Fratelli
ma non di sangue
Questa è freschissima: di ieri. Stavo ritornando da Luanshya
(70 Km da dove abito) quando, alcuni Km fuori dalla
cittadina, vidi un bimbo sui 6 anni che si sbracciava a
chiedere un passaggio. Un altro più grandicello arrancava
dietro di lui, con un grosso sacco sulla testa... Li feci
salire e sbottai: “Perché non ci pensa papà a portare
questi pesi?” “Papà è morto da due anni”, disse il più
grandino. “E mamma?” “Anche lei ... cinque mesi fa”...
e aggiunse che lui era il primogenito e che l’altro era suo
fratellino e che abitavano con la vecchia nonna. “Cosa
porti in quel grosso sacco?” “Limoni che ho colti
dall’albero in cortile. Li ho portati a Luanshya per cercare
di venderli, ma nessuno li vuole: non ne ho venduto nemmeno
uno!” “A quanto li vendevi?” “Otto per 1000 Kwacha”...
Accipicchia che affari, pensai e mi scappò di calcolare ad
alta voce: “Un Euro sono 6.000 Kwacha: fan 48 limoni per
1 Euro!” ... Pensò che mi stessi lamentando del prezzo e
aggiunse subito: “Ti faccio lo
sconto: posso dartene anche 50 o 60, per 6.000 Kwacha!...”
Mi feci guidare fino alla casa della nonna,
nel poverissimo villaggio di Fisenge, 8 Km da Luanshya
(fatti tutti dal bimbo – più i 5 di ritorno fino al riuscito
autostop – con il pesante sacco sulla testa!) La nonna era
una vecchietta incartapecorita, squassata da un’insi-stente
tosse perniciosa e tormentata dal respiro bolso
dell’asma-tico... Ma il tutto non le impediva di intercalare
ogni sua battuta con sonore risate. Era sotto la tettoia
esterna e stava mondando delle radici selvatiche che aveva
scavato dal campo per il pranzo imminente, ma non aveva un
grammo di farina, né patate o manioca o cassava... Nulla,
eccetto le due radici e un pentolino d’acqua insipida che
stava raggiungendo l’ebollizione. Ovviamente, non c’era
traccia di olio né di altro condimento nei paraggi, e credo
che i bambini nemmeno conoscessero il sapore del pane... a
meno che papà, prima di lasciare questo mondo, non gliene
avesse fatto assaggiare un pezzo, magari in occasione di una
Pasqua o d’un Natale!... Certamente per loro non era
‘un pane quotidiano!’
Osservai la ‘casa’: era una
catapecchia fatiscente, con diversi oblò senza vetri. Cercai
un pretesto per perlustrarne l’interno e dissi a un tratto:
“E’ ancora sicuro il tetto... o vi piove in casa?” Senza
voltarsi, la nonna rispose: “Nell’angolo a destra ci
piove dentro... ma noi ci spostiamo!”... E giù una gran
risata. Entrai. Era una stanzaccia umida e fredda come una
cantina. Una tenda bucherellata chiudeva l’appartamen-to
privato della nonna; dall’altra parte, lontano
dall’angolo piovoso, c’erano dei cartoni per terra: i letti
dei bambini. Non un’ombra di coperta o di zanzariera... e
non potei fare a meno di pensare alle nottate diacce di
questi ultimi due mesi: a volte quasi a zero gradi, prima
dell’alba!
Tornai sull’aia. “Dove tieni le coperte,
nonna? Le hai stese al sole a prendere aria e ad asciugarsi
dall’umidità?” Senza curarsi della voragine sdentata che
mi sciorinava in faccia, si sbilanciò in una risata a tutto
sesto, presto naufragata in una penosa sequenza di lugubri
colpi di tosse: “Coperte? Ero ancora quasi giovane
quando mi rubarono l’ultima che avevo! Oggi la coperta è
roba da ricconi!” ... “E dimmi un po’, che classe fanno i
due bimbi?” “Facevano. Li hanno cacciati dalla scuola perché
non hanno le scarpe e l’uniforme... Ma con che cosa posso
comperargliele io, che qui si mangia si e no tre volte la
settimana?” “Eh già, – commentai sfrontato – però
quando si mangia, ... sono pasti sontuosi!” Altra lunga
risata, nuovamente coronata da quella brutta, devastante
tosse.
Chiesi il nome dei due bambini, per
schedarli nella mia lista di assistiti. “Questo è Selwayo
Zimba e faceva la prima elementare. Il maggiore è
Steven Mutale e faceva la quarta. Sarebbe molto bravo, ma
quando non ha mangiato da due giorni si addormenta sul
banco”. La risata che ne seguì era tornata ad essere
delle migliori: una cascatella di perle che rimbalzavano sul
marmo; ma io restai perplesso:
“Mutale... Zimba... ma come?”
Il primo era un cognome Bemba, il secondo era
chiaramente Ngoni: due tribù nemiche che s’erano spesso
scontrate in guerra nei tempi andati.
“Ma come fanno ad essere fratelli? ...
Oppure, ... sono nati da due papà di diversa tribù!”
La vecchia non si scompose più di tanto:
“Certo che sono fratelli ... ma non di sangue! Quando la
mamma di Selwayo – che era già orfano di padre – morì,
Steven, che gli era molto amico chiese a sua madre di
portarselo in casa e lei lo accettò a tutti gli effetti.
Purtroppo dopo qualche mese morì anche lei... E tu vuoi che
non siano fratelli?” Me ne guardai bene! Era tutto
chiaro: non fratelli di sangue, ma d’amore. Più
chiaro di così!
Allora mi avvicinai alla vecchia e le dissi
serio serio: “Nonna, sei andata alla clinica a prendere le
medicine?” C’era andata. Le avevano dato sei pastiglie di
Panadol!
“Tu capisci –
le dissi accorato – che non puoi permetterti di morire!
Cosa succede a questi due innocenti se li lasci anche tu?”
Si fece seria anche lei. Troppo. E mi
fulminò con una risposta appena sussurrata, ad occhi chiusi:
“E perché pensi sia ancora viva?
... Lo sa Dio che se non fosse per loro...!”
Povera vecchia! Fece perfino il tentativo di
coprire la tensione con la solita risata, ma le uscì un
suono ibrido, tra singulto e singhiozzo... e vidi una
lacrima rivolarle tra le grinze. Senz’accor-germi mi
sorpresi a stringermela tra le braccia ... e lei mi lasciò
fare, docile docile, abbandonandosi perfino con la testa
sulla mia spalla. Mi parve di stringere uno scricciolo: due
ossicini e tutto piume, senza un briciolo di carne!
Mi sedetti e cominciai a fare i miei conti:
tre coperte, due paia di scarpe, le uniformi, i soldi per le
medicine (buoni antibiotici, però!), un sacco di farina... e
il companatico... e far mettere i vetri alle finestre della
catapecchia... e aggiustare il tetto ... “Nonna, quant’è
la retta scolastica qui?” Non era molto, ma il totale
superava di un bel po’ quanto mi portavo addosso. Diedi
tutto quello che avevo con me e dissi alla nonna:
“Al resto ci penserà la Provvidenza; torno
presto, vedrai!”
... E stamattina la Provvidenza è arrivata
puntualissima. Mi è appena giunta una lettera da un’altra
nonna: nonna Maria, che mi dice che il nipotino Raffaele non
ha voluto il regalo di compleanno e ha chiesto che il
corrispettivo mi venisse inviato per i bambini poveri. Nonna
Maria scrive che quando cercò di convincerlo, assicurando:
“Ma quello lo faremo a Natale, come l’anno scorso...”,
Raffaele sentenziò deciso: “Lo facciamo oggi ... e poi
ancora a Natale!” ... E a nonna Maria si sciolse il
cuore di gioia e commozione.
Io la Provvidenza credevo di conoscerla bene
già da un pezzo. Solo... non sapevo ancora che si chiamasse
Raffaele!
Umberto Davoli