Per
innovazione (art. 1120 C.C.) si deve intendere una radicale e completa
trasformazione della cosa comune, altrimenti si deve parlare di
migliorie o modifiche, ricadenti sotto la disciplina dell’art.
1102 C.C. Quest’ultimo assoggetta l'uso della cosa comune da
parte di ciascun condomino al duplice limite di non alterarne la
destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto; e tale principio vale,
ovviamente, anche per le modificazioni che il condominio, ai sensi
della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior
godimento della cosa comune.
Secondo il Codice Civile (art. 1120),
l’assemblea condominiale, con un numero di voti che rappresenti
la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore
dell’edificio, può approvare tutte le innovazioni dirette
al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior
rendimento delle cose comuni.
Si parla di maggioranza di condomini e non dei presenti all’assemblea.
Per
esempio, se il condominio è costituito da 20 condomini, la
delibera è valida se erano presenti e favorevoli almeno 11 che
rappresentano i due terzi del valore dell’edificio, cioè
667 millesimi. Viceversa se 19 condomini su 20 hanno votato a favore di
una delibera e l’unico che ha espresso voto contrario rappresenta
più di un terzo dell’edificio, la suddetta delibera non ha
validità. Se all’assemblea partecipano 9 condomini che
rappresentano oltre i due terzi dei millesimi, la delibera non è
valida perché non era presente la maggioranza dei condomini.
Sono
vietate le innovazioni che arrechino pregiudizio alla stabilità
e alla sicurezza dell’immobile o che ne alterino il decoro
architettonico. Per le innovazioni che rendano parti comuni inservibili
all’uso o al godimento, anche di un solo condomino, occorre
l’unanimità dei partecipanti al condominio.
L’uso
della cosa comune da parte di ciascun condomino impone di non alterarne
la destinazione e di fare in modo che anche gli altri partecipanti
possano goderne, secondo il loro diritto; tale principio vale,
ovviamente, anche per le modifiche che il condomino, ai sensi della
stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior godimento
della cosa comune.
Ad esempio è vietata la costruzione nel
cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unità
immobiliare sita ad un livello più alto, attraverso una finestra
trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio
di passo carrabile e di area di parcheggio del traffico veicolare a
servizio dell'unità immobiliare utilizzata non più ad uso
abitativo, bensì commerciale.
Le modificazioni della cosa
comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal
singolo condomino ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un
migliore e più intenso godimento della cosa medesima,
costituiscono una consentita esplicazione del diritto di
comproprietà ex art. 1102 C.C., ove non implichino alterazioni
della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i
diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Diversamente, si
risolvono in un’innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 C.C.,
e nel caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il
servizio di una singola unità abitativa - seppure consentita con
deliberazione dell'assemblea dei condomini a norma del quinto comma
dell'art. 1136 C.C. - comporta sottrazione di una parte del suolo
comune alla sua naturale destinazione e all'uso e godimento degli altri
condomini.
Un discorso a parte meritano le innovazioni voluttuarie e quelle che necessitano di una spesa molto onerosa.
Secondo
il Codice Civile (art. 1121) qualora l'innovazione comporti una spesa
molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari
condizioni e all'importanza dell'edificio e consista in opere, impianti
o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non
intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella
spesa.
Se l'utilizzazione separata non è possibile,
l'innovazione non viene consentita, salvo che la maggioranza dei
condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne
integralmente l’onere economico.
Nel caso previsto dal primo
comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in
qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo
nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
L’installazione
di un impianto di aria condizionata, un impianto di citofoni con video,
un’antenna televisiva parabolica e centralizzata, per esempio,
sono da considerarsi innovazioni voluttuarie e utilizzabili
separatamente. In questi casi il condomino dissenziente può non
usufruire della maggiore comodità e quindi può
rinunciarvi, dichiarandolo in assemblea, e deve fare inserire nel
relativo verbale il dissenso, se presente, oppure entro 30 giorni dalla
notifica della delibera, significando all’amministratore il suo
dissenso. Il condomino dissenziente non è tenuto a partecipare a
nessuna spesa, fermo restando il diritto, imprescrittibile, di
parteciparvi e di usufruirne in qualsiasi momento previo pagamento
della sua quota, per la spesa fatta, al momento
dell’installazione, rapportata al valore della moneta corrente,
oltre alle eventuali spese effettuate per la manutenzione. Fino a
quando il condomino rinunciatario o i suoi eredi o il subentrante nei
suoi diritti non esercita la facoltà di parteciparvi, egli non
ha nessun diritto di comproprietà sulle suddette opere.
Viceversa, se si tratta di spese voluttuarie (come abbellire la
facciata, cambiare la pavimentazione di un cortile al solo scopo di
renderlo più lussuoso), pur non avendo contribuito alle spese
necessarie, egli è comproprietario delle dette opere. Il
problema, però, è quello di stabilire se le opere siano o
meno voluttuarie o/e gravose. Queste valutazioni costituiscono sempre
fonte di contrasto fra i condomini e, molto spesso, per la
soggettività delle interpretazioni, esse vengono lasciate alle
decisioni del giudice. Per stabilire se le opere siano eccessivamente
gravose o voluttuarie o tutti due i fattori contemporaneamente si deve
tener conto della spesa rapportata al valore e all’importanza
dell’edificio. Naturalmente la gravosità può anche
essere stabilita tenendo conto della situazione economica e finanziaria
dei singoli condomini. Ciò ad evitare che qualche condomino
più facoltoso possa imporre la propria volontà agli altri
condomini, di più modeste condizioni economiche e quindi non in
grado di sopportare l’eccessiva spesa per un miglioramento non
strettamente necessario.
È anche vero però che,
essendo impossibile indagare sulle effettive capacità economiche
dei singoli partecipanti alla comunione, il riguardo alle condizioni
economiche dei partecipanti si può avere senza tralasciare di
considerare gli altri elementi che caratterizzano un’innovazione
non indispensabile quali: tipo dell’edificio, il rapporto del
costo con l’utilità che i partecipanti ne ricavino ecc.
Considerato
comunque che i fattori da tener presente sono numerosi, la cosa
migliore sarebbe di interpellare prima, in un’assemblea
esplorativa, tutti i condomini e decidere in seguito se eseguire o meno
un’opera innovativa non necessaria alla conservazione
dell’edificio.
Per il principio secondo il quale tutti i partecipanti alla comunione possono servirsi delle cose comuni come meglio credono purché non impediscano agli altri di fare altrettanto, ogni condomino può apportare, a sue spese, modifiche o migliorie alle cose comuni purché esse non vengano danneggiate e che le stesse migliorie vadano a vantaggio di tutti. Se un condomino o un gruppo di condomini, a proprie spese, decide di sostituire la vecchia serratura elettrica di un cancello esterno con una elettronica che si comandi a distanza, può farlo dando però la facoltà a tutti di usufruire del vantaggio. Viceversa se gli stessi vogliono mettere le verande ai propri balconi, gli è vietato, sia perché la miglioria, se di miglioria si tratta, non va a vantaggio di tutti e sia perché il decoro dell’edificio ne può venire danneggiato oltre alla riduzione del godimento di coloro che possono vedersi ridurre la visuale e la luce.
Al
pari dei diritti che ciascun condomino ha sulle parti comuni
dell'edificio, vi è un obbligo per ciascuno di essi di
contribuire alle spese necessarie per la conservazione delle parti
comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali. l'art. 1123 C.C.
dispone che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento
delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi
nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza
siano sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della
proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Il Codice
Civile quindi dà ampia libertà contrattuale ai condomini
che possono, con le appropriate procedure e modalità, stabilire
un diverso criterio per la ripartizione delle spese.
L’uso
diverso va inteso non in termini di quantità in base ad una
situazione soggettiva, cioè rapportata ai gusti, al numero delle
persone che compongono il nucleo familiare ecc., bensì
all’uso oggettivo che si può fare della cosa comune.
Se
solo una parte dei condomini, per l’ubicazione dei propri
appartamenti, usufruisce di una scala per andare in giardino o in
garage, è naturale che la ripartizione delle spese di
manutenzione della stessa sia effettuata tra chi potenzialmente se ne
può servire.
Qualora un edificio abbia più scale,
cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una
parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione
sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Una
distinzione tra questi due tipi di spese si impone per il semplice
fatto che una cosa è l’uso e un’altra il diritto di
proprietà. In altre parole, se si decide di effettuare
un’innovazione come per esempio l’installazione di un
ascensore o di un impianto di aria condizionata o altro, le spese
relative vanno suddivise in base ai criteri già accennati, e
cioè ognuno è tenuto a concorrere in base al valore della
sua quota di proprietà. Questo perché, quando si eseguono
opere che incidono sul valore totale dell’edificio, tutti i
condomini, diventandone comproprietari, ne ricevono vantaggio.
Viceversa, nel caso per esempio dell’ascensore, non tutti
usufruiscono del servizio in ugual misura o addirittura non ne
usufruiscono affatto. In questi casi le spese di manutenzione vanno
ripartite secondo l’uso più o meno intenso che ciascuno
può farne.
La giurisprudenza ha consolidato sempre
più il sistema secondo il quale metà della spesa va a
carico di tutti i condomini in base ai rispettivi millesimi di
proprietà e l’altra metà in proporzione al piano.
Il
discorso inerente la distinzione tra spese di manutenzione e spese di
installazione è riferibile anche alla problematica inerente la
ripartizione degli oneri fra proprietario e locatario.
Le
scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a
cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per
metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano
e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di
ciascun piano dal suolo.
Al fine del concorso nella metà
della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si
considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere
a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà
comune.
Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto (art. 1125 C.C.).
La costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio è regolamentata dall’art. 1127 C.C.
Il
proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi
piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La
stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del
lastrico solare.
La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.
I
condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se
questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio, ovvero
diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.
Chi
fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini
un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con
la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello
da edificare e detratto l'importo della quota a lui spettante. Egli
è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare che i
condomini avevano il diritto di usare.
L’art. 1128 C.C. tratta del perimento totale o parziale dell'edificio.
Se
l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre
quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la
vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato
diversamente convenuto.
Nel caso di perimento di una parte minore,
l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti
comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in
proporzione ai suoi diritti sulle parti stesse.
L'indennità
corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è
destinata alla ricostruzione di queste. Il condomino che non intende
partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere
agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva
proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che
non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei
condomini.