LA STANZA

 

La stanza appare bianchissima ai suoi occhi, di un bianco quasi violento, come se gli avessero strappato via una benda all’improvviso. Il pavimento, le pareti: un bianco ininterrotto. E l’odore! Il profumo intenso di pulito, di nuovo, gli assale le narici con la forza di un pugno. "Dove mi trovo? Che incubo è questo?" Le mani alzate a coprire occhi e naso incontrano una benda sottile, quasi impalpabile, che gli circonda il capo: "Cos’hanno fatto alla mia testa?". Sente le gambe venir meno. Vorrebbe sedersi, ma dove, in quella stanza dalle pareti così nude e desolatamente lisce? E’ sul punto di buttarsi seduto lì, sul pavimento, quando un ronzio sommesso gli giunge alle orecchie. Una feritoia alta e stretta si è aperta nella parete di sinistra e ne esce qualcosa che somiglia alla cornice di un grosso quadro. L’uomo osserva quello strano oggetto che gli si avvicina, che scorre liscio sul pavimento, come tirato da un filo invisibile. Un centimetro dopo l’altro, la paura monta, diventa terrore: i muscoli si tendono, lo stomaco si contrae, la bocca diventa un deserto appuntito di spine amare. Si mette di fianco, un braccio e una gamba alzati sul corpo a fare da misero schermo contro l’ignoto. Eccolo: giunto a pochi centimetri l’oggetto si arresta, ruota su se stesso, si apre… a formare una comoda sedia.

Le braccia gli ricadono giù, lungo i fianchi, mentre il rapido martellare all’altezza delle tempie comincia a sciogliersi in lunghi respiri dopo un’apnea durata un’eternità. Si china leggermente, e, con le dita ancora tremanti, tocca la superficie immacolata di quella sedia: il tessuto è delicato al tatto, e, nonostante il nitore, restituisce una densa sensazione di calore che lo invoglia a sedersi. Non fa in tempo ad accomodarsi, che si ritrova avvolto in un’atmosfera di calma, di serenità: forse l’abbraccio di un’amante, o, meglio, il grembo di una madre. In pochi secondi, questo nuovo stato di grazia lo avvolge per intero, allontanando incubi e paure. Osserva la stanza con occhi diversi, ora, e quelle pareti così lisce e nude cominciano a mostrarsi vive, sembrano rispondere ai suoi pensieri, ai suoi desideri: ecco proprio di fronte a lui apparire un grande display luminoso che segna 11/01/2047-13:01:27. E appena sotto, in caratteri più piccoli, -28:33.

E’ l’una, vede, mentre i numeri più piccoli continuano incuranti il loro countdown, secondo dopo secondo. Ma non importa. Istinto primordiale o semplice riflesso pavloviano, il senso di fame si risveglia e la stanza è lì, pronta ad assecondarlo: una tavola imbandita ronza fuori dalla parete, ingombra per tutta la sua grandezza dei suoi piatti preferiti. "Come fa a conoscere i miei gusti?" si chiede. E poi, toccandosi nuovamente la sottile fascia che gli circonda la fronte, "Che cosa hanno fatto alla mia testa?". Ma non c’è spazio per i dubbi, solo per lo stupore. La sedia si sposta, piana, senza attriti di sorta, fino a raggiungere, silenziosa, il tavolo. Non può fare altro che afferrare coltello e forchetta e iniziare a mangiare. I cibi sono semplicemente perfetti, per sapore, cottura, varietà… e lo stesso vale per le bevande. Ma ancora non è tutto. La parete di fronte si illumina improvvisamente, e al centro prende vita un grande schermo che diffonde immagini di luoghi incontaminati, dove la natura è rigogliosa e piena di colori; poi si susseguono tramonti sul mare, albe su cime innevate… scene incantevoli accompagnate da musiche sognanti, che si sposano perfettamente con il cibo che sta mangiando, anzi, che sta gustando. Solo raramente si distrae, per dare uno sguardo furtivo alla stanza, le cui pareti ora riverberano dei colori caldi dello schermo. Unica nota stonata, il piccolo display che continua a macinare secondi a ritroso. Impossibile non guardarlo, nonostante lo spettacolo meraviglioso che ha di fronte… ma è stato sufficiente distrarsi un attimo: sullo schermo è apparso un lugubre mezzobusto, lisci capelli neri, occhi neri e tristi, barba nera fitta fitta a incorniciare il volto pallido. Due labbra esangui parlano con voce monotona, quasi incomprensibile.

L’uomo è ancora concentrato sul suo pranzo e riesce a cogliere solo poche parole di quello che gli sembra solo un tetro monologo: "…la legge…occhio…dente per dente…castigo…", ma sufficienti a fargli capire che qualcosa è cambiato. La stanza, le pareti, sono cambiate: sono di nuovo bianche, abbacinanti. Ancora, il conto alla rovescia lo cattura (-10:15…-10:14…-10:13) e nuove domande si affacciano alla sua mente: "Perché mi trovo qui? Che razza di posto è questo?". Il gusto del cibo non basta più. La forchetta resta a mezz’aria, la bocca si ferma, inghiottire è un inferno: le immagini sullo schermo sono cambiate ancora. In un grigio sbiadito da video amatoriale scorrono fotogrammi che sembrano presi da un notiziario. Le sue pupille asciutte sono incollate su un interno ripreso dall’alto, con un’angolazione che deforma le persone facendole sembrare tanti pinguini indaffarati. E’ l’interno di una banca. Improvvisamente irrompe un altro pinguino, armato, che costringe a terra tutti i presenti e lancia una borsa oltre il bancone. Zoom avanti. Il pinguino armato è in primo piano, il volto coperto da una maschera liscia, senza lineamenti. Solo due fori per gli occhi e alcune gocce di sudore sul bordo inferiore, lo stesso sudore che ora scende copioso lungo il suo viso, si raccoglie sotto il mento e cade, denso e caldo, sul dorso della sua mano sinistra, ancora appoggiata al tavolo. Può mai farcela un pinguino, da solo? Zoom indietro. Ecco, arrivano gli orsi, neri e armati anche loro. Uno lo afferra e cerca di strappargli la pistola di mano. Ma il pinguino sa far male, e l’orso cade, colpito in pieno petto. Gli orsi sono troppi. Zoom avanti. Il pinguino, di nuovo in primo piano, è preso, trattenuto da cento mani. Una di queste lo tiene per i capelli, un’altra gli strappa la maschera dal volto. Fermo immagine.

E’ il suo volto. Sono i suoi occhi, quelli che lo guardano immobili, sgranati. La sedia lo spinge via, mentre si richiude e scompare nella parete da dove è venuta, così come il tavolo. E lui resta là, in piedi, davanti allo schermo. Poi si muove, quattro passi da sonnambulo in una stanza vuota, bianca e vuota. Anche la sua mente lo è, ora. Ma a ogni passo la scena è tornata, l’ha rivissuta, un milione di volte. Voleva raggiungere lo schermo, toccare quel volto, ma l’immagine si è rimpicciolita, fino a scomparire, lasciando al suo posto il solito display: -00:45…-00:44…-00:43. Il suo braccio proteso, la sua mano aperta tocca solo una parete bianca, che ora (per un gioco di luci?) riflette la sua figura intera. Oltre la mano, oltre il braccio, c’è un viso, un corpo vestito di un lungo saio candido dal quale spuntano le punte di due piedi nudi. E i secondi scorrono: -00:15, sta entrando nella banca… -00:14, l’allarme suona, la polizia… -00:13, lo sparo, il sangue che macchia l’uniforme… -00:12, sono troppi, è la fine… "Sarà la fine?" si domanda, mentre il countdown si avvicina allo zero… sì, c’è sollievo nei suoi occhi, quando, allo scoccare dell’ultimo secondo, sente qualcosa trafiggergli la pianta del piede e tutto scompare…

"Complesso detentivo JCN3000.3 – Cella 405 – Prigioniero 405/002.

Sequenza 1 completata. – Inizia sequenza 2"

La stanza appare bianchissima ai suoi occhi, di un bianco quasi violento, come se gli avessero strappato via una benda all’improvviso…

Back Home