Una Fede Possibile?
(Riflessioni di un povero missionario sulla sua fede inesprimibile)

P. Umberto Davoli


L’avevo conosciuta sorridente e gloriosa quando, a diciott’anni, scavalcava con balzo da gazzella le aiole delle Domenicane nella missione di Ibenga. Suor De Pace, la preside della scuola, me l’aveva presentata come la ragazza più intelligente, più sensibile e ‘bella dentro’ che ella avesse incontrato nei suoi molti anni di lavoro con la gioventù.

Laureata all’università di Lusaka, l’avevo sposata a un ottimo giovane e il loro amore era stato benedetto da quattro figli stupendi: una famiglia veramente felice. Ora stava agonizzando su quel letto di pena, assistita da me e dai figli: una trasfusione maledetta, dopo l’ultimo parto, le aveva inoculato il virus della ‘peste del secolo’ ch’ella inconsciamente aveva poi trasmesso al marito, il primo a morirne, due anni prima. Pallida, estenuata, stentava a respirare e quel suo rantolo lungo ti feriva nell’anima. Ad ogni sforzo le si gonfiava – insopportabile! – quella vena, lì sul collo, pulsando in spasmi visibilmente dolorosi ed ella apriva gli occhi imploranti… eppure tentava di sorridere.

Ma Dio non vede… o non gli importa nulla?”, mi aveva sussurrato all’orecchio il figlio maggiore in uno sfogo disperato. “Io non gli chiedo che me la guarisca: nessuno più dovrebbe morire se ad ogni figlio, madre o sposo che implora dovesse fare un miracolo! Ma perché deve soffrire così? Non può Dio avere un po’ di pietà, darle un po’ di sollievo… addormentarla e portarsela via dolcemente…” E grosse lacrime gli rigarono le gote.

Come se avesse sentito le parole del figlio, la mamma agonizzante fece uno sforzo sovrumano: tese le braccia e riuscì a sussurrare a strappi: “Prendetemi per mano, bimbi miei… E’ il mio testamento… Vogliatevi bene!… State uniti… sempre!”… Ebbe un attacco di tosse che la scosse tutta, aumentandone il martirio, ma si riprese e continuò: “E non dubitate mai dell’amore di Dio… E’ sempre al nostro fianco… anche quando tace e ci sembra assente!… Abbiate sempre fiducia in lui!…

Mi dissero poi che quella stessa sera era morta sorridendo e che aveva ringraziato il Signore per la fede e per tutto l’amore di cui le aveva arricchito la vita…

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L’avete mai vissuta un’alba sull’Adamello? Io sì. Da quando la vissi, quarant’anni fa, non ho mai tentato di descriverla e non ci proverò nemmeno oggi. Come rendere l’idea di quel mondo assopito ai miei piedi, avvolto in una coltre bianco-panna tutta sciabolata di luce? Come descrivere quel cielo deca-dimensionale, percorso da sarabande di nuvole sdrucite dal vento, che si sbizzarrivano a ricomporsi a ogni istante su nuove forme in technicolor?… E quell’enorme castello all’orizzonte, attorniato da teorie di chiostri e colonnati… ogni arcata con un proprio sfondo all’infinito, dove gli angeli sciorinavano sui raggi del sole bucati di tovaglie variopinte a pastello…? Ecco, lo vedete che è impossibile! Come tutto scade di tono, come sa di retorica o di vezzoso rococò… E’ un’esperienza tutta mia, che posso solamente rivivere ‘dentro’, in silenzioso pudore, ben conscio che fu un’ingiustizia che proprio io ne fossi privilegiato quel giorno… che poi fu pressoché unico in sessant’anni…

Proprio come la fede”, ebbi a riflettere più tardi quel giorno, mentre mi sbucciavo le dita sulle rocce, a caccia di stelle alpine da portare al mio Signore-Eucarestia, come un giovane che rischi la pelle per portare un’edelweiss da record al suo amore lontano…

Come la fede, dicevo: quando ne hai fatto esperienza, anche una sola volta in vita tua, non puoi più farne a meno: senza di essa non respiri… soffochi … perdi la voglia di vivere, né capisci più perché mai l’universo dovrebbe darsi la pena d’esistere…

Si dice: “E il male? E l’ingiustizia? E i bimbi innocenti torturati nel corpo e stuprati nell’anima? E quelli gettati nelle camere a gas di Auschwitz?… Dov’era Dio?!… Ma perché mai taceva?”… … … Ma che, pensano forse che noi credenti non si viva sulla nostra pelle tutta l’assurdità irriconciliabile di questo nostro Dio di misericordia – muto di fronte allo strazio dell’amato? Quel silenzio colossale, quel tragico, osceno silenzio di un Dio che si dice ‘onnipotente Amore’, eppure si eclissa di fronte al Figlio – ogni figlio! – svenato su una croce d’obbrobrio?

Il fatto è che il nostro scandalo è parte viva e integrante della nostra fede, che è fede in un Dio che si fa carne e storia perché la nostra carne e la nostra storia siano divinizzate. Esso è la molla che ci impone di percorrere i ghetti e le baraccopoli del mondo, senza tregua e senza resa alcuna, per trasformarli o, almeno, per seminarvi speranza. E’ proprio questo scandalo che ci impone di gettarci nella mischia, compromessi e spesso sconfitti anche noi, proprio come compromesso e sconfitto è il nostro povero Dio – impotente anche Lui, eccetto che nel suo irrevocabile amore. Per Lui getti sul tappeto la tua vita, ed Egli ti si rivela, coronato di spine in ogni ecce homo, o risorto in ogni testimone fedele che incontri nel tuo pellegrinaggio di fede.

E qui sta il segreto. Perché solo quando ami, quando ti sprechi per amore, puoi credere. E solo nell’amore la tua fede si fa vera, proprio come solo nell’Amore il tuo Dio è il vero Dio, né può essercene un altro. Un Dio annichilito nell’Amore, che riconcilia in Sé i due opposti misteri dell’infinito e del nulla… E allora vedi l’ininterrotta umiliazione dell’essere lungo il fluire dei millenni, convergere trasfigurata e redenta, in un processo senza fine verso l’unità dell’Amore. E immancabilmente sento allora il bisogno di parlare del mio Dio che pochi – mi vien fatto a volte di sospettare – sembrano conoscere. Perché ha una freschezza e una fantasia infinite, il mio Dio. E una pazienza da Dio!... Ed è un Dio che - essendo Amore - altro non può essere che Dio della vita, Dio di speranza, di libertà e di gioia. Sempre e nonostante tutto. Anche quando si ostina a tacere e tu non capisci perché mai lo faccia, ma neppure ti passa per la testa che potresti piantarlo in asso e andartene per i fatti tuoi, perché ormai ti è penetrato nelle ossa, ti circola nelle vene e tu sai bene che dovunque andassi, te lo porteresti nell’anima e nel sangue.

A volte, è vero – e solo Lui ne sa il perché - ti impone un’impari lotta (per quant’è lunga la notte!) come fece con Giacobbe, che ne uscì pesto e malconcio. Allora, piano piano e con enorme pena, impari anche tu ad avere un’infinita pazienza con Lui. Quando proprio ti pare che esageri, osi sfidarlo come fece Yossl Yakover quando, poco prima di morire sotto i colpi nazisti nell’ultima casa libera del ghetto di Varsavia, gli urlò: “Tu fai di tutto perché io non creda in Te, ma se con questo pensi di allontanarmi dalla giusta via, ti avverto, Dio mio e Dio dei miei padri, che non ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo a questo mondo, mi puoi torturare a morte…: io crederò sempre in Te. Sempre ti amerò; sempre, sfidando la Tua stessa volontà. E queste sono le mie ultime parole per Te: Non ti servirà a nulla, perché io invece muoio così come sono vissuto, pervaso da un’ incrollabile fede in Te.” E lo sconfitto, morente Yakover, come solo un testardo, irriducibile Ebreo può fare, con invitta esultanza riprese a gridare la sua preghiera disperata e redentrice: ‘Shema, Israel’... “Ricorda, Israele, il Signore tuo Dio...

No, amici, lasciate pure che ve lo dica senza tema di smentita: se forte e chiara è la nostra fede, infine è Lui che si dà per vinto. . . che poi non c’è nulla che desideri di più. Allora il tempo si fermerà d’un tratto nel bel mezzo del banchetto nuziale tra Dio e il suo popolo – finalmente innamorato. Girandole di supernove illumineranno l’ultimo tramonto, prima che esso sfoci nell’eterna luna di miele quando Creatore e creatura diverranno ‘una carne sola’...

E finalmente saremo nell’unità ed Egli sarà tutto in tutti.


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