L’isola di S.Arian

Sant’Arian, un’isola da recuperare

 

 Le barene che oggi circondano il recinto sacro dell’ossario di Sant’Arian e – sulla sponda opposta del vicino canale della Dolce, antico ramo lagunare del Sile – quelle che conservano i miseri resti del piccolo insediamento rurale dell’isola de La Cura, videro nel corso dell’Alto Medioevo il fiorire d’un importante insediamento agricolo-commerciale, chiamato Costanziaco.

 

Recenti indagini archeologiche, condotti negli ultimi decenni da Ernesto Canal, hanno consentito di individuare una fitta trama di edifici civili e religiosi, con banchine attrezzate e magazzini affacciati sulle due sponde dell’alveo del Sile. Ed anche una complessa rete di “strade-terrapieni”, elevata rispetto al piano di campagna, realizzata intorno al VII secolo d.C. con ogni probabilità per garantire la praticabilità dell’insediamento nel corso d’una prolungata fase di innalzamento del medio-mare.

 

Il progressivo degrado delle condizioni ambientali portò ad un graduale spopolamento di quella comunità, che non venne tuttavia mai del tutto abbandonata. Nel corso del XIII secolo alcune delle maggiori famiglie originarie – come i Viaro, emigrati a Venezia in quell’epoca – donarono infatti le loro proprietà a duo ordini religiosi, che vi edificarono i monasteri di Sant’Arian e San Maffio.

 

 Fra Quattro e Cinquecento l’impaludamento favorito dal prevalere delle acque dolci su quelle salmastre ed il conseguente “malaere” costrinsero le ultime professe a trasferirsi a Mazzorbo e Venezia, poiché, come segnala una cronaca coeva “particolarmente nell’estate tanta è l’intemperie dell’aria et moltitudine de’ serpenti, che vanno sino nelle celle delle istesse monache” . Di lì a breve, sulle rovine del monastero di San Maffio, la Serenissima eresse l’ossario, impropriamente chiamato di Sant’Arian, ove “si ripongono i corpi et ceneri essistenti in quei sepolcri di questa città che vengono di tempo in tempo vuotati”. Utilizzo continuato fino a pochi decenni or sono, quando l’abbandono del sito favorì un incontrollato sviluppo della vegetazione ed una serie di vandalismi alle strutture edificate, cui oggi la benemerita Arciconfraternita di San Cristoforo intende por finalmente rimedio.