Gli alberi già in fiore - flamboyants, frangipane, bouganvilles...
- sparano tavolozze di colore contro l'azzurro compatto, a
malapena stracciato qua e là da timide nuvolette immacolate.
Aspetto solo - con impazienza! - l'esplosione viola delle
Jakarande e poi mi sa che ringiovanirò di dieci anni.
Forse
avevo proprio bisogno del sole e del cielo africano per riprendere
tono. Ma soprattutto avevo bisogno del sorriso dei bimbi, della
pazienza sofferta e serena dei miei poveri. e
della mamme africane, sfigurate dalla stanchezza e dalla
pena, eppure saldamente ancorate alla certezza che la benedizione
di Dio non le abbandona.
Le
strade e i quartieri pullulano di gioventù, spesso stracciata,
senz'arte né parte, ma l'aria vibra di schiamazzi e risa. La fame
è palpabile e la denutrizione sfigura i volti
scarni ed emaciati, eppure quasi tutti continuano a
sorridere impenitenti.
Africa
lussureggiante e dolente; Africa sconcertante eppur gloriosa e
senza resa. Come sempre.
No, non
si sorride così nella nostra Europa 'sazia e disperata'; né
si ama la vita come qui, là dove pare che la speranza dipenda -
per troppi! - dal gonfiore del portafoglio, e dove si dice che si
debba ricorrere al chatting a pagamento per
sconfiggere la solitudine.
... E
pensare che avremmo tutto (ma proprio tutto!) nella nostra
bellissima Italia, per riempirci la vita di gioia e d'amore, se
solo non ci si incaponisse a barattare
il Vangelo di Cristo per quello di 'Mamma TV' e la consolazione
della fede e della speranza per quelle della discoteca.
*
* *
Stavo entrando nella vettura quando mi passò accanto, con quella
vestaglia rattoppata e le scarpacce sfondate che captarono la mia
attenzione. Mi bloccai a mezz'aria a guardarla, tenendo la
portiera spalancata. Procedeva dondolando, sbilanciata dal pesante
borsone coi manici di finta pelle tesi
allo spasimo, a rischio di saltare: trasudava stanchezza. La
seguii con lo sguardo per un bel pezzo: chi sa che fatica,
poveretta, con la sua stazza obesa! Decisi di intervenire.
"Dove
vai, mamma, con quell'accidente di borsone?", dissi abbassando il
vetro mentre mi fermavo al suo fianco. Depose il borsone sul
marciapiede e si terse il sudore che le rivolava sulle gote,
chiaramente più malate che floride.
"Lesa
alintemwa!" (Dio mi ama!), sbottò forte, sfoderando il suo sorriso
più radioso. Le avevo parlato in
Cibemba e ovviamente mi aveva subito riconosciuto come
missionario. Senza nemmeno chiedere se ero d'accordo, prese il suo
mezzo quintale di mercanzia, lo depose sul sedile posteriore e si
sedette al mio fianco.
"E'
tutta malachite! Sono andata a comperarla
in Congo: la lavorano meglio e costa di meno. Ora
debbo portarmela a casa, a Bulangililo".
- "A Bulangililo? Ma sono 8 Km!" - "Eh,
lo so; ma ho finito i soldi e non posso certo permettermi un taxi:
stavo proprio chiedendomi come ci sarei arrivata! Come
vedi, ci ha pensato la Provvidenza".
Continuò a parlare per tutto il tragitto. Soffriva
di alta pressione, ma da qualche mese
non era riuscita a comperarsi le medicine che avrebbe dovuto
prendere quotidianamente, per cui spesso aveva capogiri improvvisi
e si sentiva come svenire.
"Spero
di riuscire a vendere bene questa roba, perché ora dovrò pagare le
tasse scolastiche e le uniformi nuove e le scarpe per i due più
piccoli che iniziano la scuola. per non parlare della farina e del
companatico per tutti: le scorte sono finite da tre giorni".
Vedova da tre anni, con quattro figli, si era accollata tre
nipotini orfani di entrambi i genitori,
uno dei quali handicappato. "Se lo
vedessi: cammina a quattro zampe, poverino!".
Mentre parlava, mi pareva di vedere il
volto di mia madre quando, nel primo dopoguerra, sfollati dopo che
ci avevano bombardato la casa, con nove figli e papà
bloccato in Germania si arrabattava tutta sola a sfamarci,
vestirci, educarci.
Non mi
ci volle molto a sapere cosa dovevo fare. Arrivati a casa sua,
comperai una buona metà della
malachite, pagandola il doppio di quanto mi aveva chiesto; poi vi
aggiunsi una sommetta discreta: "Questi sono per le medicine per
la pressione, per le uniformi e le scarpe dei bambini. e
soprattutto per le tue: con quelle barche sfonde rischi a
ogni passo di cadere anche senza vertigini."
Vidi
due lacrime preziose (come tutte le lacrime dei poveri) scenderle
lentamente sulle guance. Non disse una parola, ma si tenne le mie
mani strette nelle sue per due buoni minuti.
Prima
di svoltare nel viale la sbirciai nel retrovisore: era ancora là,
impalata sulla porta di casa. La vidi farsi il segno della croce.
Passarono due settimane. Poi fui chiamato a Bulangililo per un
moribondo. Di ritorno, trovandomi a due passi da casa sua, decisi
di farle visita. La trovai davanti casa, intenta a vendere una
decina di pomodori che aveva coltivato nei due metri di terra
vicini all'immondezzaio. Quando mi vide
si mise a danzare, ridendo e battendo ritmicamente le mani. Vidi
subito ai suoi piedi le barcacce sfondate che le impacciavano la
danza, ma lei era troppo felice per rendersi
conto del mio disappunto.
"Padre,
sono riuscita a vendere tutta la malachite! Li ho messi tutti a
scuola. e ho comperato provviste per un
mese."
"E
le tue scarpe nuove, dove sono?"
Scoppiò
in una risata interminabile, che mi ricordò il riso argentino di
mia madre. "No, quelle non le ho comperate.
e nemmeno le medicine. ma sono riuscita a fare una cosa stupenda:
vieni a vedere!" . e continuando a ridere, felice come un
bimbo che sappia di averla fatta grossa, mi prese per mano e mi
condusse in casa a vedere il miracolo.
Il
piccolo handicappato era gloriosamente seduto su una seggiola a
rotelle, raggiante . "E' quasi nuova,
vedi? Mi è costata ottantamila lire. ma
guardalo!"
Il
bimbo mi fece un sorriso impagabile. ma la felicità della donna
era addirittura indescrivibile e le sprizzava da tutti i pori.
"Fa' vedere al Padre come ci sai fare, Daniel.".
Senza
farsi pregare il bimbo fece tre volte il giro del tavolo, alla
Schumacher. "Era il mio sogno, Padre; le scarpe e le medicine
possono bene aspettare, non ti pare?"
.
Sentii mamma darmi un buffetto sulla spalla: il suo paradiso,
ne ero certo, era cresciuto
d'intensità.
P. Umberto Davoli