OTTO MESI TRA I LEMURI DEL MADAGASCAR

Saint Luce – Fort Dauphin – Madagascar:ottobre 1999/febbraio 2000 e novembre 2000/febbaio 2001

Se ti vuoi mettere in contatto con Valentina

Le foto dei lemuri di Valentina: Eulemur fulvus collaris e Eulemur fulvus rufus

Saint Luce – Fort Dauphin – Madagascar
Ottobre 1999/Febbraio 2000 e Novembre 2000/Febbraio 2001

Ecco che ricomincia la mia avventura nel lontano Madagascar, terra per metà africana e per metà asiatica. E’ una grande isola, speciale, perché è stata trascinata dall’India in mezzo al mare tropicale e qui abbandonata con una fauna e una flora uniche al mondo.

Ed è proprio per l’unicità di questo mondo che ho potuto vivere la mia avventura. Sono qua per studiare una specie di lemure (proscimmia) in due foreste tropicali diverse, ritrovandomi a vivere come o forse peggio di Indiana Jones e vi assicuro che,per qualsiasi persona abituata a tutte le comodità, dall’acqua calda alla televisione, non è stato e non è affatto facile.

Le due foreste sono una a nord e una a sud-ovest di Fort Dauphin, cittadina di 25.000 anime dimenticate da Dio. Fort Dauphin o Tolagnaro è sulla punta sudorientale dell’isola e si dice che sia alla fine del mondo, "au but du monde".

Le persone malgasce hanno per la maggior parte i tratti e, ahimè, la voglia di lavorare, delle popolazioni dell’Africa nera. Sono il residuo di schiavi che vennero portati dal Mozambico dai coloni portoghesi e francesi.

Lo cittadina non è niente di speciale, ma dopo due settimane passate nella foresta intensa, mi appare come un paradiso terrestre. Per me e per i miei compagni ricercatori. E’ una "ville" fatta di capanne e hotel di mattoni, con bellissime spiagge, purtroppo impraticabili perché usate come toilette dai malgasci e come discariche di navi mercantili dell’occidente civile. Ma la presenza di quattro grosse navi rugginose abbandonate sulla baia, con balene, delfini che ci saltano intorno, da un’aria mistica a questa piccola "ville". L’unica spiaggia praticabile è la "Libanona", una piccola baia molto frequentata dai vasah (stranieri bianchi) che cercano refrigerio nelle acque fredde dell’Oceano Indiano e magari la compagnia di una bella ragazza malgascia che spera di esser portata via da qua per vivere una vita migliore. Come non darle ragione! Ma è molto triste vedere queste belle donne spesso accompagnate da vecchi, obesi o disadattati occidentali. Va beh, anche questa è Fort Dauphin.

Diciamo che ogni 7/10 giorni di studio e vita in foresta, torno qui per due o tre giorni per rimettermi in sesto. Abito in una casetta all’interno di un complesso dove ha sede il centro operativo di una Compagnia mineraria canadese che, per compensare le sue ricerche minerarie, cerca di tenere buoni gli ambientalisti mondiali, studiando, per ora solo teoricamente, il modo per conservare almeno i pochi residui di foresta rimasti intatti. La casetta è modesta, ma almeno ci ho l’elettricità e dopo aver passato qualche nottata al solo lume di una candela o della torcia, vi assicuro che poter accendere una lampadina con un clic dell’interruttore è una cosa grandissima; è un ex laboratorio chimico, infatti accanto al letto ho le cappe aspiranti.

In questi tre giorni le prime cose da fare sono: la doccia! Molto urgente perché perfino i malgasci ti guardano malissimo e poi fare il giro dei ristoranti migliori per fare il pieno di cose buone; il migliore, per rapporto di qualità/prezzo, è "Chez Perline", dove è possibile mangiare il "plat de fruits de mèr" a soli 50.000 franchi malgasci, ovvero lire italiane 16.000. Consiste in un piatto di ostriche, una piccola aragosta lessata con salsine varie, un piatto di gamberi e granchio e un pesce arrosto con riso al carry e cipolla. Che cosa ne dite? Oppure al Tavochy per la crèpe de fruit de mer o thon au poivre vert, con tanto di bottiglie d’acqua portate al tavolo come se fosse un vino Doc. Tutto questo, con tutta la calma del mondo, "mora mora" si dice qua, e vi assicuro che dopo un po’ è snervante. Oppure al Las Vegas, gettonatissimo dai vasah perché ha i tavoli all’aperto, ma il cibo in realtà non è niente di speciale. Una volta ci sono andata per bere un thè al limone e dopo aver aspettato più di 30 minuto mi hanno portato una caraffa di acqua calda con limone ma senza il thè. Quando ho domandato dove fosse finito il thè, mi hanno risposto che era finito ma che nell’acqua c’era comunque il limone! Anche questo è Madagascar.

E’ già, perché se non hanno qualcosa previsto dal menù ( capita sempre) si giustificano dicendo che non l’hanno trovato al mercato o che l’hanno già finito. Peccato che tu venga a saperlo un’ora dopo averlo ordinato, quando portano il mangiare agli altri amici che sono con te. Questo è il Madagascar e qua siamo in una dei suoi più grandi centri abitati.

Naturalmente in questo intervallo ristoratrice, non possiamo mancare all’appuntamento serale in discoteca, al Panorama. L’entrata è molto angusta, buia, sporca e con due luci rosse. L’interno invece sembra una baita con una parete a specchio dove le ragazze si ammirano mentre ballano scatenate dimenando i fianchi per tentare fino allo sfinimento i vasah in caccia e non. I miei colleghi sono spesso vittime di queste fammes fatali ma per fortuna la loro forza la fa da padrona. Anche noi donne siamo mire per i malgasci che, ahimè, sanno sempre troppo d’alcool e diventano molto insistenti e sgradevoli per la maggior parte.

Ma adesso è arrivato il momento di partire per la prima foresta: Saint Luce! Per arrivarci è assolutamente indispensabile un buon fuoristrada 4x4, perché la strada, 45 chilometri sterrati con buche paurose e guadi frequenti, è veramente allucinante soprattutto durante la stagione delle piogge, cioè ora. Per fare 45 km ci mettiamo più di due ore, durante le quali la nostra schiena ci chiede pietà. Me poi veniamo ripagati dalla bellezza del paesaggio e della foresta. Lungo questa strada attraversiamo alcuni villaggi, tutti con nomi stranissimi come "Mandromdromtra", "Matalaky", "Nahampoana". Sono piccoli e tutti di capanne in legno di una semplicità estrema. (Scusate mi sono distratta un attimo perché ho dato da mangiare ad un piccolo lemure catta dalla coda a righe che ha perduto la mamma e che sta dormendo sul mio collo. Cose che capitano qua in Madagascar.)

Torniamo ai paesi lungo la strada. C’è quello che vive di banane e quello che vive di ananas e di lithes e quelli che vivono di pesca come Ambandrioncy, Ampanascatomptra e Saint Luce. Questi ultimi sono i tre paesi che fanno da cornice al nostro campo di lavoro. Ogni volta che passiamo con la macchina, da ogni casa partono una miriade di bambini, scalzi, con maglie strappate che urlano "salut, vasah!" e te ti senti un colonialista. Poi, quando cominciano a riconoscerti, cambiano saluto : "salut, Valentinà"; e allora è molto più bello.

Finalmente da lontano vediamo sorgere la nostra foresta pluviale litoranea, unica al mondo per specie vegetali ma soprattutto per la specie di lemure che studio io: "fulvus collaris", scimmiette grandi come un grosso gatto, un musetto d’orso, due gote di pelo rosse e per finire una lunga coda pelosa ma non prensile. Eccola qua la mia foresta preferita che si estende dalle montagne del parco di Andohahela fino al mare. Qua ci arriverà un turista all’anno, se ci arriva, e noi ricercatori siamo stati una ventata di novità per questo posto e forse l’unica speranza che ha per non essere raso al suolo dai carbonai che hanno già distrutto 2/3 delle foreste del Madagascar. Il nostro campo è situato poco dopo l’inizio della foresta, lungo una pista, costruito per noi da alcuni abitanti dei villaggi vicini. Adesso al campo abbiamo una grossa capanna di legno con il tetto di foglie di palma dove mangiamo, un’altra per la cucina ( un fuoco a carbone e due pentole, tutto qui) e altre tre per riparare le tende dalla pioggia incessante. Un bagno (buca con quattro pareti e un tetto: invivibile, meglio la foresta) e una doccia, un secchio e un casottino dove puoi essere voracemente divorato dalle zanzare.

La prima volta che sono venuta qua (novembre 1999) eravamo soltanto io e il mio collega ricercatore capo, Giuseppe, e il cuoco malgascio, Celestino. C’era solo il primo capanno; per il resto, tende all’acqua, pipì all’acqua. Ora abbiamo anche un serbatoio per l’acqua con tanto di rubinetto che raccoglie con un telone l’acqua piovana (buona per lavarsi e cucinare): peccato che l’altra settimana ci abbiano trovato un topo morto affogato da giorni. No comment.

In questo periodo gli abitanti del campo sono: due ricercatori italiani, una belga, due tedeschi e due malgasci di Antananrivo, una cuoca, due assistenti e tre guardiani reclutati nei tre villaggi vicini in modo da dare loro qualcosa in cambio della loro promessa di fermare la caccia contro i lemuri, una caccia per gioco e non solo per cibo, fatta con la fionda, dai ragazzi. Questi lemuri si trovano solo in questa foresta e nel parco di Andohahela e perciò sono molto rari. Per convincere gli abitanti a non cacciare i lemuri siamo dovuti andare a parlare con i capi dei villaggi, magari davanti ad una bottiglia di alcool puro; rincorrere i ragazzini nella foresta; spargere la voce che ci sono i fantasmi, approfittando del fatto che sono creduloni e paurosi, e dire loro che altri villaggi usano sotterrare i morti nelle foreste.

Ed eccoci qua, seduti al tavolo, ad aspettare la cena che Josette (la cuoca) ha cucinato con tanta "igiene": riso bianco lessato, onnipresente, e zebù con salsa di pomodoro. Tanto per cambiare; oppure pollo e riso o gamberi e riso o meglio ancora spaghetti e riso. Tutto sempre con la solita salsa. Fa pro guardare i malgasci mangiare; prendono una piattata di riso (mont Blanc) e poi due pezzettini di carne e giù a cucchiaiate! Il personaggio migliore è Ramanga, un pescatore di 28 anni, con solo i canini e i molari e un perenne mal di denti. E’ stato assoldato anche lui, una volta a settimana, dalla ricercatrice belga per andare in una foresta vicina, via piroga, dove ci sono delle colonie di volpi volanti (grossi pipistrelli) che lei deve costantemente controllare per i suoi studi. Ramanga è stato il primo malgascio del posto visto da Giuseppe nella foresta. Mi ha raccontato che mentre passeggiava nella foresta per la prima perlustrazione, vide Ramanga, vestito del solo perizoma, con un macete in mano e un grosso tronco sulle spalle. Ramanga si fermò, fissò Giueppe tra l’incredulo e lo spaventato, e lo seguì con lo sguardo finchè Giuseppe non sparì nella foresta.

Le prime volte che andavamo nei villaggi, per cercare di convincere i bambini che i vasah non mangiano li come certe volte fanno loro credere i loro genitori, io e Giuseppe portavamo con noi dei grossi pacchi di caramelle; solo una volta delle tante siamo riusciti a metterli in fila ordinata e a fare una giusta distribuzione. Per il resto è sempre stata una lotta per cercare di darle a tutti. Mi ricordo una volta che facemmo l’errore di andarci di sera; non si riusciva a vederli e tanto meno a riconoscerli! E tutti cercavano di prenderne due perché qua per superstizione se ti offrono qualcosa ne devi prendere due.

Tornando al fatto che di notte non si vedono, capita spesso durante le ore di rilassamento, o di studio, che tu sia circondato e osservato per ore da 4 o 5 malgasci, uomini o donne e bambini che stanno là fermi in piedi fino al calar della sera. Ed ecco che a questo punto, finalmente, tu ti senti sola, pensi che se ne siano andati a casa e così ti rilassi, sbadigli e poi improvvisamente senti uno starnuto e ti rendi conto che sono sempre là. Non si vedono! Neanche i denti, perché qua già a 15 anni cominciano a perderli.. Qua le nostre giornate di lavoro iniziano alle 5 di mattina e dopo aver fatto le petit déjeuner ognuno per conto proprio va nella foresta, con la bussola, un blocco per gli appunti, il cibo e tanta, tanta passione. Premetto che qua a parte la pista non ci sono altri sentieri e perciò devi sfrascare continuamente. Altra cosa da dire è che qua, a parte scolopendre, scorpioni e microrganismi quasi mortali, non ci sono predatori o serpenti velenosi. Perciò venite tranquillamente con me.

Tra una fronda e l’altra debbo riuscire a trovare il mio gruppo di lemuri, due maschi, due femmine e due cuccioli entro le 6, magari con l’aiuto del radio trekking che mi segnala dove sono. Oppure posso incontrare un malgascio a cui domandare "maita varika" (hai visto i lemuri?) e che invece di rispondermi con un si o un no, mi attacca un bottone pazzesco in malgascio: troppo alcool in questi posti! Ma come biasimarli?

Una volta trovati gli animali sto con loro per 12 ore di seguito, seguendoli da un albero all’altro, da una palude all’altra. Ormai riesco ad essere accettata da loro e vi assicuro che tutte le fatiche sono ripagate quando scendono alla mia altezza per salutarmi e per studiarmi. A pensare che un anno fa non si facevano neanche vedere, avevano un terrore folle dell’uomo perché erano cacciati. Adesso stanno bene, hanno cuccioli e per il dopo di noi, stiamo cercando qualche soluzione come l’ecoturismo: perché no? ha funzionato in molti posti, perché non dovrebbe qua! Perciò preparatevi.

Ma non è solo lavoro e foresta, c’è anche una bellissima spiaggia bianca bagnata dall’Oceano Indiano dove non incontriamo anima viva, solo i pescatori con le loro piroghe che partono all’alba e rientrano al mattino con squali, pesci martello, pappagallo, sardine, tonni e aragoste.

Davanti a questa spiaggia ci sono due isolotti con tanto di palme e il mio capo mi ha promesso che in uno dei prossimi giorni ci andremo. Per arrivare ad una spiaggia ancora più bella bisogna prendere una piroga magari guidata da Ramanga e attraversare un piccolo laghetto. Al paese di Ambandriky. Nel lago ci sono coccodrilli ( pochi, mai visti) e squali che possono entrare e mangiare i coccodrilli (dice, mai visti neanche questi) comunque è sempre bene raccomandarsi a chi vi pare. La traversata dura una decina di minuti durante i quali si vedono i bambini che fanno il bagno e che ti salutano magari ricordandosi come ti chiami. Non è stata una emozione da poco sentirsi chiamare dopo una anno di assenza da qua, con il proprio nome dai bambini di un villaggio rimasto all’era delle palafitte o poco più.

Insomma dopo i bambini, incontriamo le reti per granchi e gamberi, poi le mangrovie e infine una serie di palme strane che ti permettono con le loro radici di scendere a terra. Ed eccoci arrivati ad una delle due riserve di un certo Mr. De Haulme, proprietario di vasti territori nel sud del Madagascar, colonialista francese, nato e vissuto qua e con, per fortuna, una grande passione per la natura. Ma nonostante i suoi guardiani anche quest’anno mezza foresta è andata bruciata.

Tornati alla terra ferma si prende un sentiero che gira intorno alla foresta e vi assicuro che allo spirito fa un gran bene vedere tutto questo verde e sentire vicino il mare arrabbiato ma libero! E così eccoci finalmente arrivati alla baia dei sogni dove l’acqua è bassa e riparata da due grossi scogli di granito nero. Alcuni di noi ci hanno visto alcuni delfini che non vengono certo risparmiati dai pescatori. Questi malgasci mangiano tutto ciò che su muove! Solo pochi animali si salvano dalle pentole malgasce, come la tartaruga radiata che in una parte del sud (popolazione Antandroy) è protetta da un fady, ovvero da un tabù: si narra che la principessa Antandroy mangiò una tartaruga radiata e poi morì. Peccato però che per gli altri, gli Antanosy e i Merina, questa tartaruga rara sia un piatto prelibato.

Anche i miei amici malgasci, quelli vicino al campo, vanno a caccia di uova di tartaruga. Sulla spiaggia infatti a dicembre è possibile vedere uscire le tartarughe dall’acqua e deporre le uova nella sabbia, proprio nella baia magica.

E’ nei nostri programmi natalizi andare a campeggiare una notte nella baia per vedere il ritorno dei pescatori con l’alba e le tartarughe che depongono le uova.

Una volta presi i dati mensili a Saint Luce, debbo tornare a Fort Dauphin per raggiungere l’altra foresta: Berenty. Ma prima fermiamoci un altro po’ nella ville dimenticata.

Un bel bagno nell’acqua gelata della Libanona non me lo toglie nessuno, peccato che appena metti i piedi sulla spiaggia sei aggredito da donne e bambine che vogliono venderti collanine, conchiglie, coltelli, denti di squalo, partendo da prezzi esorbitanti per arrivare a quelli abbordabili. Ma se uno è duro come me, dopo poco si stancano e rimangono a chiacchierare con te. Si sa, la voglia di lavorare, qui latita.

E così ti raccontano quanti anni hanno e soprattutto quanti figli hanno. Qua una ragazza come me di 28 anni ha già 5/6 figli e poi mi dicono che sono fortunata,che ho i soldi per viaggiare e io tento di spiegare che non ho 6 figli da mantenere, sennò con il cavolo che mi potrei permettere il Madagascar!

Il bello è che spesso cambiano anche uomo. Bah! Ma allora andiamo un po’ avanti sulla spiaggia magari su quegli scogli. Guarda guarda ci sono i perioftalmi! Sono dei pesci come ghiozzi che però riescono a vivere fuori dall’acqua. Sono un esempio di come milioni di anni fa, dalle acque sono state colonizzate le terre dai vertebrati, e poi ancora continua la spiaggia per 5 chilometri fino ad arrivare alla punta dove organizzano snorkelling. Qua l’acqua è più calda che alla Libanona ma è ricca di squali! E’ quasi il tramonto e per goderselo veramente bene è perfetto andare a bersi una birretta fresca al café des pescheurs che si trova sopra la spiaggia. E’ caratteristico di legno giallo e azzurro con comode sedie di legno antandroy. Quando mi siedo qua sono veramente contenta. Peccato che debba andare a Berenty…..

La riserva di Berenty si trova a sudovest di Fort Dauphin lungo il fiume Mandrarè. E’ l’altra riserva privata del sig. De Haulme, ma questa è sfruttatissima dai turisti. Per entrarci ci vuole il permesso che costa 300 FF. Infatti ci sono soprattutto giapponesi, francesi, americani e italiani pochi. Ci sono dei bellissimi bungalows, un ristorante e un bar. E’ circondata da piantagioni di sisal o agave utilizzate per fare corde o sacchi, la vera ricchezza di Mr. de Haulme.

Berenty è invece una foresta galleria che cresce lungo il fiume e ospita cinque specie di lemuri tra cui i fulvus rufus (i miei), i catta quelli con la coda a righe bianca e nera, i sifaka che sono quelle scimmiette bianche che spesso si vedono nei documentari saltellare sulle due zampe posteriori per andare da un albero all’altro e due specie notturne: il lepi lemur e il microcebo.

Tutti questi sono facilissimi a vedersi perché sono tanti e abituati alle persone, anzi a quelli vicini al ristorante bisogna fare attenzione perché rubano il mangiare.

Sarebbe vietato dar loro da mangiare ma l’istinto umano è troppo forte per tanti turisti, che cedono agli occhi languidi e alle mani tese di queste un po’ scimmie un po’ orsetti.

La mia mamma, lo so, ci cadrebbe subito.

A circa 2 chilometri dal ristorante ci sono delle casettine per i ricercatori ed eccomi qua nella stanza numero 3. Sono quattro edifici , tre per le camere e uno per lo studio/cucina e il bagno. Non c’è l’acqua corrente ma l’elettricità sì, e questo è già tanto, ci permette anche di averci il frigo, novità di quest’anno.

E anche qui faccio il solito lavoro solo che qua devo fare anche le notti e vi assicuro che talvolta mi addormenterei sull’albero. Qua è però più facile seguire gli animali perché ci sono dei sentieri o meglio strade che vengono spazzate con regolarità dai malgasci del parco. Non si può dire che sia una foresta selvaggia, ma per chi volesse vedere i lemuri da vicino senza troppa fatica questo è il posto adatto.

Adesso qua con me c’è una ricercatrice giapponese, Soma; generalmente sono giapponesi o statunitensi che vengono qua ma soprattutto nella stagione secca aprile/settembre e lo posso capire perché io ne so qualcosa della stagione delle piogge! Infatti sono tre giorni che piove e il fiume è grosso. E lavorare così non è uno scherzo. Ora mi tocca la notte e fra 10/15 minuti parto per andare a cercare il mio gruppo che per fortuna non è lontano da qua. Il cielo non promette niente di buono, peccato ci sarebbe anche la luna piena.

Ieri sera c’era un tramonto spettacolare: dal giallo, arancio al rosso che si rifletteva sugli alberi, il cactus e la terra rossa. Bellissimo. Faceva quasi paura da quanto ti sentivi piccola piccola.

Adesso vi lascio per lavorare. Ciao Ciao.

Bene rieccomi qua tramortita dai 38° c., ma al finire di questa pagina terminerà anche questa prima puntata della mia avventura. Caratteristico di questa riserva è il piccolo villaggio di Berenty, niente di africano. Inizia con una grande chiesa cattolica bianca e continua per poco, con capanne e vecchie abitazioni coloniali ormai decadenti. C’è un ospedale ma senza dottori e medicine, C’è e basta.

Vivono lavorando nelle industrie del sisal di Mr. de Haulme

Oltre a questo è un villaggio africano come tanti, isolato dal mondo intero. Qua se succedesse la terza guerra mondiale non se ne accorgerebbe nessuno. Ma sono una tribù fiera, gli antandroy, rispettano la natura, ridono, ballano e possono avere più mogli; a parte il mio guardiano che ha sposato l’unica malgascia antandroy gelosa! :Jenevieve.

 

 

Non ricordo dove ero rimasta l’altra volta ma sicuramente non vi avrò ancora raccontato del mio secondo Natale nell’isola malgascia. Avete capito bene, il secondo! Infatti anche l’anno scorso ero da queste parti, ma fu un periodo meno fortunato, perché il mio amico-collega-capo, Giuseppe, si era preso la malaria e proprio per la notte di Natale aveva deciso di farsi venire l’attacco più forte. E così ho avuto l’occasione di visitare – ahimè - l’ospedale di Fort Dauphin e vi dico, cari miei, che se verrete un giorno in Madagascar, dovrete sperare di non ammalarvi mai!

Ma caliamo un velo su quel Natale e torniamo a questo del 2000. Finalmente tutti in "piena" salute siamo riusciti a passare il fatidico giorno al campo di Saint Luce con tutti i nostri assistenti malgasci.

La mattina di buon’ora i nostri assistenti sono venuti a prenderci al campo, tutti vestiti a festa! Erano quasi irriconoscibili e puliti! E noi invece vestiti come sempre e sporchi come sempre per ovvi motivi, igienici e pratici. Zonga zonga (cammina cammina) siamo arrivati alla chiesetta di Saint Luce dove si svolgeva l’ottava messa nel periodo di Natale. E’ stata una tragedia: quattro ore di eterna messa in malgascio in questa chiesetta di cemento con tetto di lamiera, sotto il sole tropicale della mattina, con non so neanche io quante persone dentro, pressate e urlanti per rendere gloria a Dio ma non alle nostre povere orecchie.

Alla terza ora sono riuscita ad uscire insieme a Give, uno dei nostri assistenti, per fare delle foto a dei bambini che come me non ne potevano più di stare là dentro. Penso di aver fatto delle foto banali, ma vi giuro che qualsiasi cosa per uscire da quel forno sarebbe andata bene: una foto penso che sia carina, perché riprende alcuni bambini intenti a suonare la "campana". Beh! Non è proprio una campana ma un pezzo di nave arrugginito attaccato a delle assi di legno, ma quando suona rende l’idea.

Terminata la nostra missione cristiana, ci rechiamo nella casetta di legno di Solo 8 uno dei guardiani del campo e marito della cuoca ) per mangiare: riso, tonno e fagioli (il grande pranzo di Natale ci spetta la sera) e birra. Con la pancia piena convinciamo i nostri amici a venire con noi sull’isoletta di fronte al villaggio, l’isola " Nena "dove tre o quattro palme le danno un’aria da isola dei pirati.

Con due piroghe attraversiamo un piccolo tratto di mare; meno male il vento e il mare quel giorno ci hanno graziati. Dieci minuti di piroga ed eccoci in un piccolo paradiso terrestre, alla "Laguna blu". Ad aspettarci una tridact ila ( conchigliona di cui è vietatissima l’esportazione e che viene utilizzata come portacenere nei locali tropicali) là, aperta, sicuramente predata da un malgascio predatore (mangiano tutto!) e un nido di tartaruga marina ovviamente anch’esso predato.

L’isolotto è alternato da piccole baie di sabbia bianca e rocce di granito nero dove siamo riusciti a fare snorkelling anche se la visibilità non era delle migliori: ma finalmente sono riuscita a fare un bagno a Natale!

Dopo aver girato in lungo e in largo l’isolotto abbiamo fatto ritorno al campo per preparare il cenone con tanto di aragoste e tacchini (dendon in francese). Alla preparazione abbiamo partecipato un po’ tutti: chi lavava i piatti, chi spennava il tacchino, chi pelava le patate e certo anche chi guardava soltanto. Dopo tre ore di preparazione aravamo tutti pronti intorno alla tavola imbandita e illuminata con le candele. Il tutto è iniziato con una bottiglia di Porto portato dalla lontana Germania da Andreas ed è finito con panettoni, cioccolate e il fatidico rum Saint Claude che è stato la mazzata finale per i nostri assistenti: si sono scatenati in danze malgasce tentando di coinvolgere anche noi, poveri vasaha, per natura negati per le danze. Il giorno dopo è stato un po’ the day after per tutti, vasaha e non; e questo ci ha fatto sentire ancora più uniti. Passate le feste tutti abbiamo ripreso il ritmo lavorativo: i vasah velocissimamente e stressati e i malgasci mora mora (piano,piano) ma stressati anche loro. Insomma, lavorare fa male!

Peccato però che a rovinare l’equilibrio ci si è messa la distruzione della parte nord-est della nostra foresta: Manongaroa, la foresta dove è (era) possibile vedere Dio. Qualche abitante dei tre villaggi le ha dato fuoco e in poche settimane una parte immensa dell’ultima foresta pluviale litoranea al mondo è scomparsa. Adesso c’è il mais, la patata, la manioca e tanta cenere e silenzio; alcune zone sono ancora ricoperte da grossi alberi di 12/16 metri, neri, caduti a terra, con i rami nudi che sembrano chiedere aiuto. Nessuno di noi si è accorto di nulla, nessuno dei nostri assistenti ci ha detto nulla. A scoprirlo è stato Giuseppe. Voleva far vedere alla sua ragazza la più bella foresta della zona. Lo spettacolo è stato agghiacciante. E’ stato un chiaro segno che per il Madagascar non c’è speranza. Nessuno riuscirà a trovare in tempo delle alternative valide per le popolazione locali. Loro sono tanti e ogni anno aumentano, i loro figli hanno fame… e per di più il loro impatto sull’ambiente è totalmente irrazionale. Il Madagascar selvaggio esisterà ancora per cinque anni poi ci sarà la savana e i grandi parchi nazionali anch’essi però non risparmiati dalle pressioni antropiche. Lo Stato se ne frega delle persone, figuriamoci delle foreste e degli animali!

Il mio consiglio è di venire adesso, se volete vedere un po’ di vero Madagascar.

Scusate se sono così pessimista ma vi giuro che io sto vivendo questa realtà in prima persona e le speranze sono davvero poche.

Ma torniamo a quei parchi che per ora resistono. Sto parlando di Ranomnafana e Isalo, gli unici due parchi nazionali che sono riuscita a visitare tra un lavoro e l’altro.

Li ho visitati l’anno scorso in piena stagione delle piogge con Matteo, il mio ragazzo che era venuto a trovarmi per un mesetto. Siamo partiti da Fort Dauphin con il famigerato taxi-brousse, che preso una volta non lo prendi più, ma che è un’esperienza da farsi e soprattutto è molto economico. Una volta fatto il biglietto e montati su questo grosso autobus anni 40, tutto rugginoso e pieno di ammennicoli kitchissimi, bisogna attendere per partire dalle tre alle cinque ore perché si riempia tutto e se i posti sono 50, le persone da farci entrare prima di partire sono 80. Se poi ci aggiungete che ognuna di queste 80 ha un bambino e un bagaglio di 90 kg, vi potete immaginare la vivibilità là dentro!

Matteo mi ha odiato subito perché lui è alto 1,86 metri e lo aspettava un viaggio di 5 giorni e 4 notti, appiccicato al vetro, su dei sedili piccolissimi (risultato: ginocchia sbucciate, mal di schiena e nervi a fior di pelle1). Avvertimento: prendete il taxi brousse solo se misurate meno di 1,70. Insomma adesso il taxi è pieno e il viaggio comincia.

Chilometri e chilometri su strade che non sono strade ma piscine di terra rossa che percorrono savane. Velocità, 15/20 chilometri orari. Terribile! Non passano mai le ore e i chilometri dentro a quell’attrezzo infernale. Per il primo giorno è impossibile dormire, ma poi riesci a farlo ovunque, con la testa appoggiata su sbarre di ferro, valigie e spalle di chissà chi; anche tu diventi inevitabilmente un cuscino per qualcuno. La sera il taxi si ferma o in un piccolo villaggio o in mezzo alla savana; è bene non scendere perché potresti non trovare più il tuo posto e ti toccherebbe dormire in mezzo alla savana con un milione di zanzare al centimetro cubo: a me è successo!!!!! Altro problema del taxi brousse ? Dove fare i propri bisogni impellenti! Per i maschi al solito non è un grande problema, ma per le femmine e per di più vasaha è un grosso problema!! Non ci sono alberi nelle savane e soprattutto lungo le strade, e l’unico riparo sono le altre donne che ti riparano con i loro lamba (parei). Ma il genere umano, lo sappiamo, si è evoluto così tanto e velocemente perché è un animale adattabilissimo e così dopo il primo giorno, tutto è diventato sopportabile.

Dai oggi, dai domani, siamo riusciti ad arrivare al parco di Ranomafana nel mese peggiore: febbraio dove il caldo umido e la pioggia arrivano ai valori più alti. Ma noi testardi lo abbiamo visitato tutto, sfidando acqua, caldo, salite e discese e sanguisughe! E grazie alla nostra testardaggine siamo riusciti a vedere tutte le dodici specie di lemuri che vivono nel parco, incluse alcune rare come l’apolemur Doratus. Contenti e soddisfatti, dopo aver staccato dalla nostra pelle un chilo di sanguisughe ormai piene di sangue come palloni, ci siamo rimessi in cammino per Isalo. Altro taxi brousse e altra avventura ma questa volta abbiamo deciso si spezzare il viaggio e di fermarci in piccoli alberghi magari per la notte e vi assicuro che è stato tutta un’altra cosa.

Isalo? Niente di veramente eccitante: canyon e canyon, ma non spettacolari come il Grand Canyon. Però non posso dirvi di non venire a vederlo perché noi per nostra sfortuna lo abbiamo visitato nella stagione delle piogge quando non è possibile percorrere tutti i canyon e campeggiarci ,per pericoli di frane, ma so che durante la stagione secca ne vale veramente la pena perché all’interno dei canyon finalmente accessibili è possibile assaporare l’energia di una bella foresta abitata da lemuri ancora selvaggi.

Ma torniamo al presente. Adesso sono a Saint Luce e ho finito finalmente il lavoro a Berenty. Ma questa volta a Berenty il tempo è passato meglio, grazie alla compagnia di Soma ( ricercatrice giapponese) e Petra (ricercatrice tedesca)_ insieme facevamo la seconda guerra mondiale: pericoloso trio! Ma siamo state davvero bene anche se la temperatura toccava i 40° all’ombra e riuscivamo a mangiare soltanto cocomeri bianchi totalmente insapori gentilmente offerti da Isaca e Jenevieve i guardiani, 2 macchiette malgasce che con teatrini vari hanno tentato di insegnarci il malgascio.

Ma ieri sono tornata nella mia foresta preferita. Soma è venuta con me per qualche giorno per cambiare un po’ d’aria. Qua al campo tira aria rilassata da quando i grandi capi vasaha (Giuseppe e An) sono partiti. Non ho ancora cominciato a lavorare, ma lo farò domani sera perché ieri ho dovuto fare da guida ad un funzionario della EarthWatch Institute e a P. W.

L’Earthwtatch è un’agenzia di viaggio per turisti avventurosi pronti a pagare per passare due settimane in campi di ricerca in tutto il mondo per aiutare i ricercatori e P.W. è una grande ricercatrice americana, primatologa, che lavora anche con Earthwatch a Ranomafana. Scopo? Fare qualcosa di simile anche qua per evitare la distruzione totale della foresta e dare una mano ai tre villaggi. Non è stato difficile entusiasmarle visto che la foresta, gli animali e il mare qua parlano da soli.,

Ma Oggi relax con Soma! Siamo andate al mare a fare un bagno sotto lo sguardo esterrefatto di non so quanti pescatori che andavano e tornavano al mare con piroghe cariche di pesci e donne che aspettavano a riva con delle grosse ceste per contrattare il prezzo e acquistare e perché no vendere nel frattempo qualche ananas.

Dopo esserci bruciate bene bene al sole tropicale e aver fatto 100 foto a tutte le varie specie di enormi pesci che venivano portati a riva, siamo tornate al campo dove ci aspettavano due piattate di riso e gamberi e ananas zuccherati per dessert. Ma non contente ci siamo fermate a Ambontriky e abbiamo regalato ai bambini le bolle di sapone. Un successone! Da tre bambini sono diventati 6, poi 10, poi 15,20,27 e così via esponenzialmente! Ma da bravi facevano a turno a soffiare le bolle.

Ecco che è arrivato Givet che curiosa nell’armadio : scusate lo devo fermare sennò questo mangia tutte le brioches. Le persone di questi tre piccoli villaggi non si rendono conto che sono già fortunati in confronto ai loro vicini Antondray.( a Berenty ) Hanno il mare ricchissimo di pesce, delle foreste pluviali tutto intorno che li hanno protetti dai coloni francesi e portoghesi. Hanno acqua in abbondanza (anche troppa) e non fa caldissimo. Tutto questo ha portato differenze enormi tra le due tribù a livello caratteriale.

I poveri antondray sono stati spremuti bene bene dai coloni francesi, sfruttati e schiavizzati dai padroni delle piantagioni di sisal (francesi, svizzeri e c) e quando si rivolgono a te, vasaha, si inchinano e ti baciano la mano, chiamandoti sempre Madame. Anche i guardiani di Berenty ci chiamavano cosi a me e Soma all’inizio ma poi fortunatamente hanno accettato di chiamarci con i nostri nomi.

Si mettono sempre un gradino più basso di te.. ovvio, i vasaha che li pagano li fanno sentire sempre così. Nel villaggio di Berenty non c’è scuola, ma tanti bambini da farne due. Non hanno mare, non hanno acqua, ma solo un terreno arido sfruttato per il sisal e una riserva naturale dove osservare dei grossi e ricchi vasaha che sudano e pagano 9000 franchi malgasci una bottiglia d’acqua (la paga giornaliera non arriva a 9000) e un mango 10000.

Non hanno riso ma solo manioca, qualche zebù e un po’ di gamberi del fiume. Qua è possibile vedere i bimbi col pancione per la malnutrizione ma non tra gli antonosy di Saint Luce. A Saint Luce è possibile notare che il pesce fa bene al cervello. Nessuna sottomissione. Nessun comportamento servizievole, Qua c’è autentica dignità di un popolo. OK te sei diverso, sei ricco, sei bianco, fai dei lavori strani, non ti sposi ,non fai figli, ma non per questo sei superiore. E questo mi piace negli antonosy.

Adesso sono nella piccola capanna adibita ad ufficio a Saint Luce e sta piovendo. Che bello stanotte devo fare la notte in foresta! E la prevedo piuttosto bagnata..

E invece niente pioggia e niente notte in foresta…….il radio trekking ha deciso di abbandonarmi e così dopo 2 ore di ricerca estenuante del mio gruppo ho dovuto rinunciare a fare la notte perché delle mie bestiacce nessuna traccia. Presa dalla disperazione sono tornata al campo e per confortarmi sul tavolo c’era una piattata di riso con zaramacio e homby, fagioli e zebù……….

La mattina seguente alle 4.30 sveglia per tentare di nuovo la ricerca delle belvette. Colazione : caffè malgascio fumante, latte condensato, banana e croissant con un po’ di muffa sopra……se non ammazza ingrassa si dice dalle mie parti …..Preparazione zaino : acqua, ciotola di riso con scatoletta di sardine marocchine, banana, binocolo ,cruciverba ,macchina fotografica e obiettivo, impermeabile( indispensabile ) blocco ,penne e pennarelli indelebili ..che invece sono delebili con tutte le piogge che ci sono…..e il mio nemico radio trekking perché non si sa mai…ah dimenticavo, la bussola perché sennò chissà dove posso finire.

Pronta per partire alle 5.00 in punto . E’ ancora buio ,minaccia pioggia e preferirei prendere tante bastonate nella testa, scusate ma sono un po’ stanca…..Mi incammino sulla pista , comincio a girare nella foresta dove so e spero di trovare i 6 ciccioni…gira, gira, sfrasca e cammina, ecco finalmente alle 6.00 un verso a me familiare !!!!!! Come sono belli !!!!! e mi vengono a salutare scendendo dagli alberi !!!! la mia stanchezza in un attimo è svanita…amo questo lavoro e lo vorrei fare per tutta la vita !!!!!

Ecco Pipino, è il primo che mi viene a salutare, è sempre più grosso e la mia voglia di strizzarlo è quasi irrefrenabile ..ma non posso, per il loro bene…..ecco Mena la cucciola ..mamma mia quanto è bella !!!! e voilà Bimba e Lucia e ancora Puce sempre più da morsi e Attila !!!!! e… e chi è ?!!!! rimango per un attimo allibita !!! senza parole…..c’è qualcos’altro là dietro che si muove…..è un altro fulvus !!!!che mi fa un po’ di allarme agitando la coda…..ma non mi dire !! si è aggiunto un nuovo individuo !!!!!! non è ancora abituato a me, e Attila non lo ha ancora accettato del tutto. Poverino è costretto a seguire il gruppo ad una distanza di 15,20 metri. E’ un maschio sub-adulto del gruppo C che ha deciso di migrare qua. E’ meraviglioso, tutto scuro e il suo nome sarà Arturo !!!!! Che gioia !!! il mio gruppo adesso è davvero grande, da 4 individui che erano l’anno scorso sono diventati 7 !!!! Che soddisfazione per una mamma !!!!

Passata l’emozione comincia il mio lavoro…..ma a questo punto non è più faticoso…..oggi tutto il mio interesse è per Arturo, mentre il suo è la piccola Mena che è l’unica a gradire il grooming del bel principe !!!! ho già capito, fra 2 annetti, quando tutti e due saranno pronti, saranno una bella coppia !!!! e come farò a non tornare qua per vedere i cuccioli della mia piccola !!????!!!

Sono le 18.00 e la prima giornata lavorativa di febbraio è terminata……stanca ma al settimo cielo me ne torno a casa……non vedo l’ora di raccontare tutto al campo !!!…peccato che il mio entusiasmo non sia riuscito a coinvolgere l’équipe malgascia ma soltanto Rik ( ricercatore americano ); si sa per i malgasci queste cose sono normali, ma erano contenti per me. Esausta per le 12 ore passate in foresta, vado nella mia tenda dove circa tre minuti dopo sto dormendo come un lemure con il sorriso sulle labbra !!!! che bel regalo che mi ha fatto la mia famiglia animale !!!!

Mattina seguente riposo….ma il pomeriggio verso le 16.30 la mia ricerca ricomincia, sono intenzionata a trovarli e a seguirli per tutta la notte, la serata sembra fantastica, il cielo è limpido e la luna sarà piena !!!…volona be !!!!!! 2 ore di cammino tra paludi e foglie e finalmente eccoli !! alle 19.15 è buio e accendo la mia lampada frontale, non ho idea dove io possa essere, gli animali si sono mossi continuamente assaggiando non so quanti frutti. Finalmente però alle 20.00 sembrano accorgersi della venuta della notte e si addormentano su un grande albero a circa 15 metri di altezza. Io cerco un buon posto per accamparmi, stendo il poncho, mi riempio di Autan e mi rilasso. La mia ciotola di riso con gamberi mi aspetta nello zaino e non passa molto tempo che è già finita. C’è un gran silenzio, e mi sento talmente a mio agio che mi addormenterei senza problemi. Le zanzare non sono particolarmente cattive stasera, ma ho già visto passare 2 scolopendre. Scrivo delle lettere, faccio due parole crociate e…oh no !!!! comincia a piovere !!!! improvviso una tenda con il poncho e due bastoni ma in 5 minuti sono già tutta bagnata. Che bellezza così fino a domani mattina alle 6.00 sarò zuppa !!! Sono le 22,00 ha smesso di piovere….ma …le belve si stanno muovendo, il cielo è di nuovo libero e la luna è davvero lucente, non ho neanche bisogno della lampada frontale. Partono come schegge e io dietro a corsa ….corro, corro, corro !!!!! mi fermo, non sento più nulla ricomincia a piovere e gli animali sono scomparsi. Aspetto mezz’ora cercandoli disperatamente, ma si sono volatilizzati. Che rabbia, anche questa notte è fallita. E così completamente gocciolante e rabbiosa me ne torno al campo dove tutti dormono già !!! bella la vita dei ricercatori, ma deh !!!!!!

Non posso perdere altro tempo, la mattina alle 5.00 sono di nuovo in foresta per fare la giornata e per fortuna dopo poco trovo le carogne, belle pimpanti che saltellano in qua e in là. Mi vengono a salutare e cominciano a giocare saltandomi davanti e facendo l’altalena su un alberello…come si fa ad essere arrabbiati con queste meraviglie ?!

Si rimpinzano di frutti, ma non riesco a vedere bene che parte del frutto mangiano, allora mi viene un’idea : raccolgo qualche frutto e quando loro cominciano a cercare gli insetti in terra glieli tiro e così posso vedere da vicino come li mangiano . Detto fatto, sono accanto ai miei piedi che leccano le formiche ,tiro il primo frutto e Lucia e Puce non ci pensano due volte, li mangiano e il mio esperimento è riuscito e piaciuto tanto che Lucia per i giorni dopo aspettava già che le tirassi qualcosa. Queste scimmie …sono troppo intelligenti !!!

Sono passati 10 giorni e domani ho una macchina che mi verrà a prendere per portarmi a Fort Dauphin.

Domani dovrò lasciare questo mondo e un nodo alla gola non mi fa respirare. Inutile dirvi che ho pianto tutta la notte .

La mattina come d’abitudine di buon ora fuggo in foresta per l’ultima volta. Abbraccio le liane, gli alberi, saluto gli uccelli, i serpenti, le rane e ahimè il mio gruppo. Ecco il momento più brutto. Sto un’ora con loro per guardarmeli bene per l’ultima volta, ci parlo e piango, spero che nessuno faccia loro mai del male e che la loro foresta non venga distrutta…ho fatto tutto ciò che mi è stato possibile fare per loro.

Hanno ricominciato a saltare, vorrei seguirli ancora per un po’ ma mi fermo, è arrivato il momento dell’addio. Passano Lucia, Attila, Puce, Mena, Bimba ..Pipino e per ultimo Arturo che si gira per guardarmi. Vorrei morire in questo istante o rimanere qua a vita. Ma è il momento di tornare al campo.

Tiro un grande sospiro e mi incammino verso il campo dove Josette, Give, Kadoffe e i guardiani mi stanno aspettando vestiti a festa per andare nelle loro case per fare le foto alle loro famiglie come da promesso.

45 foto solo per le loro famiglie !!!!! un patrimonio !!! ma come si fa a dirli di no !!! si sono vestiti tutti bene dal primo all’ultimo e mi hanno offerto tutti i dolcetti fritti che ho mangiato pregando di non pentirmene in una toilette…..mi hanno regalato borsette e cestini intrecciati con la paglia, stuoie e conchiglie e il mio cuore vi giuro non ci credeva ! con la promessa di spedire presto le foto mi sono congedata e come ultimo saluto i bambini si sono riuniti e hanno gridato forte " veloma Valentina ! "( arrivederci ! )…meglio non voltarsi più e tornare al campo dove ahimè la macchina è già arrivata.

Ultima tragedia : salutare l’équipe…..tre baci a ciascuno e uno alla grande pancia di Josette che ospiterà ben presto una bambina di nome Valentina, un abbraccio forte al mio amico Give con cui ho scherzato dalla mattina alla sera e una forte stretta di mano al mio assistente Kadoffe….e poi è meglio partire il più veloce possibile !!!!!!

Anche con i lacrimoni agli occhi sono riuscita a voltarmi lungo la strada per salutare per l’ultima volta la Mia foresta !!!!!!!!!! l’ho guardata finché non è scomparsa dietro la collina.

Il viaggio in silenzio…la mia avventura è finita, e adesso che sono a casa vi dico che il MAL D’AFRICA esiste e anche bello forte !!!!

Valentina Morelli

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