Un papà come tè...
P. Umberto Davoli


Ero tanto preso dall’editoriale che stavo preparando per la mia rivistina in lingua Bemba che non sentii il timido picchiettio sui vetri, né mi resi conto dei due occhioni che continuavano a guardarmi attraverso la finestra dell’ufficio. Bussò di nuovo, e mi girai con una certa impazienza, pronto a spedire l’intruso alla portineria.

Era una bimba gracile e tremante. Avrà avuto dieci o undici anni, ma il suo sguardo era di una tristezza antica che feriva. Ovviamente trasformai l’impazienza in un sollecito sorriso e aprii la finestra: “Ciao. Cerchi qualcuno?” “Sei tu il P. Umberto?” “Si, sono io. E tu chi sei?

Non rispose. La vidi invece alzare gli occhi al cielo e la sentii mormorare una specie di ringraziamento a Dio. Poi la vidi vacillare, come se stesse per svenire e la esaminai meglio, da capo a piedi: era stracciata e tutta impolverata… e aveva i piedini scalzi e sanguinanti. La invitai subito ad entrare per farla accomodare sul divano, ma notai una strana esitazione, come quella di un animaletto affamato e spaventato a un tempo, che non sappia se credere alle lusinghe del pasto che gli si offre, o seguire l’istinto di conservazione e fuggire. Ma era così sfinita che alla fine entrò. Dal suo atteggiamento capii subito che dovevo essere estremamente delicato: la bambina era in uno stato di shock. Mi tenni dall’altra parte della scrivania, senza avvicinarmi a lei. “Dimmi tutto, bambina mia. Cosa posso fare per te.

Con frasi stentate, interrotte da lunghe pause, mi raccontò la sua storia penosa. Qualche mese prima, alla morte del papà, la mamma malata aveva lasciato Chipata – a circa mille Km dal Copperbelt – per trasferirsi da un parente che lavorava nella miniera di Kitwe. Questi le aveva ricevute a malincuore, ma quando anche la mamma morì, aveva cominciato a maltrattarla e insultarla, rinfacciandole di mangiare a ufo il pane che a stento bastava per i suoi figli. Ben presto, agli insulti si aggiunsero i castighi e le botte, per qualsiasi pretesto… fin che la bimba, spaurita e disperata, era fuggita di casa. Per una decina di giorni aveva girovagato per le strade di Kitwe, mendicando un tozzo di pane stantio e rintanandosi la sera in ripostigli abbandonati al mercato; per lo più aveva dormito raggomitolata su qualsiasi mucchio di immondizia che le offrisse una parvenza di tepore.

La Domenica precedente, una buona donna le aveva fatto il mio nome, dandole il mio indirizzo: “Lui aiuta i poveri; vedrai che ti darà una mano”, le aveva detto… e mai mi era stato fatto elogio più grande! Dopo un altro giorno di pena la povera piccola si era decisa a seguire il consiglio ed era partita da Kitwe per venire da me – a piedi! – fino a Ndola: oltre sessanta lunghissimi chilometri!

Hai trovato qualcosa da mangiare in questi giorni?” “L’ultima volta che ho mangiato qualcosa è stato Martedì scorso”… ed era Venerdì! Mi raccontò che si era azzardata ad entrare in un villaggio per chiedere aiuto. Erano tutti al lavoro nei campi; vi trovò solo un giovinastro disgraziato e mezzo ubriaco che le aveva dato delle banane… ma poi aveva tentato di violentarla. Era riuscita a fuggire, nascondendosi in un canneto. Dopo di che, aveva fatto tutto il tragitto seguendo i sentieri di foresta per evitare incontri indesiderati. Questo spiegava la sua titubanza, povero uccellino spaurito.

Corsi a prepararle un buon pasto e la rifocillai. Poi cercai di capire quale potesse essere la soluzione migliore al suo caso. Aveva dei parenti a Chipata, soprattutto uno zio che certamente – mi disse – non l’avrebbe cacciata, se solo fosse riuscita a raggiungerlo… “ma ci vogliono tanti soldi per un viaggio così lungo!”… “Non aver paura: ora mangia, poi penseremo al resto.” Quando fu sazia, le diedi la chiave della casa degli ospiti. Restando sulla soglia, senza entrare, le indicai la porta della camera da letto dove avrebbe potuto riposarsi. Le dissi di chiudere a chiave la porta d’entrata, così nessuno poteva disturbarla. Le indicai anche il bagno, dove avrebbe potuto rinfrescarsi e lavarsi… ma capii che non aveva mai visto un bagno vero e proprio in vita sua. Allora le spiegai che vi avrebbe trovato una grossa vasca con due rubinetti, uno per l’acqua calda e uno per quella fredda. “Troverai un gommino con cui chiudere il buco di scolo: riempi la vasca e fa’ un bel bagnetto: ti sentirai molto meglio; poi mettiti a letto e riposa quanto vuoi… Quando tutto sarà pronto ti chiamerò dalla finestra.” Mi guardava stupita e perplessa: con una stretta al cuore notai che era incapace di sorridere.

Andai in città, deciso a far spese grosse: calze, scarpe, biancheria, un completino delizioso, un maglioncino… e il biglietto per Chipata. Tornai al convento e andai a sbirciare alla finestra: non aveva nemmeno tirato le tendine… Dormiva saporitamente, tutta raggomitolata su se stessa, forse come faceva sull’immondezzaio e la lasciai continuare ancora per un pezzo, tanto il treno partiva all’imbrunire. Preparai un cestello con panini, biscotti e tanta frutta…

Verso le diciotto andai a bussare alla finestra della cameretta. Le mostrai il vestitino… Saltò giù dal letto e spalancò la finestra… Rimase immobile per un bel po’, ammirando tutto quel ben di Dio, incredula che fosse tutto per lei. “Chiudi le tendine e cambiati. Puoi lasciare gli stracci in quel cestino…Quando sei pronta, esci: io ti aspetto in macchina.” Quando uscì stentai a riconoscerla: era deliziosa … ma il volto mostrava ancora la stessa tensione, venata di incredulità e sospetto, del mattino. Da troppo tempo non era più abituata a un amore disinteressato. Mentre ponevo il suo cestello sul sedile posteriore, notai che sotto tutto il resto aveva messo anche i suoi straccetti. Mi avviai verso la stazione e lei non disse una sola parola per tutto il tragitto, però, di tanto in tanto, volgeva il visino per guardarmi di sott'occhi, e io fingevo di non accorgermene.

Giunti alla stazione le diedi il panierino col cibo, il biglietto e un gruzzolo di soldi… “Fa’ un buon viaggio… e scrivimi: ti ho lasciato nel cesto la busta col mio indirizzo già scritto”. Prese il tutto, restò per un attimo ferma vicina alla macchina, poi scappò di corsa, senza neppure ringraziare…

Ci restai un po’ male, ma non mi mossi, e la seguii con lo sguardo fino a che fu sulla porta d’ingresso, dove si fermò, girò il capo verso di me, come per vedere se la stessi seguendo… e d’un tratto qualcosa si sbloccò dentro di lei. Gettò con noncuranza tutte le sue ricchezze su una panchina presso l’entrata della stazione, poi si voltò di scatto e venne correndo verso la macchina. Mi fece abbassare il vetro e mi guardò a lungo, mentre un sorriso meraviglioso le fioriva sul volto, nonostante la lacrima che le scivolava giù sulla guancia. Poi mi buttò le braccia al collo e mi sussurrò concitata all’orecchio: “Come vorrei avere un papà come te!”. . . e subito fuggì via a tutta birra!

Ma io per giorni continuai a sentire il tepore del suo bacio e ogni volta che la penso, lo risento tuttora . . .

Padre buono che sei nei cieli, come mi fece sentire incarnazione tua, quell’angioletto nero! Ancora una volta, quel giorno, ti ringraziai per il mio sacerdozio… e per la dolcissima paternità universale di questo celibato cui ti è piaciuto chiamarmi.

* * *
“Un Padre solo, e sei miliardi di fratelli”, questo siamo. . . Se solo ce ne rendessimo conto!

A che si ridurrebbe questo nostro insensato peregrinare quotidiano se non gustassimo – almeno di tanto in tanto – il sapore dell’Amore che si fa carne in noi e attorno a noi? Anche a dispetto nostro e nella nostra carne. E’ così dolce sentirtelo crescere dentro, prepotente e tenace, invaderti nei recessi più negletti e nelle pieghe dell’anima, lì dove troppo spesso annidano egoismi e meschinità. E’ così rassicurante la certezza che Amore è origine, motore e destino della nostra umana avventura! E che nemmeno io, nemmeno tu fratello e tu sorella mia, possiamo arrestarne la corsa…

Perché l’Amore è sovrano, invincibile e onnipotente. Proprio come Dio. … Che poi… è forse Dio qualcos’altro?

Dammi retta tu che mi leggi, chiunque tu sia: dovessi sentire la tua vita inchiodata alla delusione e al non senso… e quel groviglio di disperazione e sgomento attanagliarti il cuore di fronte alla sconfitta dei tuoi sogni… Datti da fare per far fiorire un sorriso sul volto di un bimbo che sorriso non ha mai… e che attende il suo battesimo d’amore. Sii per lui, o per lei, incarnazione del Padre, anche per un solo istante: vedrai la rena mutarsi in brillanti sotto i tuoi piedi, e perfino la tua ombra scintillerà sul marciapiede, sprigionando miracoli … proprio come l’ombra taumaturga del Cristo.

… E la tua vita non sarà più la stessa. Mai più.


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