fede alle parole di chi gli ha dato sempre prove di affetto ed oggi ripete col cittadino dell’umanità:Il cholera non è flagello dipendente dalla volontà umana e non è dato a nessuna creatura di spargerlo e propagarlo.

Aurora Boreale - Dragone. Ecco due fenomeni fisici, che creano due pregiudizi popolari. La comparsa di queste due meteore mette ai nostri contadini proprio la paura addosso: ho visto uomini maturi, alla presenza di cotesti fenomeni, non aver membri che tenessero fermi e diventar bianchi nel volto come cencio lavato; donne rimaner preda di vertigine; altre restar prese da convulsione; altre in istato interessante perdere il frutto del loro amore.

 

Non è prudenza

Ma follìa dei mortali

L’arte crudel di presagirsi i mali.

 

Nell’aurora boreale, in questo imponente e stupendo spettacolo, che di tanto in tanto ci offre la natura, vedono l’ira di Dio, il finimondo; mentre l’uomo culto, preso da indicibile compiacenza, contempla il fenomeno come una delle tante forme, sotto le quali si presenta il sublime.

Nel dragone, in dialetto dragunera, vedono il genio della devastazione, e tanto torto per questo non può darsi ai nostri contadini, perchè il dragone è una tromba d’acqua, la quale si scarica a secchie sulla terra ed è capace di devastare gravemente quei luoghi, sui quali si spiega l’azione del fenomeno. Il pregiudizio non ista in questa credenza, ma nel ritenere che si possa scongiurare il pericolo col tagliare il fenomeno con una falce brandita da un mancino, il quale, roteando parecchie volte lo strumento, recita una orazione propria del caso. Così solamente e con certezza il mostro, i contadini credono, si allontana e sparisce e il danno temono non avviene.

Smettano i contadini villalbesi da coteste sciocchezze: la falce nulla ha da fare col dragone, il quale soltanto si risolve dopo essersi sgravato dell’acqua, che contiene, e questo ha luogo con procedimento fisico non influenzato nè dalla falce, nè dall’orazione dell’uomo mancino.

 

 


1 Borghi Giuseppe - Il cholera-morbus - Terzine.

 

 

 

XVI.

VISITE E LUTTO.

 

In questo capitolo non si parla di pregiudizi condannati dall’igiene, ma di usi prescritti da un malinteso galateo e che direttamente dan di cozzo a certe regole igieniche.Io parlo delle visite, che si fanno agli ammalati, e del lutto, che si osserva per ben tre giorni per morte avvenuta.

Io vorrei adoperare tutte le mie forze per vedere una volta caduti indisuso le visite e il lutto.

L’infermo, perché sofferente, ama la quiete e il riposo; sente il bisogno di respirare aria libera; deve liberamente compiere gli atti fisiologici.Ma le visite frequenti e numerose gli negano la quiete, gli disturbano il riposo, ne viziano l’aria di carbonio, non gli permettono di agire con quella libertà, che egli è tanto necessaria.

Il medico è il confidente degli ammalati.Ed io so quanto questi imprechino agl’importuni visitatori ed io so d’infermi ritrosi, che sono andati incontro a paralisi vescicale per non avere avuto la franchezza di dire ai loro visitatori: Lasciatemi libero perché ho da soddisfare un urgente bisogno.

Gli ammalati amano le visite, ma quando non si trovano sotto il dominio delle sofferenze, ma quando possono essere moralmente sollevati, ma quando possono prender parte ai discorsi e alle conversazioni.

Se avete realmente cara la salute degli amici e dei parenti, lasciateli in pace, quando li sapete in preda di sofferenze.È il migliore e il più gradito riguardo, che essi pretendono da voi.

Lutto per tre giorni vale tormento dei parenti superstiti per tre giorni.

Avvenuta la morte, i superstiti, sfogato il primo dolore, se ne stanno a casa vestiti a nero, le donne per soprassello con gramaglia sul capo.Piantati sur una sedia sembrano tante statue: gli amici, gli affini, i semplici conoscenti non ti lasciano un istante soli, popolando le stanze, la cui aria, pregna di carbonio e riscaldata oltre modo, ci mette le smanie addosso.I discorsi quasi sempre si aggirano sulle fattezze dell’estinto, sulle sue virtù, sulle sue qualità: si parla delle esequie fatte alla salma, dell’accompagnamento all’ultima dimora e di cose simili.

E questo si ripete per tre giorni da mane a sera.

Or ditemi, se questo non è il tormento, molto più quando si è usciti da una lotta combattuta per lasciare in vita l’estinto, lotta che spesso ha negato agli assistenti riposo e nutrizione per molti giorni e ne ha gravemente afflitto l’animo.

Questa usanza è la negazione d’ogni perfetta igiene, perché mentre si crede di fare un omaggio alla memoria dei trapassati, dei quali si deplora la perdita, dall’altra parte si danneggia la salute dei superstiti, che hanno bisogno di essere refocillati col riposo e con l’essere lasciati liberi a dare sfogo al dolore.L’assistenza di questi, in momenti sì gravi, si affidi alla cura di intimi amici.

Quando alle visite, che inopportunamente si fanno agli ammalati, e alle visite per lutto saranno sostituiti i viglietti, diciamoli pure, di visita, Villalba potrà dubbio pretendere al titolo di comune civile.

 

 

XVII.

CONCLUSIONE E DESIDERII.

 

La medicina, oltre al dovere di combattere le malattie, ha l’obbligo, come dice il prof. Perkins, di fare applicare al popolo i precetti dell’igiene.Convinto che la medicina preventiva ha forse maggiore efficacia della medicina curativa ho divisato di scrivere queste pagine, che potranno tornare utili ai miei concittadini.

Non ho certamente scritto per la gente culta, la quale potrebbe con maggior profitto leggere il libro del professore Maggiorani «Sulla necessità d’istituire regolarmente le cure preventive e sul dovrere che corre al medico d’inculcarle;» l’almanacco popolare del professore Mantegazza dal titolo «L’arte di non ammalarsi; il Trattato di climatologia e d’igiene del professore Fazio; in fine il giornale «La Preventiva» diretto dal chiarissimo prof. Franco con molto plauso degli uomini dell’arte ippocratica.

Da questo pregevolissimo giornale mi piace riportare le parole del prof. Murvì dettate evidentemente per dar conforto ai medici di campagna a durar fatica di buon animo a pro dell’umanità sofferente.

Eccole:

«Onore agli eletti! Non noi della città, non noi delle cattedre, non noi dalle misere croci, sarete voi l’aristocrazia legittima della nostra classe.Se noi rimarremmo cultori d’una delle scienze più attraenti, qualcuno di voi, che messo alla dura prova saprà toccare quell’altezza morale, sentirà in sè stesso non solo il preservatore della salute e il salvatore della vita dei propri simili, ma anche lo scienziato, l’amico degli afflitti, l’educatore delle plebi, il precursore d’idee che debbono avviare la società verso destini migliori, l’esempio di quella virtù ch’è compenso a sè stessa.

«E se un giorno verrà, in cui uno sdegno sublime farà sperdere per sempre tanta sozzura di archi, di statue e di tombe, che allestano la viltà umana dinanzi alla boria degli egoisti, alla malvagità dei potenti e alla fortuna dei viziosi, sorgerà, per non cadere mai più, un tempio santificato dalla virtù, nel quale i popoli riconoscenti assegneranno uno dei primi posti di onore a questo eroe moderno, che è il medico di campagna, consapevole e degno della sua funzione civilizzatrice.»

Parole di balsamo e di conforto pel medico di campagna, la cui vita è un tessuto di sagrifizi e di opere benefiche e caritatevoli, non mai degnamente ricompensate.

Per questo martire del proprio dovere scrissi, è parecchio tempo, il sonetto, che qui trascrivo non per forma, la quale è veramente povera, ma per il concetto informatore del vero:

 

LA SORTE DEL MEDICO

E dopo molti studi e tanti guai

Contento riede a casa il buon dottore.

Crede trovar quiete, in vece assai

Fatiche trova e affanni in tutte l’ore.

 

V’ha chi lo biasma, è risaputo omai,

E v’ha pur chi ne loda il gran valore:

Nel dargli noia non si cessa mai,

 Ma niun compenso trova il suo sudore

 

S’alza di buon mattin; se tarda un’ora,

Si manda il buon dottore alla malora:

Se lunga scrive la ricetta, è male,

 

Anzi l’accordo c’è con lo speziale;

Se l’ammalato muore, egli è un somaro;

Ma se guarisce, gloria a san Gennaro!

 

Ed ora alla conclusione di questo qualunque siasi mio lavoretto.

La salute in Villalba si gode perfetta a miglorarne vie più le condizioni bisogna remuovere dall’abitato i letamai; istituirsi un regolare servizio di polizia; popolare di piante i terreni contigui al comune; alberare almeno la strada denominata della Chiesa; costruire fuori le mura una casa mortuaria anche per l’osservazione dei cadaveri e per gli studi necroscopici nell’interesse della scienza o della giustizia punitrice; far sorgere entro il recinto del cimitero quelle piante, che valgano ad assorbire i miasmi, purificandone l’aria; impedirsi che abbiano luogo entro il comune il macello come i salassi e le operazioni del fuoco su gli animali domestici; condannarsi le visite per malattie e i tre giorni di lutto; curare con regolamento edilizio la nettezza delle case di abitazione, facendo opera che venga meno quel grave inconveniente di vedere il letto della povera gente a fianco del porcile, del pollaio e della stalla; intendere ad arricchire il comune dell’acqua dello Scifazzo.

L’ingegno a Villaba sta come a casa tua e l’istruzione elementare non fa difetto, ma è uopo di essere queste vie più incoraggiata; che si pensi subito a costruire un edifizio scolastico, giusta quanto è prescritto dall’igiene e dai regolamenti governativi; che in fine la Biblioteca circolante sia arricchita di libri giudicati eccellenti per la cultura della mente e del cuore.

Il popolo villalbese è laborioso, ma povero.A migliorarne le condizioni fa mestieri che sieno censite le terre dei feudi vicini; che sia elargato il territorio consistente nel solo già feudo Miccichè; che il Monte frumentario e il Monte dei pegni siano convertiti in Banca agraria.

Municipio e cittadini facciano a gara per l’immegliamento della nostra terra natale: quanto sopra è accennato sia il nostro programma comune.

Il magnifico, dice il D’Azeglio, è poi riuscire, e per riuscire l’essenziale è il non perder mai nè la mira, nè la perseveranza.

Se sventuratamente, dico col prof. Franco, venisse meno qualunque appoggio alle mie proposte e la mia iniziativa fallisse, pronunzierei con rammarico, ma senza ira, nè vergogna, innanzi all’altare della patria, il motto «feei quod potui!»

 

FINE

 

Villalba