Approfondimenti: Il gioco della mosca

La concessione del telefono

Il gioco della mosca è stato pubblicato per la prima volta nel 1995.
Camilleri definisce il contenuto del libro "una muzziata", che io, con il
suo aiuto, traduco come "mescolanza di cose appartenenti allo stesso
genere, di diversa importanza, ma messe sullo stesso piano". Che cosa
significhi "muzziata" in senso stretto, lo si cerchi nell'episodio che la
riguarda.
Il libro disegna attraverso il ricordo, che è sempre ridente come di colui
che rammenta ma non rimpiange, i costumi di una gente, gli abitanti di
Porto Empedocle, e poiché anche l'autore è uno di loro, troviamo variamente
disperse notizie che lo riguardano, esperienze vissute in prima persona.
Non è un diario, non è la storia di un paese; sono flash, di carattere
storico, sociale e psicologico. Ogni episodio potrebbe vivere ed essere
letto indipendentemente dagli altri, ma l'insieme giova a ciascuno di essi.
Camilleri le definisce storie cellulari. Ognuna potrebbe essere lo spunto
per una commedia o un film; mi viene in mente Kaos dei fratelli Taviani.
Il libello è di lettura piacevole, ma rivolto a un lettore non
superficiale, interessato a cogliere tutti i risvolti che trasformano le
storielle raccontate in veri e propri documenti di vita; banalizzarlo
attraverso una lettura meccanica significa privarsi del piacere e delle
conoscenze cui permette di accedere.
Il titolo è ripreso da quello di una delle storie, U iocu da musca; un
gioco che lo scrittore fece per molti anni da ragazzo, che poteva durare
ore durante le quali si era costretti al silenzio per non disturbare
l'arrivo di una mosca su uno dei ventini che ciascun ragazzo disponeva
secondo regole precise e su cui abbondantemente sputava. Durante queste ore
di silenzi, che ciascuno dei giocatori riempiva a modo suo e in cui
Camilleri si raccontava storie vere e inventate, si decise il suo destino
di regista e scrittore.
Se è vero che il lettore non si deve lasciar "ingannare dall'ordine
alfabetico col quale queste pagine si organizzano", possiamo sconvolgere le
varie sequenze e riordinare per argomento le osservazioni che l'autore va
facendo. L'ordine degli argomenti è interscambiabile.


La famiglia Camilleri
Il bisnonno materno, Giuseppe, possedeva una villa fuori paese, con
biliardi, carrozze, cappella consacrata, una "passeggiata" di 500 metri
sormontata da archi in ferro coperti da roselline bianche. Quando Camilleri
raggiunse l'età della ragione, la villa era già in decadenza, la sua
famiglia era stata travolta nella rovina economica assieme ai Pirandello. E
poiché sappiamo che il tracollo finanziario dei Pirandello risale al 1903,
quando la loro miniera di zolfo si allagò improvvisamente, possiamo
ascrivere a questa data anche quello del bisnonno di Camilleri, che
chiaramente si occupava anche lui di zolfo. Apparteneva dunque la famiglia
materna di Camilleri a quella borghesia che, dopo l'unione al Regno
d'Italia, era destinata a governare la Sicilia.
Anche il nonno, non ci dice se materno o paterno, si occupava di commercio
di zolfi e ai suoi lavoranti dava da mangiare la caponatina, che a quei
tempi era la "calatina" tipica di chi andava a lavorare alle dipendenze di
qualcuno. (vedi Un filo di fumo).
La nonna, che viveva in casa, presumibilmente dopo la morte del nonno, gli
raccontava le burle, le prese in giro, gli scherzi che venivano fatti in
paese.
Ha anche uno zì Totò, uomo imponente, che parla come un oracolo, lavora
alle ferrovie e ha fama di uomo saggio.
A sei anni Camilleri si domanda perché presso la pensione di Eva non c'è lo
stesso movimento diurno che caratterizza invece l'altra pensione del paese;
i compagni, figli di pescatori, gli spiegano a loro modo che la pensione di
Eva è una casa di tolleranza, ma lui recepisce solo che dentro quella casa
si affittano femmine nude; il padre a sua volta aggiunge il particolare che
le si affitta per "taliarle". Qualche mese dopo, avendo fatto il gioco del
dottore con la cuginetta, invidia quegli uomini che da Eva possono guardare
le donne con tutta calma.

Il ragazzino sapeva pensare e riflettere e se ammazzava le lucertole e
vivisezionava i grilli, come tutto il sesso maschile fa in giovane età,
provava poi un forte rimorso e cercava, chissà come, di rimediare.
Aveva sette o otto anni (1932 o 1933) quando avvenne il suo primo e ultimo
incontro con Pirandello, che era stato invitato all'inaugurazione delle
scuole , di cui aveva dettato la lapide nel 1911,e che erano state in
seguito ampliate. Un pomeriggio, mentre tutta la famiglia dormiva e lui
stava leggendo, Pirandello si presentò a casa sua per salutare la nonna.
Pirandello aveva allora sessantasei anni, più o meno, essendo nato nel
1867, ma a Camilleri apparve come un vecchio gigantesco e anche a causa
della sua divisa da accademico d'Italia incusse un senso di paura, che
divenne terrore davanti alle reazioni della nonna e dei genitori che, alla
notizia, si precipitarono giù dal letto. Così andò a nascondersi sotto lo
"scagno" del padre, si tappò le orecchie, chiuse gli occhi e soffocò i
singhiozzi. La paura per quell'uomo "scantasu" restò nel tempo legata al
nome di Luigi Pirandello, tanto è vero che, quando la famiglia Camilleri
apprese dai giornali della sua morte, Andrea provò un senso di sollievo. Fu
in seguito legato da una "silenziosa amicizia" a Fausto Pirandello. Anche
come regista Camilleri cominciò tardi a mettere in scena le opere di
Pirandello, ma ci provò tanto interesse che si trovò "invischiato nelle
altre come una mosca nella carta moschicida"
Quando ebbe dieci anni ci fu la guerra di Abissinia e lui fece domanda di
volontariato, ricevendone una lettera di elogio da parte di Mussolini,
consegnatagli da Innocenzo Pirandello, fratello di Luigi e presidente
locale dell'Opera nazionale balilla; Innocenzo era più giovane di Luigi di
cinque anni e si era assunto gli obblighi militari al posto del fratello.
Attorno agli anni '30, dice Camilleri, quando frequentava il ginnasio (e
allora io sposterei la data alla seconda metà degli anni '30, dal momento
che il ginnasio seguiva i cinque anni di elementari), il "panellaro" si
piazzava vicino all'ingresso della scuola e vendeva le panelle bollenti,
ovvero un panino imbottito di frittura di pasta di ceci.
Il giovane Camilleri frequentava l'unico cinematografo del paese, il cinema
Mezzano, dove gli spettatori, se non gradivano un film, urlando ne
interrompevano la proiezione e il proprietario lo sostituiva con una
pellicola di riserva. In questo modo vide tre o quattro volte "La vedova
allegra". Camilleri considera la sua esperienza al Mezzano la miglior
scuola di spettacolo che abbia seguito.
A quei tempi l'amore era fatto di lunghi sguardi intensi e così fu anche
quello dello scrittore quindicenne  per una coetanea, davanti alla quale fu
vittima di uno "sfunnapiedi" organizzatogli da amici, che fece ridere la
ragazzina della stessa risata che ritrovò in lei, ormai nonna,
cinquant'anni dopo.
Durante lo sbarco degli alleati in Sicilia era a Serradifalco, dove i
tedeschi avevano allestito una linea di resistenza. Viveva, con una
trentina di persone, nelle cantine di una villa di una sua zia e avevano da
mangiare solo fave secche. Ogni tanto uscivano, sfidando i bombardamenti, e
barattavano vino per qualche scatoletta di cibo. Dalla radio appresero la
caduta del fascismo. Vide il generale Patton sradicare  e spezzare una
croce messa là dove era stato ucciso un soldato tedesco; considerò la cosa
"fitusa", amorale e per sempre nella sua mente Patton rimase legato a
questo gesto indegno.
Nelle prime libere elezioni del 1946 Camilleri e i compaesani andarono a
tutti i comizi, senza distinzione di colore politico; mancò, perché malato,
al comizio del futuro Presidente della Repubblica, di cui un suo amico
ammirò l'oratoria, ma che giudicò "scrusciu di carta e cubbàita nenti",
vale a dire tanta apparenza e poca sostanza.
Nel dopoguerra il padre divenne uno dei direttori di una grossa azienda che
si occupava dei trasporti di uomini e cose.
A un'età non precisata con l'autista e il padre partì per Palermo in
automobile, ma a un certo punto del tragitto scoppiò un pneumatico,
l'automobile sbandò e si mise in bilico su uno strapiombo di circa ottanta
metri; dopo un'ora trascorsa senza "far musione" alcuna, giacchè
l'automobile era in bilico, furono tratti in salvo da un camionista.

Trascorse la notte antecedente il suo matrimonio sveglio, in preda al
panico, perché non sapeva se sarebbe stato in grado di mantenere gli
obblighi che il matrimonio comportava. Chiaramente ci riuscì, perché in una
recente intervista afferma che il vero successo della sua vita è stato aver
messo su famiglia con una donna che dopo quarant'anni sposerebbe ancora.
Il 29 settembre 1989 si trovò al centro di una strage con sei morti e
altrettanti feriti, uomini e donne, vecchi e giovani, innocenti e
malavitosi. Nell'intervista già nominata ritorna su questo momento della
sua vita e racconta che un conoscente incontrato in un bar lo stava
precedendo verso un tavolo all'aperto quando si scatenò l'inferno: fiamme,
vetri e sangue.


Passato remoto e passato prossimo
Porto Empedocle in passato aveva nome "Molo di Girgenti", dove per Girgenti
si intendeva Agrigento. Agrigento ebbe vari nomi: gli Arabi la chiamarono
KerKent, i Romani Agrigentum, i Greci Akragas, i Normanni Girgenti; e tale
restò il suo nome finchè Mussolini non volle che assumesse il nome romano.
Il 10 luglio 1831 Giovanni Corrao, comandante della Teresina assistette
terrorizzato a un fenomeno tellurico che avvenne al largo di Sciacca e che
diede origine all'isola Ferdinandea, sprofondata, con la stessa
tempestività con cui apparve, dopo pochi mesi. Quest'episodio è raccontato,
romanzato, anche in "Un filo di fumo". Come conseguenza si ebbe la
formazione di una barriera di scogli, che divenne un pericolo per le barche
dei pescatori e contro la quale in Un filo di fumo Camilleri fa incagliare
la nave russa.
Gli abitanti di Porto Empedocle si chiamano empedoclini o marinisi
La situazione dei braccianti agricoli a fine '800 era tale che, terminato
un lavoro, era terminato qualsiasi lavoro per tutta la stagione e davanti a
loro si aprivano mesi di gravi ristrettezze; era gente lacera, poverissima,
scalza.
Che il cibo non fosse abbondante o almeno non lo fosse per tutti viene
ripetuto in varie occasioni. Camilleri ricorda "calatine" costituite da un
uovo sodo infilato in bocca e riestratto integro in modo da dare alla
lingua e al palato solo un leggero sapore; oppure una sarda salata leccata
tra un boccone e l'altro. Anche di questo argomento si parla
abbondantemente in Un filo di fumo.
Il nonno dava come calatina ai suoi lavoranti la caponatina. Un altro tipo
di calatina era il "macco", ovvero passato di fave sgusciate, che doveva
essere condito con olio per non essere secco, ma, dice Camilleri, ci
vollero rivolte contadine perché il padrone facesse sul macco la "croce
d'olio", che erano poi una ventina di gocce di olio.
Sempre sul finire del secolo scorso erano i bancarellari della festa di san
Calogero a portare in paese le "novità", che venivano rifiutate in nome
della tradizione; chi, spinto dalla curiosità ne acquistava una (come la
scatola di latta contenente conserva di pomodoro comperata da Brasi
Fradella) non sapeva come utilizzarla e finiva per considerarla come
qualche cosa di diabolico.
Ai tempi della giovinezza di Camilleri i bancarellari vendevano la
"cubbàita", dolce di mandorle tostate e miele cotto, il gelato di campagna,
coloratissimo impasto di zucchero, "càlia e simenza", cioè ceci e semi
abbrustoliti; questi ultimi favoriscono la meditazione del commissario
Montalbano.
C'era una locanda sola, frequentata da commessi viaggiatori e da marinai di
passaggio. Ma esisteva anche "a pinsioni Eva", che era una casa di
tolleranza.
Tre giorni dopo la dichiarazione di guerra del '40, quattro aerei francesi
sorvolarono il paese e lo bombardarono. La miseria aumentò per tutti. Nel
1943 dopo lo sbarco degli americani in Sicilia, essendoci carenza di ogni
cosa e anche di vestiario, le camicie, così come gli indumenti intimi
venivano confezionati con seta ricavata dai paracadute.
Tutti o quasi i marinisi avevano nomignoli o soprannomi, definiti
"ngiurie".
La nascita di una figlia femmina era una disgrazia, perché la donna non
poteva essere utilizzata in campagna per lavori pesanti e non portava soldi
a casa, perché non si ammetteva che lavorasse autonomamente; per di più, se
si sposava, sottraeva alla famiglia i soldi della dote. Era comunque un
problema anche nelle famiglie ricche, questa volta per questioni
ereditarie; poteva però servire come merce di scambio in matrimoni di
interesse.
Tutt'oggi il senso dell'ospitalità è sacro; se qualcuno ti viene a trovare,
devi accoglierlo con gentilezza; in caso contrario ci si deve aspettare il
"rinfaccio", di essere cioè contraccambiati con la medesima moneta. A
questo proposito Camilleri osserva che sempre più spesso non si rispettano
le leggi dell'ospitalità; basta pensare ai cosiddetti pentiti politici, che
tradiscono coloro che sono stati compagni di delitti ma anche di vita.
L'amicizia è fatta di dedizione reciproca e, proprio perché tale, basta un
nonnulla perché uno dei due si senta tradito.
Frequente è l'abitudine di "ittari na filama", lanciare una calunnia (di
cornuto, di iettatore, di malpagatore); non si sa mai chi la lancia per
primo, perché viene alla luce quando si è arricchita a tal punto che chi ne
è fatto oggetto comincia a notare un cambiamento nell'atteggiamento della
gente che lo circonda, improvvisi silenzi, occhiate di traverso, gesti
lasciati a metà.
I marinisi e i siciliani in genere hanno sviluppato un sistema di
comunicazione in cui non è necessario usare le parole, basta guardarsi.
Forse perché sono stati soggetti a continue dominazioni, dai greci alla
mafia, non si fidano delle parole.
L'imbroglio, la menzogna, l'equivoco, il gioco sono alla base del modo di
vivere quotidiano; non c'è cattiveria in senso proprio; a volte si vuol far
bella figura ,a volte si vuol cercare di divertirsi per tollerare una
situazione difficile, a volte si vuole giocare solo per giocare; spesso
l'equivoco nasce senza che uno lo voglia, come nel caso della guardia
scelta Agatino, che non conoscendo i connotati della "buttana di Sciacca"
si rivolge a tutte le donne che sbarcano e subisce le reazioni manesche dei
vari accompagnatori. A volte c'è malizia: il padre di cinque figli piccoli
va in giro raccontando che si toglie il pane di bocca per darlo ai suoi  e
invece, inventando un gioco che diverte i bambini, si mangia tutti i tuorli
delle loro uova. A volte l'equivoco è solo verbale, come in tanti romanzi
di Camilleri: per Franca, moglie recente di un suo zio e settentrionale,
"moviti" corrisponde regolarmente a "muoviti" e non a "sta ferma", come in
certi casi significa invece in siciliano.
Una volta è Camilleri stesso, ancora bambino, a male interpretare un modo
di dire del posto, "tiniri u mortu dintra u ripostu" (essere in attesa
dell'eredità di una persona vicina a morire) e si rifiuta, benchè battuto
sulle dita, di andare nel "riposto" a prendersi qualcosa da mangiare.
A volte però si giocano scherzi crudeli. Come il medico, che fa credere al
cavalier Taìno di essere ricercato dagli americani (siamo nel 1943,
l'indomani dello sbarco) e lo convince a scappare dopo avergli insegnato a
camminare zoppo, a fingere di esser cieco e di avere una mano paralizzata.
Come don Carlo Martullo, che convince un gruppo di poveri braccianti che
sulla nave russa attraccata al largo c'è bisogno del loro lavoro per
coltivare la verdura e la frutta che il governo russo avrebbe piantato
sulla nave stessa perché i marinai possano mangiare roba fresca.
Anche nel modo di accogliere qualcuno, nel senso dell'ospitalità, c'è una
buona dose di teatralità; e infatti si dice "fari facci", fare faccia.
Camilleri ci racconta l'episodio di quella futura deputata di sinistra, che
nel dopoguerra, in un paese vicino al suo, viene accolta da trecento
persone con bandiere rosse solo perché il capomafia locale, appartenente a
un partito di destra, decide di "fari facci" a "sta picciotta forastera".
Anche nella realtà esiste lo "scangio", che sta alla base di tante
situazioni inventate da Camilleri nei suoi libri. Ricordiamo l'episodio che
ha come protagonista Peppi Gancitano, un tragediatore, che si divertiva, il
sabato, a fingersi un turista inglese, che aveva perso la strada e si
faceva ospitare ora da una famiglia ora da un'altra, finchè il gioco non
venne scoperto. Ma a subire le conseguenze della ritorsione organizzata a
suo danno fu un inglese che veramente si era perso tra i templi. La
situazione umoristica che si genera culmina nel fatto che l'inglese pensa
che il trattamento subito (prima buona accoglienza, poi, nel pieno della
notte, imprecazioni e botte) sia un antichissimo rito di ospitalità
contadina.
E vero tiatru è quello dell'Opera dei pupi, con Orlando e Rinaldo che
combattono in modo feroce ma leale, e nel quale gli spettatori diventano
anche attori nel momento in cui i sostenitori di Orlando lanciano il
coltello a Rinaldo; perché nella vita si deve vincere si, ma combattendo ad
armi pari.
La Passione di Cristo è oggetto di una rappresentazione popolare in
dialetto, chiamata "mortorio".
Insomma ovunque si trova l'occasione per "fari tiatru"; persino il
venditore di cappelli del paese sa trasformare la vendita di una coppola in
uno show.
Alcune note distintive dei marinisi emergono nel libro dalla presentazione
diretta di personaggi, a ciascuno dei quali Camilleri dedica poche righe,
ma che restano nella memoria, perché sono fortemente caratterizzati in un
gesto, un detto, uno sguardo.
Si veda la donna del popolo che parla "latino", cioè non ha peli sulla
lingua e che, invitata a ballare da un federale, durante una festa
organizzata dai fascisti nel 1936 per dimostrare che il fascismo era
interclassista, risponde nel suo gergo: "Prima di tutto non so ballare e
poi non sta né in cielo né in terra che balli con voi". E così, poco dopo,
con molti alalà la festa si sciolse.
C'è il "viddranu" che affascinava Camilleri bambino con le sue storie di
fantasia e di briganti, che zappa la terra sotto un violento e improvviso
temporale tranquillo e fischiettante, perché tanto a lavorare in qualsiasi
condizione "ci ha fatto il callo. ".
Zì Totò invece, zio dello scrittore, gode fama di saggio, e con tre
"Accussì" ben pronunciati, risolve il problema della moglie che non sa cosa
scrivere alla sorella; perché avere carisma è fondamentale; una persona che
ne è fornito è in grado di dar consigli anche senza dir nulla di
significativo. 
C'è Luzzo Agrò, che si intestardisce a chiamare pupi le statuette di san
Calogero, a dimostrare che la testardaggine è caratteristica
dell'empedoclino.
Totuzzo, lo scemo del paese, si china di scatto mentre parla e scaglia, o
fa finta di scagliare, una pietra contro chi gli sta attorno.
Don Cocò Lauritano perde la sua nomea di "omo di panza" per essersi
dimostrato più di una volta molto poco temerario di fronte a una rissa o a
un ladro, ma salva durante un'alluvione due bambini e alcuni vecchietti,
perché lui, dice, si spaventa "degli uomini, non delle opere di Dio": che,
a essere logici, non torna a gloria di Dio, perchè significa essere pronti
a contrastarlo al bisogno.
Alfredo Dina "totalmente pazzo" è anche o forse proprio per questo
predicatore buono dell'esistenza umana.
Lo zio Massimo, realmente zio di Camilleri, dice all'amico Titino, che,
rientrato a casa con un giorno di anticipo, trova la moglie con l'amante e
vuole ammazzarlo, che "Le corna sono progresso"; introducendo anche le
corna, come gli aerei, i motori e gli elettrodomestici nel numero delle
cose che fanno avanzare l'uomo verso il futuro.
Don Carlo Martullo, addetto all'anagrafe sul finire dell'800, grandissimo
tragediatore, "fece più danno di una fera", assegnando ai trovatelli nomi e
cognomi che erano tutta una presa in giro, come Tarquinio Prisco o
Provvisorio Provvisoriamente.
Ci sono personaggi, realmente vissuti, che sembrano usciti da uno scritto
di Pirandello, benchè Pirandello non l'abbiano mai né visto né conosciuto.
Uno di loro è Peppi Nicotra, marito pluritradito mentre è in carcere e che,
una volta tornato libero, riprende a frequentare la moglie passando per la
finestra, mentre gli altri uomini, che alla moglie si accompagnano, entrano
normalmente dalla porta: perché dalla porta entrano i mariti, e sono tanti,
dalla finestra entrano gli amanti e di amanti la moglie ha solo lui. Un
altro personaggio pirandelliano è don Beniamino Sileci, ridotto in miseria
da carte e donne e deriso da tutti; costui dice a un giovane ben educato ma
ubriaco che si era unito al gruppo dei suoi schernitori, " Io sono io ma tu
non sei tu".
Capitan Caci invece costruisce casette per i pescatori, nelle quali i muri
non cadono mai a piombo, per cui hanno un aspetto sbilenco; in realtà sono
solidissime e sono le uniche a restare in piedi durante l'alluvione del
1937.


Religione e superstizione
Si intravede, nella scelta dei termini, un certo atteggiamento dissacrante
dello scrittore nei confronti di alcune pratiche religiose che sanno più di
superstizione e di commercio che di spiritualità. Del protagonista della
prima storia è detto in tono divertito: "Cominciò ad essere in sospetto di
santità.". La raccomandazione politica (lui stesso ha assistito alla scena
di un postulante che perorava la sua causa nell'ufficio di un ministro
siciliano) è definita da Camilleri "rito sacrale", perché richiede "tempi
lunghissimi, se non corroborato da forti indulgenze quali lo scambio dei
favori o l'offerta di un considerevole numero di voti.
Il confine tra religione e superstizione nei romanzi di Camilleri non è
chiaro, come sicuramente non lo è per i siciliani. Non dimentichiamo
Gaetano Barbabianca in Un filo di fumo.
La festa di san Calogero, il patrono, è un momento cruciale per la vita del
paese e ci sono compaesani che tornano dall'America per poter prendervi
parte.
Contro un avversario si scagliano spesso e volentieri delle maledizioni,
che devono essere commissionate a una magàra. La superstizione arriva a
punti tali che non si crede alle guardie che scoprono che un certo signor
Petrella è stato avvelenato dalla moglie, ma si preferisce pensare che ad
ucciderlo sia stata la magàra che avrebbe scambiato una maledizione con
un'altra. 
Il padre Arnone, che compare in questo libro, è la copia esatta di tutti
gli altri "parrini" di Camilleri; preti che hanno completamente scordato il
dovere di castità, che tradiscono con naturalezza il segreto confessionale
e anzi approfittano di quanto viene loro raccontato per trarne guadagno.


Burocrazia e politica
Anche se espressa in tono pacati e che invitano al sorriso è evidente una
critica feroce nei confronti della burocrazia.
Un amico dello scrittore richiede l'estratto del casellario giudiziale e
gli risulta una condanna a 5 anni di carcere comminata venti anni prima che
nascesse; ci volle un anno per convincere la burocrazia dell'errore.
Nel 1940 circa per un banale equivoco un giovane, che doveva recarsi a Roma
per lavoro, a Napoli venne ammanettato, trasportato in vari commissariati
sparsi per l'Italia del Nord e infine dimenticato in una cella; ne uscì per
intervento della famiglia che si "appellò" a pezzi grossi.
Sul finire del 1920 a Porto Empedocle, in seguito a uno sciopero, venne
preso come capro espiatorio, per un tacito patto tra polizia e
magistratura, tale Nenè Lauricella, che ai moti aveva preso parte, ma con
un ruolo marginale.
Favori ben retribuiti a onorevoli compaesani sono frequenti.
Ritorna anche in questo scritto di Camilleri l'argomento della coscrizione
obbligatoria, introdotta in Sicilia subito dopo l'Unità. E' del tutto
evidente la lontananza del siciliano dalla problematica politica.
L'allontanamento del coscritto era vissuto come un funerale perché
sottraeva per quattro o cinque anni alla famiglia contadina forze di
lavoro. Di conseguenza molti sfuggivano alla leva riparandosi tra i
briganti; molti neonati maschi venivano iscritti nei registri come femmine;
alcuni giovani si sottoponevano a digiuni o peggio per poter essere
dichiarati disabili. Diminuirono i matrimoni e le nascite.
Ma se essere chiamato a fare il militare è considerato una provocazione,
anche essere chiamati a schierarsi politicamente nelle elezioni del 1948
non è da meno; e Totò Bellomo, che a vent'anni era ragioniere e pronto per
sposarsi, se non fosse stato per quella cartolina rosa che lo tenne assente
dal paese fino a quarant'anni compiuti, si rifiuta di combattere
quest'altra guerra a colpi di voti, che considera una beffa, uno scherno.


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