Il centro è l’uomo nella sua anatomia studiatissima e letteralmente esasperata: nell’opera-cardine e rappresentativa di tutta la sua poetica, Il Prigioniero, l’uomo, prigioniero di se stesso , si torce e si contrae fino allo spasimo, mediante una stilizzazione quasi grottesca dell’intensità espressiva sia del corpo, ridotto a un fascio di nervi, che del viso, deformato dalla tensione dell’urlo sordo.
I corpi di Sassi, perennemente in tensione, si contorcono con una sofferenza esteriore simbolicamente legata ad una sofferenza interiore e rivelano tutta la loro drammatica realtà nelle costole scavate e nelle ossa in evidenza che sporgono dalla materia lavorata della terracotta, plasmata e rimodellata ruvidamente in modo del tutto originale ed estremamente enfatizzato nella sua codificazione estetica.
Michele Sassi tira fuori nervi, muscoli ed ossa dall’interno, come se fossero visibili e tende ad eliminare il superfluo, come talvolta la stessa testa.
Non solo uomini sono i soggetti dello scultore, che si spinge al limite dell’umano mostrando metamorfosi in atto di corpi metà uomo e metà donna, a significare la femminilità dell’uomo e la mascolinità della donna, ma anche maternità piene, dove la donna viene vista come caldo rifugio o centauri, figure mitologiche che fondono l’animale all’umano, trasposizione di un modello tradizionale nel mondo attuale, reso alla maniera profondamente contemporanea.
Sassi mostra quello che c’è oltre l’apparenza patinata, spesso una mera facciata che nasconde le brutture sottostanti, i modelli a cui si affida sono il trattamento della superficie alla maniera impressionista di Rodin, con una predilezione per il non-finito e l’opera di Manzù, i corpi scandagliati non sono mai lineari né posti in posizioni rassicuranti, ma perennemente in bilico e scomposti, quasi sul punto di cadere, tesi come se non si riposassero mai e talvolta si allungano sotto forma di protuberanze come se nascessero direttamente da un vaso o da una struttura portante, fragili contenitori ed elementi di contenuto al tempo stesso.

Francesca Baboni