Maurilio Lovatti

Il caso del questore di Brescia Manlio Candrilli

 

 

Chi era Manlio Candrilli?

Manlio Candrilli nacque a Villarosa di Sicilia (Enna) il 25 marzo 1893. Maggiore dei bersaglieri, combattente di tre guerre (Grande guerra 1915 - 1918, riconquista della Libia 1921, conquista dei Sultanati Somali 1925 - 1927), invalido di guerra in seguito a ferita riportata in combattimento ad Hordis (Somalia Settentrionale), decorato di medaglia di bronzo e di croce di guerra al valore militare, fu Podestà di Villarosa dal 1934 al 1942. In questo periodo svolse l'attività di industriale zolfifero. Nominato "esperto per lo zolfo" alla Corporazione, è stato tra l'altro autore di due pubblicazioni , Lo zolfo alla Corporazione, Bellotti, Palermo 1938, e L'Ente Nazionale Zolfo - soluzione integrale del problema zolfifero, Bellotti, Palermo 1939.
Successivamente divenne Consigliere Nazionale e Segretario Federale del Partito Nazionale Fascista a Catanzaro e ad Agrigento (1942 - 1943). Richiamato sotto le armi dopo il 25 luglio (periodo del governo Badoglio) venne assegnato come Maggiore al 50° Reggimento Bersaglieri di stanza a Siena. Dopo l'8 settembre aderì alla R.S.I. e venne nominato Questore di Brescia, carica che ricoprì dal 16 novembre 1943 al 25 aprile 1945.
Catturato il 25 aprile 1945 da elementi partigiani a Como e tradotto a Brescia per essere sottoposto a processo da una Corte d'Assise Straordinaria. Condannato alla pena della fucilazione per collaborazionismo ed altro dalla Corte d'Assise Speciale di Brescia con sentenza 13 giugno 1945. Morto a Brescia, località Mompiano, in seguito a fucilazione il 1° settembre 1945.

 

Verbale dell'interrogatorio del 21 maggio 1945

 

Sentenza della Regia Corte d'Assise del 13 giugno 1945

 

Lettera del figlio Giancarlo Candrilli all'avv. Pietta del 20 settembre 1983

 

Lettera del figlio Giancarlo Candrilli al Giornale di Brescia del 19 gennaio 1974

 

Così racconta l'esecuzione un testimone (il dott. Gaetano Buono):

«Io c’ero il giorno in cui fu fucilato il Questore di Brescia, Manlio Candrilli. Ero incaricato della sicurezza. Era una mattina di tarda estate, con altri funzionari attendevamo sul prato del Poligono di Mompiano. Lui scese dal cellulare, vide le assi della bara in cui sarebbe stato deposto e disse: «Non è una bara degna del Questore di Brescia». Chiese di non essere fucilato alle spalle. Non gli fu concesso. Si sistemò sulla sedia e prima di cadere disse: "Perdono tutti quelli che mi hanno fatto del male, sono innocente, vado in Paradiso". Non ci fu bisogno del colpo di grazia. Il suo corpo era trivellato dai mitra».

Lo storico bresciano Ludovico Galli sostiene che la condanna del Candrilli sia stata ingiusta e che la sua figura debba essere riabilitata. La argomentazioni a favore della tesi innocentista si trovano in due volumi, pubblicati a spese dell'autore (Una vile esecuzione: il dramma di Manlio Candrilli questore di Brescia della RSI, Brescia 2001 e Il questore di Brescia della Repubblica Sociale italiana, Brescia 2005) e possono essere ricondotte a tre ordini:

1) inadeguatezza della difesa d'ufficio dell'imputato, conseguente all'impossibilità di scegliersi un avvocato di fiducia da parte del Candrilli;

2) inattendibilità di molte accuse mosse da ex dipendenti del Questore, poiché essi erano interessati a scaricare tutte le loro responsabilità sul diretto superiore; scrive Galli:

 "La Questura di Brescia naturalmente si trovò nell’occhio del ciclone. Per fronteggiare la grave situazio­ne dovette alle volte adottare metodi energici. Alcuni uomini li attuarono anche all’insaputa del Questore Manlio Candrilli. Se i sistemi coercitivi in tempo di pace sono da condannare fermamente, in tempo di guerra sono usati normalmente da tutte le polizie del mondo. A guerra finita il questore fu il capro espiatorio d’ ogni illegalità. Lui che si adoperò per fare rispettare la legge di quel tempo. Il C.L.N. bresciano volle a tutti i costi che lo si condannasse a morte. Il processo farsa a suo carico lo dimostra." (Il questore di Brescia, cit., pag. 9)

3) Il 27 novembre 1959 la Corte di cassazione ha dichiarato estinto per amnistia il reato di collaborazionismo militare col nemico; nello stato di servizio del questore si legge:

“E’ stata annullata la sentenza emessa in data 13.6.1945 dalla Corte Straordinaria di Assise di Brescia sul punto dell’affermata responsabilità dell’ufficiale per i fatti di omicidio e sevizie efferate, per non averli commessi. Il Supremo Collegio ha dichiarato di riflesso estinto, ai sensi dell’art. 3 del D.P. 22.6.1946 n. 4, per effetto di amnistia, il delitto di collaborazionismo militare, per cui ebbe a seguire la condanna. E’ stato annullato il D.P. 20.3.1956 con il quale l’ufficiale incorse nella perdita del grado per condanna a decorrere dal 6.7.1945, nonché nella degradazione ai sensi dell’art. 28 C.P.M.P. (D.P. 15 marzo 1961 in C.P. registrato alla Corte dei Conti il 6 .5.1961, reg. 60, f. 20). Assolto post mortem dalla Corte di Cassazione il 27 novembre 1959."

Giampaolo Pansa, nel libro Il sangue dei vinti: quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, Sperling e Kupfer, Milano 2003, pag. 69, così cita i lavori del Galli:

«Un elenco numerico del ministero dell’interno, data­to 4 novembre 1946, indica per la provincia (di Brescia, ndr) 166 giustiziati o prelevati e scomparsi. Sempre Galli, nel libro I dimenticati: Brescia 1943-1945, pubblicato nel 1988 da Zanetti Editore, ci offre un dato diverso: 241 eliminati dopo la liberazione in provincia di Brescia. La cifra comprende anche alcuni casi di bresciani uccisi in altre zone del nord.»

«Uno dei giustiziati fu il colonnello Ernesto Valzelli, 43 anni, comandante della Gnr provinciale. Secondo Galli, venne seviziato e ucciso il 13 maggio 1945 nel bosco di Cevo, alle pendici dell’Adamello. Il questore di Brescia, Manlio Candrilli, 52 anni, lo fucilarono il 1° settembre 1945 al poligono di Mompiano.»

Le accuse documentate da Marino Ruzzenenti

Nel volume La capitale della RSI e la Shoah: la persecuzione degli ebrei nel bresciano, GAM, Brescia 2006, lo storico bresciano Marino Ruzzenenti documenta ampiamente il ruolo del questore Manlio Candrilli nella persecuzione degli ebrei.

Il ruolo del questore Candrilli nella deportazione degli ebrei nei campi di sterminio

Sulla base di questi ed altri simili episodi, Marino Ruzzenenti giunge alle seguenti conclusioni:

Il questore Manlio Candrilli fu, come abbiamo visto, il protagonista indiscusso della persecuzione degli ebrei a Brescia nel periodo della Rsi e l'artefice infaticabile e spesso spietato della loro cattura e dell'invio ai campi di sterminio. Candrilli, nei giorni convulsi del crollo imminente, ben prima che la situazione precipitasse (a Brescia l'insurrezione iniziò nel pomeriggio del 26) abbandonò i propri uffici in via Musei e cercò la salvezza dirigendosi probabilmente verso la Svizzera. La sua fuga venne però interrotta in provincia di Como, dove il 25 aprile fu catturato dai partigiani e quindi tradotto a Brescia per essere sottoposto a processo da una Corte d'assise straordinaria. L'imputazione, per la quale venne condannato a morte il 13 giugno 1945, concerneva il delitto previsto e punito dall'art. 5 decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 e art. I D.D.L. 22.4.45 n. 142, in relazione all'art. 51 e 54 C. P. M. G. per avere in Brescia dall'ottobre 1943 al 25 aprile 1945 collaborato con il tedesco invasore ospitando ed aiutando in tutti i più svariati modi, perseguitando i patrioti, dandogli liste di ostaggi, procedendo o facendo procedere i rastrellamenti di giovani da inviare in Germania coattivamente, dando la caccia a coloro che si volevano sottrarre al servizio militare dell'esercito della sedicente Repubblica Sociale Italiana, seviziando e facendo seviziare persone, carpire loro notizie relative alle bande di patrioti ed in altre svariate maniere.

La condanna venne eseguita con fucilazione alla schiena il 1° settembre 1945. Nel dispositivo della sentenza di condanna non si trova neppure un cenno alla persecuzione degli ebrei ed alle primarie responsabilità avute dal Candrilli in quella tragedia. Solo nel verbale di interrogatorio vi si trova un fuggevole cenno dello stesso Candrilli: "Circa i fermi degli ebrei debbo precisare che ci venne l'ordine di fermarli tutti e di avviarli ai campi di concentramento. Peraltro su un numero ingente ne furono fermati solo pochi". Ma sembrerebbe che la stessa Corte non avesse dato alcun peso alla questione che, come si è detto, non fece neppure parte dei capi d'imputazione. Sta di fatto che negli anni Cinquanta, gli anni dei colpi di spugna sulle stragi nazifasciste, del famigerato armadio della vergogna, su richiesta dei famigliari di Candrilli, si avviò presso la Suprema Corte di Cassazione il processo di revisione che si concluse il 27 novembre 1959 con una nuova sentenza che in parte ribaltava la precedente:

annulla senza rinvio la sentenza 13 giugno 1945 della Corte d'Assise Straordinaria di Brescia sul punto dell'affermata responsabilità del suddetto Candrilli per i fatti di omicidio e sevizie particolarmente efferate per non averli commessi, e di riflesso dichiara estinto, ai sensi dell'art. 3 decreto presid. 22 giungo 1946 n. 4, per effetto di amnistia il delitto di collaborazionismo militare per cui ebbe seguire condanna.

Sulla base di quella sentenza, lo storico "revisionista" di Brescia, Lodovico Galli, lo stesso utilizzato da Giampaolo Pansa come unica fonte per Brescia nel suo Il sangue dei vinti, da tempo sta conducendo una campagna per la completa riabilitazione di Candrilli:

Nessun dubbio che Manlio Candrilli fosse un fascista. Era cresciuto sin dalla giovinezza con quegli ideali che milioni di italiani avevano volontariamente abbracciato. Dopo l'8 settembre 1943, il giorno dell'ignobile armistizio, credette di servire nuovamente l'Italia mettendosi al servizio della Rsi. E così fu. Pagò con la vita la sua coerenza, il suo attaccamento al dovere [...].
Una cosa comunque è certa. Manlio Candrilli cercò di esercitare le proprie funzioni nell'ambito delle leggi imperanti in quei tragici mesi di 'guerra civile' ed ubbidendo alle direttive impartite dai Suoi Superiori. Non riuscì a difendersi perché quello era il tempo dominato dal fanatismo antifascista e dalla legge della giungla. Mi è sembrato anche storicamente corretto, a così tanti anni di distanza, rievocare quel sacrificio volutamente ignorato dalla nostra storia ufficiale e caduto in tal modo nell'oblio. Sono poche pagine riparatrici di una iniqua condanna e di una tardiva, ma onesta riabilitazione

Riabilitazione a cui ha ritenuto di associarsi lo stesso Pansa, annoverando il Candrilli tra le vittime della vendetta dei vincitori in una provincia dove, sempre secondo Pausa, "la resa dei conti fu dura".

Il capitolo Candrilli, per chi ha avuto la pazienza di leggere questo lavoro, in verità dovrebbe essere sì riaperto, ma esattamente nel senso opposto a quello indicato da Pansa e da Lodovico Galli, sia per una doverosa riparazione nei confronti delle vittime, sia perché finalmente si cominci a fare luce sulle responsabilità dei fascisti della Rsi nell'attiva, convinta, fanatica e burocraticamente ottusa collaborazione alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei italiani. (pag. 183-185)

Anche altre fonti confermano l'appartenenza di Candrilli all'ala "dura" del fascismo bresciano, contrapposta al gruppo più moderato dei fascisti, guidato dal Capo della provincia Innocente Dugnani. Scrive Antonio Fappani, raccontando le vicende di Andrea Trebeschi, cattolico antifascista che morirà in un campo di concentramento nazista:
"Sono giorni di grande disorientamento: dopo l'eccidio di Piazza Rovetta (i fascisti hanno chiamato in istrada e barbaramente ucciso cittadini inermi) cerca farsi strada un'ala "moderata " del fascismo bresciano, facente capo al federale Fulvio Balisti e al capo della provincia Innocente Dugnani, i quali tentano di tamponare qualche eccesso della banda Sorlini; ma non hanno alcun potere sui tedeschi e si illudono di acquisirlo dimostrando una loro maggior rappresentatività.
Ma ogni loro sforzo in tale senso è destinato ad abortire, nel loro stesso campo, ove pullulano le bande e si moltiplicano le polizie politiche, ed, a maggior ragione, fra i non fascisti.
Il vescovo (mons. Tredici, ndr) riceve anche Balisti, ma nemmeno nella sua sconfinata mitezza trova una sola parola di debolezza ad una qualunque politica repubblichina, per moderata che sia.
Dopo il Natale, Dugnani chiede di incontrare Trebeschi, che due settimane prima è stato rilasciato dopo 48 ore di reclusione in Questura.
Trebeschi va da Dugnani, ma per dirgli quanto sia assurdo chiedere una collaborazione a chi ha due nipoti in carcere e deve egli stesso nascondersi per evitare un secondo arresto, ma, soprattutto, per dichiarare che a nessun titolo un cattolico potrà prestare la minima copertura ad una politica di sopraffazione, di violenza, e comunque di collaborazione con i nazisti.
L'incontro tra i due antichi avversari di battaglie giovanili è franco, e proprio per questo e malgrado tutto, cordiale. Trebeschi rispetta la buona fede di Dugnani, ma lo mette in guardia contro l'illusione di trovare lealtà nei tedeschi e negli stessi fascisti che gli sono vicini; sforzi inutili, senza un ideale da difendere e conquistare. Ha l'impressione di sfondare una porta aperta, se Dugnani potesse sceglierebbe la strada giusta: insiste pertanto nel raccomandare la rinuncia al collaborazionismo, dicendo che i cattolici possono essere vittime o ribelli, mai strumenti di violenza e sopraffazioni.
Dugnani, da parte sua, enuncia un programma di ordine, inteso ad eliminare le iniziative del questore Candrilli, di Sorlini e di altre bande fasciste autonome, e si riserva di accertare se Trebeschi sia effettivamente ricercato dai fascisti o tedeschi per accuse specifiche (...)" (A. Fappani, Cattolici nella resistenza bresciana: Andrea Trebeschi, Astolfo Lunardi, Emiliano Rinaldini, Cinque Lune, Roma 1974, pag.173-174)

 

E' autorizzata la riproduzione totale o parziale del testo di questa pagina, anche a fini commerciali.

 

Maurilio Lovatti home page

Maurilio Lovatti fascismo e guerra

Maurilio Lovatti scritti di storia locale

scritti vari di Maurilio Lovatti

 

e-mail:  maurilio@lovatti.eu