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Dal giornale Monitor " La politica in bianco e
nero "
di
Giovanni Cammareri
cammareri@monitortp.it
Le novene e i riti di Natale
Riparto da Santa Lucia.
In questa breve carrellata di cose nostrane legate all'ultimo mese
dell'anno, ricomincio dal 13 dicembre per una singolare credenza un
giorno casualmente appresa ascoltando un anziano.
A prescindere dalla notizia attinta, non potei fare a meno di
pensare immediatamente ad una meravigliosa convinzione che, non
ricordo in quale parte dell'Africa, nutrono. Dicono, laggiù, che
quando muore un vecchio è come se andasse a fuoco una biblioteca.
Vagli a dare torto.
Io, personalmente, di storie ne ho sapute, grazie a loro, e nella
fattispecie quella legata a Santa Lucia riguarda i cosiddetti
carènnuli di Natali.
I carènnuli, ossia, più o meno, calende, consistono nel presagire il
tempo che farà in ciascun mese dell' imminente anno nuovo. Sono i
dodici giorni precedenti al Natale a suggerire al mondo contadino,
che di fatto ha tutto l'interesse a conoscerlo, il buono o cattivo
tempo di ciascuno dei dodici mesi.
Basta fare attenzione alle giornate a partire dal 13, appunto, che
rappresenta gennaio; il 14, febbraio; il 15, marzo e così via fino
al 24, che interpreta dicembre. A seconda di come sarà ciascuna di
queste giornate, sarà il mese corrispondente.
Insomma, li dudici misi di l'annu novu, si cumincianu di li dudici
jorna prima di Natali, stabilisce un antico detto contadino
tramandato dal solito Pitré. Gli stessi contadini erano pure
convinti di una radicale contrapposizione fra il giorno di Natale e
quello di Pasqua. Se bello il primo, sarà brutto il secondo e
viceversa.
In città le cose erano relativamente diverse.
Con l'inizio di dicembre i venditori ambulanti reclamizzavano
arvuliddi e racinedda pu prissepiu, agitando le strade fin dal primo
mattino perché nelle case e nelle chiese i presepi venivano
allestiti per il giorno dell'Immacolata.
A Trapani avevano ottima rinomanza quelli preparati nelle chiese
delle badie, in particolare, Badia Grande, Santa Elisabetta, Santa
Chiara (attuale piazza Iolanda). A Sant'Andrea (occupava l' area
della scuola elementare Leonardo da Vinci), Santa Maria di Gesù,
nell'oratorio dei Salinai, attiguo alla chiesa di San Francesco
d'Assisi, gli altri ad unanimità ammirati.
Il giorno sedici iniziava 'a nuvena. Non solo quella ufficiale nelle
chiese, delle quali San Pietro in particolare e la chiesa del
Collegio pare siano rimaste impresse nei ricordi dei soliti anziani.
La prima grazie all'orario d'inizio delle funzioni (le cinque e
mezzo del mattino), la seconda per l'intervento di predicatori e
teologi durante i nove giorni che si susseguivano.
Era però il novenario della gente, fatto di suoni popolari, magiche
atmosfere ormai perdute che, scevro da schemi celebrativi ufficiali,
inebriava strade e vicoli di un dolce senso di attesa, da qualcosa
che oserei chiamare semplicemente vigilia, giusto per i giorni che
tali dovevano essere e non certo, come accade adesso, con
preparativi ostentati fin dai primi di novembre.
Allora, cantastorie ciechi e ciaramiddari andavano in giro a cantare
le storie che toccavano l'anima. Melodie e parole semplici innanzi
le abitazioni che avevano appunto preso, prenotato, oggi si direbbe,
la novena fin dalla mattina del giorno 16, quando i vari gruppi di
esecutori compivano una sorta di giro dimostrativo. Se l'esecuzione
piaceva, la novena veniva perciò presa e il muro dell'abitazione
della famiglia segnato con il carbone o con il gesso.
I ciaramiddari andavano in giro durante le ore pomeridiane e serali.
La notte era dei cantastorie ciechi, popolarmente detti anche
ninareddi non solo per come venivano chiamate le nenie, ma poiché
solitamente accompagnati da bambini che, in spagnolo, erano stati
ninos. Violino e triangolo erano i soli strumenti musicali di cui si
avvalevano.
Passiamo adesso al Capodanno. Trova la propria origine nel
calendario Giuliano entrato in vigore nel 46 a. C. e al culto pagano
di Giano Bifronte, con i suoi due volti costretto a guardare avanti
e dietro (futuro e passato). L'incremento di tale culto servì
probabilmente anche da espediente per giustificare la soluzione di
far coincidere la preesistente elezione dei consoli romani e
l'inizio di un ciclo preciso che venne fissato a partire dal primo
gennaio, mese che da noi ha poi prodotto il maggior numero di
proverbi legati ancora alla meteorologia e alla cultura rurale.
Per esempio: gennaiu vagnatu, burgisi cunsumatu. Oppure l'ovvio
contrario: gennaiu siccu, burgisi riccu.
Fra le usanze locali, a simboleggiare l'epurazione dagli intralci
del passato, era in uso gettare dai balconi i più disparati oggetti
ritenuti inutili, mentre il pranzo di Capodanno richiedeva lasagne
preparate in casa.
E infine l'Epifania che, come si dice, tutte le feste porta via.
I Tre Re, peraltro protettori dell' antica Maestranza palermitana
dei Bottegai, rappresentano un po' il simbolo della giornata.
Facenti parte di una antica casta sacerdotale dell'etnia dei Medi,
pare si intendessero di astronomia, astrologia e interpretazione dei
sogni. Essendo inoltre depositari del supremo sapere essi avrebbero
avuto conoscenza della nascita del Messia, u veru Missia di quella
vecchia filastrocca scaccia giorni, spunto del presente excursus
festivo.
Ma il 6 gennaio è pure il giorno della Befana, ormai innestata nei
nostri usi e costumi analogamente all'albero di Natale. La classica
vecchietta giunge a bordo della tradizionale scopa e porta regali ai
bambini in un evidente parallelismo con i biblici doni che Gesù
Bambino ricevette.
E a proposito ancora di Magi e modi di dire, tipico quello nostrano
del doppu i tri re si rice olé , che sta a significare l'apertura a
un periodo un po' più rumoroso e frivolo o, meglio ancora, che
passata l'Epifania il Carnevale è alle porte. Come dire, ci risiamo,
nella frenetica corsa dei giorni che spesso vorremmo fermare e il
desiderio opposto e insopprimibile di accelerarla scansionandole con
le feste. Il motivo? Esorcizzare il tempo per esserci sempre. E
scusate se è poco.
Giovanni Cammareri
cammareri@monitortp.it
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