L’art. 1130 del Codice Civile stabilisce le attribuzioni dell'amministratore. L'amministratore deve:
1) eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio;
2)
disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi
nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior
godimento a tutti i condomini;
3) riscuotere i contributi ed
erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti
comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni;
4)
compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni
dell'edificio. Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto
della sua gestione.
Attualmente chiunque può essere nominato amministratore.
Per
chiunque deve intendersi ogni persona fisica; infatti, le funzioni
attribuite all'amministratore, il particolare rapporto che lo lega al
condominio e l'esistenza di norme, quali l'art. 64 disp. att. C.C., che
prevedono la sua diretta presenza e audizione, sembrano escludere che
possa essere nominato amministratore una persona giuridica.
Nessuna norma prevede che l'amministratore debba necessariamente essere un condomino.
Alcuni
autori precisano che l'amministratore deve essere fornito di
capacità giuridica e altri ritengono che debba trattarsi di
persona non in lite con il condominio o non legata allo stesso da rapporto
di lavoro subordinato.
Eventuali incompatibilità potranno essere previste dal regolamento condominiale.
La
maggioranza richiesta per la nomina dell'amministratore è quella
prevista dall'art. 1136 secondo comma C.C. (la maggioranza degli
intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio).
La
nomina può avvenire, con la maggioranza indicata, anche in
seconda convocazione, senza che il richiamo al secondo comma renda
necessario il quorum di presenza previsto per la prima convocazione.
La
giurisprudenza ha ammesso la possibilità di una nomina per fatti
concludenti o comportamento implicito dei condomini: "Per la nomina
dell'amministratore del condominio di un edificio è applicabile
l'art. 1392 C.C., in base al quale, salvo che siano prescritte forme
particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve
concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza
può essere verbale o anche tacita. Detta nomina, pertanto,
può risultare indipendentemente da una formale investitura da
parte dell'assemblea e dall'annotazione nello speciale registro di cui
all'art. 1129 C.C., dal comportamento concludente dei condomini, che
abbiano considerato l'amministratore tale a tutti gli effetti,
rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste".
Non sembra che sia
necessaria, per l'efficacia della nomina ad amministratore,
l'accettazione dell'interessato, con la conseguenza che lo stesso, fino
al momento di un’eventuale rinuncia, risulterà investito
dei suoi poteri.
La nomina dell'amministratore, quando i condomini
sono più di quattro, è obbligatoria, ma nulla vieta che
anche i condomini con 4 o meno condomini possano avere un
amministratore. Tale norma è inderogabile e non può
essere modificata dal regolamento.
Ove l'assemblea non provveda,
ciascun condomino potrà ricorrere all'autorità
giudiziaria (tribunale territorialmente competente), che
procederà alla nomina all'esito di un procedimento in camera di
consiglio, del quale dovrà essere dato avviso a tutti gli aventi
diritto.
Il decreto di nomina potrà essere impugnato con reclamo alla Corte d'Appello.
La
conferma dell'amministratore è soggetta alla medesima disciplina
della nomina, nonostante il fatto che dell'una e dell'altra trattino
due diverse norme di legge (artt. 1129 e 1135 C.C.).
Dopo la
cessazione dalla carica per scadenza del termine di cui all'art. 1129
C.C., l'amministratore conserva ad interim i poteri a lui conferiti
dalla legge e può continuare ad esercitarli fino a che non sia
sostituito.
La giurisprudenza ha precisato che, in virtù
dell'istituto della prorogatio, l'amministratore deve continuare a
provvedere, durante la gestione interinale, all'adempimento delle
incombenze e attribuzioni previste dall'art. 1130 C.C., e così a
riscuotere i contributi condominiali e ad erogare le spese occorrenti
per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per
l'esercizio dei servizi comuni, compreso quello di portierato, con la
conseguenza che, in caso di ritardata presentazione delle denunce
contributive e di ritardato pagamento dei contributi previdenziali
dovuti per il portiere, l'amministratore è tenuto a risarcire il
condominio delle somme da questo versate all'INPS a titolo di sanzione
amministrativa.
Tale perpetuatio di poteri non trova applicazione
quando risulti la volontà contraria dei condomini, espressa con
delibera assembleare.
L'amministratore che, cessato dalla carica,
continui ad esercitare i suoi poteri sino a che non venga nominato il
successore, ha diritto ad essere compensato come per il periodo
precedente.
REVOCA DELL'AMMINISTRATORE
Anche la revoca dell'amministratore può avvenire ad opera dell'assemblea oppure giudizialmente.
La
revoca da parte dell'assemblea non richiede la sussistenza di una
giusta causa, in considerazione della natura fiduciaria del rapporto
fra amministratore e condominio.
Secondo alcune pronunce dell’autorità giudiziaria essa può avvenire "ad nutum".
Non
è perciò possibile che l'amministratore domandi il
risarcimento dei danni per la revoca ingiustificata, salvo la
sussistenza di particolari fattispecie.
La revoca
dell'amministratore può essere effettuata dall'autorità
giudiziaria su ricorso di ciascun condomino, per la mancata
comunicazione delle azioni intentate contro il condominio, che abbiano
il contenuto indicato nell'art. 1131 C.C., o dei provvedimenti
dell'autorità amministrativa, nonché per non aver reso il
conto della gestione per due anni o per gravi irregolarità.
Mentre
le altre ipotesi indicate sono tipiche, quest'ultima è generica
e si presta a ricomprendere fattispecie diverse, nelle quali
l'amministratore abbia agito contro la legge, il regolamento di
condominio o le delibere assembleari.
L'amministratore revocato
è tenuto, tra l'altro, a restituire ogni cosa di pertinenza del
condominio, senza che per l'inottemperanza a tale obbligo si debba fare
ricorso al Tribunale a norma dell'ultimo comma dell'art. 1105 C.C.,
potendosi legittimamente richiedere l'adozione di un provvedimento
d'urgenza a norma dell'art. 700 C.P.C.
L'art.
1129 ultimo comma e l'art. 1138, terzo comma C.C. stabiliscono la
tenuta di un registro, nel quale dovrebbero essere annotate la nomina e
la cessazione dell'amministratore.
Tale registro, secondo l'art. 71
disp. att. C.C., dovrebbe essere tenuto presso l'associazione
professionale dei proprietari di fabbricati, che però risulta
soppressa.
Nessuna sanzione è prevista, né per la mancata tenuta del registro, né per l'omissione delle annotazioni.
La
trascrizione ha funzione di mera pubblicità e l'inosservanza di
tale formalità non comporta la nullità o l'inefficacia
della delibera.
Per il disposto del secondo comma dell'art. 1129 C.C., l'amministratore dura in carica un anno. Tale norma, per la previsione dell'art. 1138 C.C., è inderogabile. La durata della nomina corrisponde con l'anno di gestione del condominio. Eventuali nomine per periodi superiori ad un anno sono ridotte automaticamente ad un anno. Per il principio della conservazione degli atti, la delibera assembleare che nomini l'amministratore per un tempo maggiore non è nulla, ma vede ridotta la propria validità al periodo annuale previsto dalla legge.
La retribuzione dell'amministratore è, secondo la lettera dell'art. 1135, n.1 C.C., eventuale.
La
dottrina ritiene che, in analogia a quanto previsto dall'art. 1709 C.C.
per il mandato, l'incarico si presuma, salvo prova contraria, oneroso.
Generalmente tale questione viene risolta dal regolamento condominiale.
Ove lo stesso non provveda, spetterà all'assemblea stabilire il
compenso.
La giurisprudenza ha affermato che, ove una retribuzione
sia prevista dal regolamento, l'inserimento nell’ordine del
giorno di un'assemblea dell’argomento "nomina
dell'amministratore" contenga implicitamente anche la questione della
determinazione del compenso, strettamente connessa ad essa.
Le attribuzioni dell'amministratore sono indicate dall'art. 1130 C.C. con un'elencazione che la dottrina ritiene esemplificativa e non tassativa. L'art. 1130 non rientra tra quelli espressamente qualificati inderogabili, con la conseguenza che il regolamento condominiale e l'assemblea possono aumentare o diminuire i compiti dell'amministratore, restando nell'ambito della gestione della cosa comune.
L'amministratore
deve impiegare, nell'esecuzione delle delibere, la diligenza del buon
padre di famiglia, attivandosi per quanto occorra o sollecitando
l'attività di terzi, ove necessario, avendo di mira lo scopo di
tradurre in pratica la volontà dell'assemblea.
Alcuni autori
ritengono che l'amministratore debba eseguire le delibere solo se esse
siano legittime e solo se riguardino le parti comuni e non i beni di
proprietà individuale.
Sul primo punto si ricorda che non
possono riconoscersi all'amministratore facoltà superiori a
quelle dell'assemblea, con l'attribuzione di una funzione di riesame di
legittimità, salvo casi macroscopici.
In ordine
all'esecuzione delle delibere che concernono beni individuali, si
rileva che queste solo formalmente sono oggetto di volontà
assembleare, essendo sostanzialmente atti unanimi con valore
contrattuale e che pertanto l'attività svolta
dall'amministratore in questi casi non rientra nei suoi compiti
istituzionali, se non per la parte in cui la decisione inerente la
proprietà individuale coinvolge direttamente il bene comune.
Nell'ambito
del potere-dovere di curare l'osservanza del regolamento di condominio,
l'amministratore può rivolgere inviti o diffide ai singoli
condomini e può esperire, contro di essi, azioni giudiziarie.
Anche
in ordine all'osservanza, la giurisprudenza si è posta il
problema della differenza tra clausole del regolamento relative alle
cose o parti comuni dell'edificio e clausole statuenti limiti ai poteri
e alle facoltà di ciascun condomino sulla parte di edificio di
proprietà esclusiva, affermando che l'obbligo
dell'amministratore, posto dall'art. 1130 C.C., si riferisce soltanto
alle prime.
Quando l'amministratore compia atti, nell'ambito del
potere-dovere a lui riconosciuto di curare l'osservanza delle norme
del regolamento, la successiva ratifica del suo operato, compiuta
dall'assemblea, ha efficacia retroattiva.
L'amministratore ha il potere di compiere tutto ciò che fa parte dell'ordinaria amministrazione.
Può
effettuare verifiche, eseguire lavori, stipulare contratti, fissare i
criteri di utilizzazione interna degli impianti comuni.
Per lo
svolgimento di tali compiti, ha il diritto di detenere le chiavi dei
locali che debbano essere usati dai condomini in condizioni di
parità.
Nell'ambito della gestione dei servizi comuni,
l'amministratore deve occuparsi del servizio di portierato, esercitando
compiti di sorveglianza ed esplicando, nell'ambito di previsioni del
regolamento, potere disciplinare sul portiere.
L'amministratore deve riscuotere i contributi che riguardano sia le spese ordinarie sia le spese straordinarie.
Per
l'erogazione delle spese, le sue facoltà sono limitate alla
manutenzione ordinaria, ma l'amministratore gode di autonomia, non
occorrendo al riguardo alcuna delibera assembleare.
L'amministratore
può altresì stipulare i contratti necessari per
provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto
all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni.
Per
la riscossione dei contributi, l'amministratore può, esibendo lo
stato di ripartizione approvato dall'assemblea, ottenere decreto
ingiuntivo immediatamente esecutivo.
Il decreto ingiuntivo
può essere chiesto nei confronti del condomino moroso, in base
al preventivo delle spese approvato dall'assemblea, soltanto fino a che
l'esercizio cui tale spese si riferiscono non sia terminato. In caso
contrario, l'amministratore dovrà agire in base al consuntivo
della gestione annuale.
Alla
norma contenuta nell'art. 1130, n. 4 C.C. deve darsi interpretazione
estensiva, nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad
evitare pregiudizi alle singole parti comuni, l'amministratore ha il
potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia
dell'edificio nel suo insieme.
L'espressione atti conservativi non
deve intendersi riferita alle sole azioni cautelari strictu sensu.
L'amministratore può esercitare altre azioni, possessorie o
petitorie.
La giurisprudenza ha affermato che la disposizione del
numero 4) dell'art. 1130 C.C. non va interpretata nel senso che
l'amministratore possa chiedere soltanto misure cautelari, bensì
si riferisce a tutti gli atti diretti a conservare l'esistenza delle
parti comuni.
La possibilità dell'amministratore di agire in
giudizio, per la tutela dei diritti inerenti alle parti comuni
dell'edificio, può esser fatta valere sia nei confronti dei
condomini sia dei terzi.
Alla fine di ogni anno, l'amministratore deve rendere il conto della sua gestione.
La
presentazione del conto non richiede particolari formalità,
essendo sufficiente che esso, anche se non redatto in rigorosa forma
contabile, contenga gli elementi essenziali occorrenti per rendere
intellegibili ai singoli condomini le modalità di impiego dei
fondi, con enunciazione delle specifiche spese.
Non si richiede
all'amministratore l'adozione di forme rigorose, analoghe a quelle
prescritte per i bilanci delle società, purché la
contabilità, con tutte le sue voci di entrata e di uscita, sia
comprensibile per i condomini.
Elementi qualificanti del rendiconto
sono la chiarezza e l'elencazione specifica delle partite, che devono
essere tali da porre in condizione i condomini di compiere
contestazioni non generiche delle singole voci riportate, nonché
l'indicazione dei criteri di ripartizione. Unitamente al conto,
l'amministratore dovrà presentare i documenti giustificativi
delle spese, allo scopo di rendere completo ed effettivo il controllo
dell'assemblea.
Una volta che il bilancio consuntivo sia stato
approvato, l'amministratore può agire per ottenere il pagamento
delle somme risultanti da esso, senza essere ulteriormente tenuto a
sottoporre all'esame dei singoli condomini morosi i documenti
giustificativi delle spese adottate.
Tra le ulteriori attribuzioni dell'amministratore, non indicate dall'art. 1130 C.C., devono riconoscersi la custodia del registro dei verbali assembleari, di cui all'art. 1136 C.C., la tenuta della contabilità, sulla base della quale vengono redatti il preventivo delle spese e il consuntivo della gestione, l'aggiornamento dell'elenco dei condomini e dei rappresentanti di cui all'art. 67 disp. att. C.C., la convocazione dell'assemblea ordinaria o straordinaria, la conservazione della documentazione condominiale e, in particolare, del regolamento di condominio.
L'art.
1133 C.C. non conferisce ulteriori poteri all’amministratore,
poiché si riferisce ai provvedimenti che lo stesso assume
nell'ambito degli atti di ordinaria amministrazione o di esecuzione
delle delibere assembleari.
Il ricorso previsto dall'art. 1133 C.C. è facoltativo e non preclude l'esercizio dell'azione giudiziaria.
Gli
atti con i quali l'amministratore disponga opere sulla cosa comune, in
eccesso ai propri poteri e con lesione dei diritti dei condomini, sono
affetti da nullità assoluta.
L'art. 1131 C.C. attribuisce all'amministratore la rappresentanza processuale del condominio.
Dal
punto di vista attivo (azione in giudizio), tale facoltà
incontra gli stessi limiti dei poteri sostanziali dell'amministratore,
così come essi risultano definiti dall'art. 1130 C.C. e
può essere ampliata dal regolamento condominiale o
dall'assemblea (l'assemblea non può, invece, ridurre il potere
di rappresentanza dell'amministratore, poiché lo stesso deriva
da norma inderogabile).
L'estensione dei poteri opera sempre entro
il limite del riferimento alla gestione, conservazione e manutenzione
dei beni comuni, non potendo agire l'amministratore, in quanto tale, in
difesa dei diritti sulle singole quote di proprietà.
A titolo
esemplificativo, si può dire che l'amministratore può,
senza necessità di particolari autorizzazioni da parte
dell'assemblea, agire per far osservare le deliberazioni dell'assemblea
stessa e le norme del regolamento, per far cessare abusi sulla cosa
comune, per riscuotere tributi o compiere atti conservativi.
La
giurisprudenza ha affermato: "L'amministratore è legittimato ad
agire in giudizio, senza alcuna autorizzazione, nei confronti dei
singoli condomini, al fine di eseguire le delibere dell'assemblea e di
curare l'osservanza del regolamento di condominio; di disciplinare
l'uso delle cose comuni, così da assicurare il miglior godimento
a tutti i condomini; di riscuotere dai condomini inadempienti il
pagamento dei contributi determinati in base allo stato di ripartizione
approvato dall'assemblea; di compiere gli atti conservativi di diritti
inerenti alle parti comuni dell'edificio. Quando l'oggetto della causa
esorbita dai limiti anzidetti e incide, invece, su obblighi o diritti
esclusivi dei singoli condomini, la rappresentanza di diritto
dell'amministratore deve essere senz'altro esclusa" (Cass. 3655/75).
Dal
punto di vista passivo (resistenza in giudizio), la legittimazione
dell'amministratore è più vasta, poiché egli
può essere convenuto per qualunque azione concernente le parti o
i servizi comuni dell'edificio.
L'espressione "parti comuni" non
deve essere intesa in modo soltanto materiale, bensì in modo da
comprendere tutti i rapporti giuridici che sorgano dal bene in
condominio.
Risulteranno comprese anche le parti materiali, destinate all'uso comune dei condomini, ubicate all'esterno dello stabile.
Nemmeno
dal punto di vista passivo l'amministratore può essere convenuto
in giudizio, allorché la controversia incida su diritti
esclusivi dei singoli condomini.
Il terzo comma dell'art. 1131 C.C.
stabilisce che, qualora la citazione o il provvedimento amministrativo
abbia un contenuto che esorbiti dalle attribuzioni dell'amministratore,
questi debba, senza indugio, darne notizia all'assemblea.
L'inosservanza di tale obbligo ha rilevanza puramente interna e il suo
mancato adempimento non fa venir meno la legittimazione processuale
dell'amministratore, esponendo soltanto quest'ultimo ad azioni di
responsabilità da parte del condominio.
Poiché il
condominio non è persona giuridica, ma un ente di gestione,
l'amministratore, nella qualità di rappresentante, potrà
essere citato presso il proprio domicilio, che varrà anche a
determinare la competenza territoriale nei giudizi aventi ad oggetto il
pagamento di contributi condominiali, quale luogo di adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio.
Tale domanda, non essendo diretta alla conservazione dell'immobile, non rientra nella legittimazione dell'amministratore, ma resta nell'esclusiva disponibilità dei singoli condomini.
Le azioni reali nei confronti dei terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, tra cui l'azione di rivendica, poiché tendono a statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi ed esulano dall'ambito degli atti meramente conservativi, possono essere proposte dall'amministratore del condominio solo se regolarmente autorizzato dall'assemblea.
L'esperimento di tale azione, da parte dell'amministratore, richiede l'autorizzazione dell'assemblea o il mandato espresso dei singoli condomini, vertendo in tema di azione a carattere reale, con finalità non meramente conservative, che esula dalle normali attribuzioni dell'amministratore stesso.
L'amministratore del condominio, in quanto tenuto ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea, ha la legittimazione ad agire nei confronti dei condomini inadempienti alle obbligazioni di pagamento dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, senza necessità di una specifica autorizzazione, trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni.
La sentenza 2463/67 ne ammette la possibilità.
L'amministratore del condominio è legittimato passivamente a stare in causa nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose e i servizi comuni promossi dal condomino dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare, in quanto la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all'interesse particolare di uno di essi.
Tale legittimazione sussiste tutte le volte in cui sorga controversia sull'esistenza e sull'estensione di servitù prediali costituite a favore o a carico dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso, perché trattasi di servitù esercitate o subite indistintamente da tutti i condomini e non singolarmente da ciascuno di essi.
L'amministratore
cessato dalla carica non è legittimato ad impugnare la sentenza
- resa nella causa cui egli abbia partecipato in rappresentanza del
condominio stesso - pronunciata successivamente a tale cessazione,
accompagnata da revoca espressa del precedente mandato.
Poiché
il condominio è un ente di gestione, sfornito di
personalità giuridica, l'esistenza dell'organo rappresentativo
non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa dei diritti
esclusivi e comuni, inerenti all'immobile condominiale, né del
potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata
legittimamente assunta dall'amministratore o di impugnare. Tale diritto
è limitato dalla possibilità di conflitto di interesse
con gli altri partecipanti, con la conseguenza che il singolo condomino
non è legittimato ad agire da solo per gli atti di ordinaria
amministrazione della cosa comune, quando l'azione potrebbe trovarsi in
contrasto attuale o potenziale con gli interessi degli altri condomini.
In
tale ipotesi, costoro dovranno essere messi in condizione di
contraddire alla domanda, affinché la decisione possa far stato
anche nei loro confronti.
Qualora l'oggetto della lite riguardi
congiuntamente diritti condominiali e diritti dei singoli,
l'amministratore deve essere convenuto in giudizio insieme con tutti i
condomini interessati.
La responsabilità dell'amministratore, in materia civile, può discendere da comportamenti od omissioni.
La
prima forma di responsabilità può derivare dal fatto di
aver oltrepassato i poteri attribuiti dalla legge, dal regolamento
condominiale o dall'assemblea oppure dal fatto di aver agito, in sede
di esecuzione di una delibera, in modo difforme rispetto a quanto
previsto dalla stessa; la seconda dalla violazione dell'obbligo di
vigilare sulle cose comuni, di provvedere ai necessari lavori di
manutenzione ordinaria o di effettuare ciò che la legge e il
regolamento impongano.
Nella sentenza della Cassazione 8804/93 si
legge: "L'amministratore del condominio è responsabile dei danni
cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e in genere
di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari". La
medesima sentenzaaggiunge: "(l'amministratore) non può essere
ritenuto responsabile, ancorché sia tenuto a far osservare il
regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso dei condomini
nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e
disciplinari nei confronti dei singoli condomini, salvo che il
regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 disp. att. C.C.,
preveda la possibilità di applicazione di sanzioni nei confronti
dei condomini che violano le norme da esso stabilite".
Per la
configurazione della responsabilità è necessario che
sussista un danno e che lo stesso sia conseguenza del comportamento
illecito, attivo od omissivo, dell'amministratore.
Una specifica
forma di responsabilità è prevista dall'art. 1131, 3°
e 4° comma C.C., secondo il quale l'amministratore che non informi
l'assemblea, nei casi dovuti, delle azioni rivolte contro il condominio
o dei provvedimenti dell'autorità amministrativa, è
tenuto al risarcimento del danno. Per quanto riguarda l'obbligo
dell'amministratore di provvedere, in materia di portierato, alle
denunce contributive e al pagamento dei contributi previdenziali, la
giurisprudenza ha affermato che, in caso di omissione o ritardo,
l'amministratore è tenuto a rivalere il condominio delle somme
da questo versate all'INPS a titolo di sanzioni amministrative.
La
responsabilità penale dell'amministratore può discendere
dall'art. 677 C.P. (omissione di lavori necessari per rimuovere un
pericolo), in quanto si tratti della manutenzione ordinaria, che gli
compete, oppure di incarico ricevuto dall'assemblea in ordine alla
manutenzione straordinaria.
Ulteriori profili di
responsabilità penale possono derivare dall'inosservanza di
ordinanze di pubblica sicurezza relative alle parti comuni
dell'edificio.
IL
R.D. n. 56/1934, non più in vigore, prevedeva che, nei condomini
numerosi, l'amministratore fosse coadiuvato da un consiglio composto di
almeno due membri, scelti tra i partecipanti al condominio.
Tale consiglio aveva poteri consultivi e di controllo.
Attualmente,
il consiglio sopravvive nella prassi di numerosi condomini e assume i
compiti che gli vengono attribuiti dall'assemblea.
Analogo discorso
può compiersi per "le commissioni", talora nominate per
specifiche scelte o per definire le modalità di esecuzione delle
delibere. I componenti delle suddette commissioni devono ritenersi
responsabili a titolo personale per eventuali danni arrecati
nell'adempimento degli incarichi ricevuti. La loro attività
resta limitata al mandato ricevuto e non può sovrapporsi ai
compiti dell'amministratore o dell'assemblea.
Le
opere di straordinaria manutenzione devono essere deliberate
dall'assemblea, con maggioranza qualificata, quando siano di notevole
entità.
L'art. 1135 C.C. prevede che esse possano essere
disposte dall'amministratore quando rivestano carattere urgente, con
onere di riferire alla prima assemblea.
Tale norma non configura un
obbligo, ma una facoltà dell'amministratore, il cui non uso non
può essere fonte di responsabilità, sempre che, in
alternativa, sia convocata l'assemblea e sia assunta ogni idonea
iniziativa volta ad evitare danni.
Per ciò che concerne la
figura dell'amministratore di condominio, le norme che ne definiscono
le caratteristiche sono: artt. 1105, 1106, 1129, 1130, 1131, 1133 C.C.;
art. 63, art. 64, art. 65 disp. att. C.C.