"Non possiamo permetterci il lusso di aspettare"
P. Umberto Davoli


Enciclica Natalizia '99
Erano venuti a trovarmi per fare "un'esperienza Africana". Un gruppetto eterogeneo: un paio di giovani idealisti e sognatori, indifesi e commoventi; una coppia di mezza età, un po' cinica, perché scottata da esperienze negative; qualche anima in pena alla ricerca di risposte illuminanti . . .
Quella Domenica mattina decisi di portarli ad assistere alla liturgia eucaristica nella singolare basilica della stazione missionaria di Mwambashi, ancora in costruzione. Dodici metri per sette, per due e mezzo di altezza; pareti di fango ancora largamente incompiute, soprattutto dietro l'altare, dove si spalancava - suggestiva - la veduta della foresta, più verde che mai dopo un mese di piogge.
La carreggiata era al limite del temerario e la mia fuoristrada sprofondava paurosamente nei solchi di fango. Nei lunghi tratti allagati l'acqua mi saliva sul cofano, irrorandoci di abbondanti spruzzi anche in cabina, date le megafessure delle portiere. A ogni spruzzata, era uno scoppio di ilarità.
Arrivammo fradici e incolumi, accolti dai canti polifonici (senza ironia) nella cattedrale già gremita fino all'inverosimile.
Ero a metà omelia, quando vidi i colli dell'assemblea torcersi all'unisono con buffo sincronismo. Mancò poco che non mi inorgoglissi: 'Accipicchia, come li ho toccati sul vivo!'. . . Ma mi accorsi subito che non ero io al centro del loro interesse: fissavano ben oltre la mia persona, laggiù nel folto della brousse. Mi girai a mia volta . . . e che ti vedo? La coppia del secolo, anzi, quasi dei due secoli, perché insieme raggiungevano i 190 anni buoni! Il mese precedente avevo benedetto il loro matrimonio, dopo una serena convivenza di almeno settant'anni. A braccetto per sostenersi a vicenda e puntando un bel bastone a testa sul sentiero, avanzavano barcollando nelle pozzanghere e nella fanghiglia, spinti più dal vento che dalle loro energie.
Esterrefatto, interruppi di botto il panegirico e corsi loro incontro.
'Shikulwifwe, Kanabesa! (che non è una parolaccia, ma significa semplicemente 'nonno nostro riverito!', ed è un'espressione di estremo rispetto). 'Ma cosa combinate? Perché mai siete usciti di casa sotto questo diluvio?' . . . ('Casa' - ne ero ben cosciente - era un eufemismo: abitavano in una capannina fatiscente, di nove metri quadri scarsi, ad almeno tre chilometri dalla chiesetta. Con quel passo, dovevano averci impiegato almeno due ore sotto quell'acqua! Ansanti e stralunati, non poterono rispondermi subito. Li trascinai al coperto, li feci sedere vicini a me. Erano fradici e tremavano dal freddo. Li asciugai alla meno peggio con la tovaglia che avevo tolto dall'altare, borbottando tra me e me: 'Gesù, fa che non mi piglino un colpo proprio ora!' . . . Si ripresero in un baleno e divennero perfino arzilli, consci di averla fatta proprio bella. Ripresi il mio tono di rimprovero: 'Ma perché, nonno? Non potevi aspettare un giorno migliore?'.
Mi sciorinò un meraviglioso sorriso sdentato: 'Ma noi non possiamo permetterci il lusso di aspettare. Volevamo ricevere il Signore almeno una volta ancora. Chi mi dice che quando verrai il mese prossimo saremo ancora in vita?'
Dio, che predica!
La tradussi ai miei ospiti Europei ed ebbi il buon senso di non rovinarla riprendendo la mia omelia, per cui procedetti con il santo Sacrificio. Ero alla consacrazione quando si squarciarono le nubi e ne uscì un sole vestito a festa, assolutamente glorioso.
Non si parlò più dell'episodio con il gruppo ospite . . . Due mesi dopo, però, ricevetti una lettera dalla coppia un po' cinica e in crisi. 'Stiamo frequentando un gruppo di preghiera. Oggi, come i tuoi due commoventi vecchietti, abbiamo ricevuto insieme la nostra prima Eucarestia, dopo vent'anni agnostici e grigi. Da troppo non eravamo stati così felici. Vogliamo solo ringraziarti e farti partecipe della nostra gioia.
Piccole esperienze di vita missionaria. Piccole, ma ti illuminano la vita.
* * *

E' tutta questione di fede, amici. Credetemi: tutta questione di fede.
Se uno ha l'occhio radioscopico, per istinto riesce a vedere 'dentro le cose' . . . e respira speranza. Chi invece resta in superficie, entra inevitabilmente in crisi: la sua speranza viene sommersa dal quotidiano rigurgito del male che sembra paurosamente guadagnare terreno sul bene. Come se la città umana fosse adagiata ai piedi d'un colossale vulcano in continua eruzione, sicché l'immensa colata di lava incandescente stesse inesorabilmente ghermendosi ogni spazio vitale, metro dopo metro . . . e noi si fosse lì, impotenti, ad osservare il compiersi - sempre più imminente - dello scempio finale.
La cronaca dei quotidiani e i notiziari televisivi continuano a propinarci una ridda di eventi crudeli: dai genocidi alle pulizie etniche, dagli stupri di massa alle violenze sui minori, dal saccheggio indiscriminato della natura e delle sue risorse, al tragico dilagare della droga . . . e all' incosciente massacro dei valori dolorosamente affermatisi in millenni di civile fatica dell'umana famiglia . . .
Violenza e inganno, doppiezza e ipocrisia, egoismo e crudeltà, prevaricazione, odio e ingiustizia . . . Questo è quanto appare all'occhio superficiale. E' l'autentico trionfo della cattiveria sic et simpliciter: uno spettacolo davvero deprimente! Allora si è presi da un senso di scoramento, da una stanchezza viscerale, dalla nausea per questo inutile, immane sforzo di dover continuamente remare controcorrente - pur continuando a perdere terreno - per non essere travolti d'un colpo .
Ma non è così per chi ha fede.
Chi ha fede sa cogliere il silenzioso, inarrestabile crescere del Regno, come buon seme che sembra marcire, ma improvviso si spacca e germoglia nel ventre della terra; come l'inavvertito lievitare della pasta che si fa buon pane.
Ogni giorno, miliardi di silenziosi atti d'amore, non colti dai distratti e velati dal pudore di chi li compie, sollevano il mondo verso altezze mai raggiunte. Ignote fedeltà pagate con innumerevoli lacrime; tragedie illuminate dalla fede serena dei semplici che sanno ringraziare Dio anche da sotto la croce: il mistero del perdono che tanti innocenti, con inconsapevole eroismo, sanno donare a chi li perseguita; il pianto inconsolabile (o l'angoscia senza lacrime) di chi non sa darsi pace perché, come diceva Francesco, "l'Amore non è amato" . . . (un gran bel piangere! proprio quello a cui il Cristo assegnò la palma della beatitudine: "Beato chi piange perché ha fame e sete di giustizia"; l'oscuro dono di sé di quanti hanno assaporato che (veramente!) c'è più gioia nel dare che nel ricevere . . .
Tutti miracoli che non fanno notizia: non appaiono sui quotidiani, non entrano nei nostri telegiornali, eppure hanno un potere dirompente contro le forze del male. Ma poi lo sappiamo bene. L'intero universo è tuttora nelle doglie del parto: il cosmico parto di un mondo nuovo e di una sempre nuova umanità, destinata - per 'vocazione' inscritta nel suo DNA costitutivo - a radicarsi sempre più nell'amore. . . E se ogni parto è un evento doloroso, questo è il più doloroso e il più travagliato di tutti.
Iniziò - stando alla scienza - diversi miliardi di anni or sono, quando l' originaria energia ('Sia fatta la luce!') frenando il proprio impeto, si materializzò; e poi quando la materia informe, scagliata negli spazi in espansione, sentì il richiamo d'una legge d'amore chiamata 'gravità' e, invertendo la rotta, cominciò a ricercarsi, a ricompattarsi . . .
Ne scaturirono galassie di stelle e pianeti, e su questi - come per un irrepetibile miracolo - sbocciò a suo tempo la vita in miriadi di forme sempre nuove, tutte inconsciamente protese a generare realtà più alte e complesse, espressioni più evolute e più nobili, fino a produrre pensiero e autocoscienza, e capacità di sacrificio e d'amore!
Fin qui ci conduce la scienza, ma qui si ferma. Ad essa compete il descriverci 'come' il tutto è avvenuto, e cioè le dinamiche, i meccanismi del processo evolutivo; ma il suo compito termina qui. Non si chiedano ad essa i perché di tutta questa storia gloriosa; né le si chieda di dirci se e quale senso abbia questa evoluzione dall'atomo primigenio alla galassia, dall'inconscio replicarsi del microbo fino all'amore di un uomo e di una donna . . . Essa non può entrare nel campo segreto dei perché e dei valori, dei significati profondi, delle vocazioni e dei destini: i suoi strumenti sono sordi a questo tipo di rivelazione.
Chi voglia davvero trovare risposte a questi quesiti, deve solo prestare l' orecchio alla Parola, quella che per portare a compimento il 'Disegno' originario, da cui ebbe inizio l'avventura del cosmo, nella pienezza dei tempi volle esprimersi in linguaggio umano . . . anzi, "si fece carne ed abitò tra noi".
Ecco il cuore del mondo.
E' in Lui, il nuovo palpito della storia, e solo in Lui anche la carne fiorisce in un perenne sogno d'amore, in volontà d'amore senza resa alcuna . . .
Buon Natale, amici.
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