Confessioni di un malandrino

(Esenin-Branduardi)


Mi piace spettinato camminare
il capo sulle spalle come un lume
cosi' mi diverto a rischiarare
il vostro autunno senza piume.

Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell'ingiuria,
mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.

Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne e il muschio hanno sommerso
ed i miei che non sanno di avere
un figlio che compone versi;

Ma mi vogliono bene come ai campi
alla pelle ed alla pioggia di stagione,
raro sarà che chi mi offende
scampi alle punte del forcone.

Poveri genitori contadini,
certo siete invecchiati e ancor temete
il Signore del cielo e gli acquitrini,
genitori che mai non capirete
che oggi il vostro figliolo è diventato
il primo tra i poeti del Paese
e ora in scarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.

Ma sopravvive in lui la frenesia
di un vecchio mariuolo di campagna
e ad ogni insegna di macelleria
la vacca si inchina sua compagna.

E quando incontra un vetturino
gli torna in mente il suo concio natale
e vorrebbe la coda del ronzino
regger come strascico nuziale.

Voglio bene alla patria
benchè afflitta di tronchi rugginosi
m'è caro il grugno sporco dei suini
e i rospi all'ombra sospirosi.

Son malato di infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d'Aprile,
sembra quasi che l'acero si curvi
per riscaldarsi e poi dormire.

Dal nido di quell'albero, le uova
per rubare, salivo fino in cima
ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima;
e tu mio caro amico vecchio cane,
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
e giri a coda bassa nel cortile
ignaro delle porte dei granai.

Mi sono cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po' di pane
e si mangiava come due fratelli
una briciola l'uomo ed una il cane.

Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi,
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa chge vi tocchi.

Buona notte alla falce della luna
sì cheta mentre l'aria si fa bruna,
dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.

La notte e` così tersa,
qui forse anche morire non fa male,
che importa se il mio spirito è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.

O Pegaso decrepito e bonario,
il tuo galoppo è ora senza scopo,
giunsi come un maestro solitario
e non canto e celebro che i topi.

Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome,
voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.


Confessioni di un teppista

(Sergej Esenin-1920)

Non tutti sono capaci di cantare
E non a tutti è dato di cadere
Come una mela, verso i piedi altrui.

E questa la più grande confessione
Che mai teppista possa confidarvi.

Io porto di mia voglia spettinata la testa,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace nella tenebra schiarire
Lo spoglio autunno delle anime vostre;
E piace a me che mi volino contro
I sassi dell'ingiuria,
Grandine di eruttante temporale.
Solo più forte stringo fra le mani
L'ondulata mia bolla dei capelli.

E' benefico allora ricordare
Il rauco ontano e l'erbeggiante stagno,
E che mi vivono da qualche parte
Padre e macre, infischiandosi del tutto
Dei miei versi, eche loro son caro
Come il campo e la carne, e quella pioggia fine
Che a primavera fa morbido il grano verde.
Per ogni grido che voi mi scagliate
Coi forconi verrebbero a scannarvi.

Poveri, poveri miei contadini!
Certo non siete diventati belli,
E Iddio temete e degli acquitrini le viscere.
Capiste almeno
Che vostro figlio in Russia
E' fra i poeti il più grande!
Non si gelava il cuore a voi per lui,
Scalzo nelle pozzanghere d'autunno?
Adesso va girando egli in cilindro
E portando le scarpe di vernice.

Ma vive in lui la primigenia impronta
del monello campagnolo.
Ad ogni mucca effigiata
Sopra le insegne di macelleria
Si inchina da lontano.
Ed incontrando in piazza i vetturini
Ricorda l'odore del letame sui campi,
Pronto, come uno strascico nunziale,
A reggere la coda dei cavalli.

Amo la patria. Amo molto la patria! pur con la sua tristezza di rugginoso salice.
Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci,
E nel silenzio notturno l'argentina voce dei rospi.
Teneramente malato di memorie infantili
Sogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.
Come a scaldarsi al rogo dell'aurora
S'è accocolato l'acero nostro.
Ah, salendone i rami quante uova
Ho rubato dai nidi alle cornacchie!
E' sempre uguale con la verde cima?
E come un tempo forte la corteccia?

E tu diletto,
fedele cane pezzato!
Stridulo e cieco t'hanno fatto gli anni,
E trascinando vai per il cortile la coda pensolante,
Col fiuto immemore di porte e stalla.
Come grata ritorna quella biricchinata:
Quando il tozzo di pane rubacchiato
Alla mia mamma,mordevamo a turno
Senza ribrezzo alcuno l'un dell'altro.

Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore.
Fioriscono gli occhi in viso
Simili a fiordalisi fra la segala.
Stuoie d'oro di versi srotolando,
vorrei parlare a voi teneramente.

Buona notte! Buona notte a voi tutti!
la falce dell'aurora ha già tinnito
Fra l'erba del crepuscolo.
Voglio stanotte pisciare a dirotto
dalla finestra mia sopra la luna!

Azzurra luce,luce cosi' azzurra!
In tanto azzurro anche morir non duole.
E non mi importa di sembrare un cinico
Con la lanterna attaccata al sedere!
Mio vecchio,buono ed estenuato Pegaso,
Mi serve proprio il tuo morbido trotto?
Io,severo maestro, son venuto
A celebrare i topi e a cantarli.
L'agosto del mio capo si versa qualche vino
Di capelli in tempesta.


Ho voglia di essere una vela gialla
Verso il paese cui per mare andiamo.


Congedo

(Sergej Esenin-1925)

Arrivederci, amico, arrivederci.
O vecchio mio, tu mi sei nel cuore.
Questa separazione destinata
Un incontro promette in futuro.

Arrivederci amico, senza parole e gesti,
Nè tristezza e agrottar di sopraciglia.
Non è nuovo morire, in questa vita,
Ma più nuovo non è di certo vivere.


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