E danzerò davanti al Suo trono
P. Umberto Davoli
«Padre, non resisto più a vivere qui! La città
mi ha distrutto la prima figlia e ora mi sta rovinando anche gli altri?
Io voglio allevarli cristianamente. Aiutami a ritornare al mio villaggio,
in riva al Bangweolo». Povero Lawrence: da ventanni
catechista zelante e sincero, una decina di figli, alcuni dei quali
gli stavano sfuggendo di mano, e Catherine - la prima - devastata
dallAIDS allultimo stadio! Mi aveva sempre detto che voleva
consacrarsi al Signore; poi, un brutto giorno, quel soldato in divisa,
bello e aitante quanto incosciente, laveva convinta che lavrebbe
fatta regina del mondo intero! Me laveva confidato fra le lacrime:
«Una volta sola Padre! Ho capito subito che non mi amava
davvero, ma era troppo tardi». E lo era davvero. Il peccatuccio
di una bimba travolta dalla dolce sensazione di sentirsi per la prima
volta desiderata, scelta tra tutte, e non sa resistere allemozione.
E fu sifilide e - ben peggio! - la peste del secolo!
Alle quattro del mattino caricammo le masserizie sul camion della
Missione. Adagiammo quel corpicino violato e dolorante sul materasso
buono, ben disteso sopra tutto il mucchio, e partimmo, sperando
che superasse la pena di quel viaggio massacrante: oltre mille chilometri
su strade polverose, disastrate da improvvise voragini, sotto un
sole feroce. Le prime ore furono quasi piacevoli. Mero portato
dietro una buona riserva di acqua e panini; verso mezzogiorno facemmo
pure un rapido pic-nic in riva a un fiume e riuscii perfino a instaurare
unatmosfera di serena allegria, quasi fosse una scampagnata.
Dopo le prime otto ore, però, il viaggio divenne un autentica
Via Crucis. Sempre più di frequente dovevamo fermarci
ai lamenti di Catherine. Aiutato dal fratello (per i genitori era,
dovevo scaricare dal camion la ragazza, tormentata dalla dissenteria.
Cercavo di incoraggiarla, ed ella mi guardava con quegli occhioni
da gazzella ferita. «Si, Padre, ce la farò, vedrai».
Povera piccola!
Da Mansa a Luwingu la strada era un autentico obbrobrio:
sconnessa e sassosa, piena di buche e attraversata da solchi profondi
che, per quanto si procedesse a passo duomo, rendevano la
marcia un vero martirio per la malata. Quando cominciammo a scendere
verso il lago, era già buio. Ne toccammo le rive presso Nsombo
e dovemmo lasciare la strada per penetrare in piena foresta, su
un sentiero stretto e serpeggiante fra gli alberi. Spesso dovevo
fare ardite manovre, con retromarce e deviazioni fuori programma
per evitare le strettoie... Come Dio volle, verso mezzanotte giungemmo
al villaggio di Lawrence. Ero distrutto, ma pensando alla mia cara,
piccola vittima, mi feci forza. Scaricammo il tutto, aiutati dalla
frotta di curiosi che, svegliati dal fracasso del camion - unautentica
rarità - erano precipitati fuori dalla capanne. Misi un pentolone
dacqua sul fuoco e mi accinsi a fare una colossale pastasciutta
con quanto mero portato da casa. Tutti vollero assaggiare
quella leccornia mai vista!
Catherine pareva riprendere voglia di vivere. Mangiò con
appetito, facendo perfino il bis e scherzando: «Se Padre
Umberto resta con noi, divento grassa in poco tempo!».
Poi, pian piano tutti rientrarono nelle capanne e restammo soli,
ma la stanchezza era tanta e tante le emozioni, che non volevamo
andare a letto. Fu a quel punto che Catherine divenne lirica. Strinse
la mia mano e chiamò papà e mamma vicini. Un sorriso
dolcissimo le abbelliva il volto emaciato.. e questo (non potrò
mai dimenticarlo!) è quanto disse: «Mamma, papà.
Io so che soffrite tanto. Ma non dovete permettere al dolore di
sopraffarvi. Vedete, io sto pagando il prezzo della mia infedeltà,
perché ho peccato». Mi sentii urlare dentro, silenziosamente:
«ma non è vero, bimba mia! Tu sei solo una povera
e innocente vittima del marciume che devasta il mondo! Tu stai pagando
per tutti, proprio come Cristo».
Come se avesse sentito il grido del mio cuore, Catherine mi sorrise
e riprese: «Tu lo sai, Padre, non sono poi stata cattiva
del tutto: solo una volta ho peccato e credevo fosse amore! E ora
sto morendo». Fece una lunga pausa, come se stesse traducendo
a se stessa il vero senso del suo discorso, poi mi strinse forte
la mano, dicendomi in fretta: «Ci pensi, Umberto, che
paura, se non sapessi che Dio è Amore!?». Dio
mio, quanto sentii damarla!
«Adesso però tutto mi è chiaro. Se Dio vuole,
mi può anche guarire, e allora stavolta mi consacrerei davvero
per tutta la vita a consolare chi soffre. Se invece mi vorrà
con sé, non dovete piangere o disperarvi. Il Padre qui vi
aiuterà a pagare la bara e il funerale e io volerò
in cielo e danzerò felice e leggera davanti al trono di Dio».
Saranno state le tre quando andammo a dormire. Sdraiato sullo
scomodo pagliericcio, non potevo prendere sonno e pensavo alla mia
malatina. Uscii silenziosamente. Il buio era profondo e incontaminato
e le stelle erano grossi lampioni fosforescenti che si riflettevano
sul Bangweolo in letargo, vestendolo a festa. Pensavo a tante
cose: al mondo, al male, al dolore dei buoni, allodio e allingiustizia
degli egoisti, alla paura e allo sgomento degli indifesi e ad ogni
litania mi cresceva dentro il ritornello ci pensi che paura,
se non sapessimo che Dio è Amore!?. Non cè
altra luce. Nella bailamme di questa travagliata città umana
in cerca di risposte che ci illuminino il cammino, solo questo Amore
incondizionato ci può dare pace e speranza. Ogni croce portata
con fede ci avvicina al traguardo cui Dio-Amore ci predestinò
fin dagli inizi dei tempi; ogni umana sconfitta sarà redenta
e si risolverà nella gioia.
E danzeremo anche noi davanti al trono di Dio.
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