FIGURE FEMINILI DOMENICANE :
- Diana, la sete dell'assoluto
- Cecilia, la freschezza del ricordo



Nel coro del monastero di S. Agnese a Bologna, è conservato un dipinto che ritrae Diana e Cecilia insieme ad una terza sorella, la beata Amata della quale si sa ben poco. Tre giovani donne : sembrerebbero alte e sottili, con un portamento naturalmente elegante, accentuato dalla sobria bellezza dell'abito domenicano.
Nel quadro Diana è al centro; alla sua destra (e quindi alla sinistra del dipinto), Cecilia.
Diana è imponente : la sua figura sembra scaturire, svettante, dal ricco panneggio che l'abito forma intorno ai piedi e alle caviglie; con gesto solenne e aggraziato ad un tempo, sorregge un libro (la Regola?). Il viso è composto, forse più nobile e austero che bello, per lo meno ad un primo esame. Di lei abbiamo però due descrizioni molto suggestive : la prima di una studiosa francese, Marguerite Aron che, presentandola come "une jeune fille de 18 à 21 ans", dice di lei : "una energia indomabile abitava in quel corpo femminile dalle linee eleganti e in quella testolina aristocratica", (M ARON, Un
animateur de la jeunesse au XIII° siècle, Paris 1930, p.138); e niente meno che L.A. Muratori nel 16° volume del Rerum Italicarum Scriptores, si esprime così :"Era Diana una fanciulla nata da una famiglia famosa presso i Bolognesi per nobiltà e per ricchezza […]", facendo poi seguire l'elenco dei parenti più illustri e delle alte e altissime cariche da quelli ricoperte. Il casato degli Andalò deriva il suo nome da quello del padre di Diana, Andrea di Lovello, conosciuto come Andreolo o anche Andalò, senatore a Milano, Piacenza e Genova, dove un figlio suo e fratello quindi di Diana, Brancaleone, fu anche podestà; quest'ultimo lo ritroviamo senatore a Roma. Un altro fratello, o meglio fratellastro, Loderingo o Lodrisio compare in quella specie di "almanacco di Ghota" del XIII secolo che è la Divina Commedia, sistemato purtroppo all'Inferno, perché inviso a Dante che, nel XXIII canto (ipocriti) lo annovera tra i Frati gaudenti, ordine cavalleresco dei cavalieri di M.Vergine; in effetti è noto come glossatore, studioso del diritto romano dello Studio di Bologna.
Abbiamo con questi pochi riferimenti delineato l'ambiente familiare di Diana : di lei il Padre Paolo Vanzan o.p. dirà che "si era distinta fin dalla fanciullezza per la profonda intelligenza e grandezza d'animo (P. VANZAN o.p.,
Santità e amicizia, E.S.D. Bologna, 1993, p.26). Il Padre, le riconosce anche "un ottimo carattere […] grande sincerità e sensibilità […] un cuore battagliero e tuttavia mite, ma anche […] una volontà tenace nel conseguire il bene che si proponeva" (P. VANZAN, op.cit., p. 26). E il Padre asserisce ancora : "Diana era cresciuta nel suo tempo e nella sua famiglia, non rinunciando ai vantaggi che la sua famiglia era in grado di garantire" (op. cit. ibidem) Un milieu familiare, quindi, aristrocatico-opulento. Diana appartiene a quella che i Francesi, molto tempo dopo, avrebbero chiamato la "jeunesse dorée" della sua città : ella sembra percorrere entro certi limiti, il tipo della grande dama colta e raffinata delle corti rinascimentali. Donna del suo tempo, sa conciliare personalità, cultura e raffinatezza da un lato e slancio e abbandono in Dio dall'altro.
Parlare di Diana degli Andalò è riflettere sulla Bologna del XIII° secolo e non solo su Bologna. Bologna la dotta, sede dell'Alma Mater. Bologna la grassa, la ghiotta, sapientemente, mai banalmente, godereccia, la città che può essere assunta a campione di un benessere e di un malessere che si avvertono in tutta la cristianità del tempo. Sono le avvisaglie (e nel processo storico le "avvisaglie" possono durare anni ed anni, a volte anche secoli) di un confronto destinato a divenire scontro, come aveva preconizzato Cristo.
Queste "avvisaglie", nella fattispecie, si fanno avvertire già fin dall'XI secolo : le mutate condizioni di vita (certo non per tutti), hanno permesso all'Europa Occidentale e Centrale (più particolarmente all'Italia) di cominciare a rialzare la testa dopo le "tenebre" (non sempre tali, a volte singolarmente luminose) di un Alto Medio Evo che le ha condotte dalle cosiddette invasioni barbariche, attraverso lo spettro dell'Islam incombente ad Est e ad Ovest e particolarmente pericoloso incarnato nella pirateria saracena dominatrice del Mediterraneo, alla rinascita della civiltà cittadina sia che si tratti di Repubbliche marinare, sia che si tratti di Comuni di terraferma.
Questo significa ripresa di traffici, fine dell'economia chiusa, denaro che torna a circolare, ricchezza che produce agi, comodità benessere lussuoso.
Ma, dicevamo, di contro e accanto al benessere il malessere (e non ci riferiamo solo alla persistente miseria) : il malessere che deriva dalla consapevolezza via, via sempre più sicura della forbice che si va aprendo tra la visione evangelica dell'esistenza e quella che per molti è la quotidianità opulenta e che lentamente dà origine ad un malcontento che pervade l'Europa da Est a Ovest. Poco dopo l'anno Mille un multiforme movimento di evangelismo aveva cominciato ad agitare la Cristianità. Dice il Tilliette che "l'evangelismo è uno stato d'animo piuttosto che un corpus dottrinale"(Cahiers de Fanjeaux, 34, 1999). Tutti i movimenti evangelici che si sono succeduti nel corso dei secoli sono stati d'accordo su un punto che rappresenta la loro radice comune : la povertà volontaria, il ritorno e il messaggio delle origini. "Tutti radicavano la loro contestazione negli anatemi che Gesù lanciava contro la ricchezza". (M. ROQUEBERT, S. Domenico trad. it., Ed Paoline, Alba 2005, p.27) Di qui la riscoperta del fascino della vita apostolica, incarnatasi in esperienze diverse, talora tanto radicali da rovesciarsi in forme ereticali, tra le più pericolose e inaccettabili, in altri casi coincidenti semplicemente con la radicalità (non il radicalismo) del messaggio di Cristo.
Tutta l'Europa (o quasi) conosce questo "stato d'animo" che conduce le anime più pensose e consapevoli, più naturalmente evangeliche ad avvertire il sordo malessere.
Lo avverte Bologna la dotta, la grassa : possiamo avere uno spaccato di vita bolognese in questo momento nevralgico del mutamento in corso, riflettendo sull'incontro dei Bolognesi col neo-nato Ordine dei Predicatori. Più particolarmente possiamo "leggere questo incontro in Diana degli Andalò. Abbiamo già visto come lo studioso avverte : "Diana era cresciuta nel suo tempo." Aveva incontrato i primi Frati Predicatori all'età di 17 anni. Era già in possesso di una formazione culturale tale da permetterle di apprezzare la ricchezza dottrinale dei nuovi predicatori. Diana, a quanto si tramanda conosce il latino e ha una buona cultura letteraria. Per le sue doti intellettuali e l'opulenza della sua condizione le si presenta l'offerta allettante di una spensierata vita mondana. Ma nel dicembre del 1218 avviene il primo dei grandi incontri della sua vita : giunge a Bologna maestro Reginaldo, il domenicano che la Vergine ha unto con l'olio degli infermi, guarendolo. Reginaldo era stato decano di St. Aignan la celebre collegiata di Orlèans : uomo di grande fama, dotto, illustre per dignità e nobili natali; per 15 anni aveva retto a Parigi la facoltà di diritto canonico. Veniva presentato come uomo non solo dotto, ma molto elegante e raffinato. Si reca a Roma nel 1218 insieme al suo vescovo e cade ammalato molto gravemente. Mentre è in fin di vita lo visitano, ciascuno a suo modo, Domenico in carne e ossa e la Vergine in visione : il primo lo esorta ad entrare nel suo ordine, la Seconda gli mostra l'abito domenicano. Impossibile evidentemente resistere alla Beata Vergine e a S. Domenico coalizzati. Così Reginaldo, dopo aver fatto la sua professione domenicana ed essere andato in Terra Santa per mantenere una promessa fatta al suo vescovo, al ritorno si reca a Bologna e "si dà subito totalmente alla predicazione" (Giordano). Il Vicaire è convinto che Reginaldo avesse da tempo cominciato ad avvertire il suo precedente tenore di vita "ricercato e raffinato" con un senso di rimorso. (H. VICAIRE,
Storia di S. Domenico, trad. it. Alba, 1959, p.366) Al ritorno dal pellegrinaggio il brillante docente parigino è pronto per la missione che lo attende; Reginaldo incarna, ci sembra, come pochi altri la splendida, geniale intuizione di Domenico nella costruzione del suo Ordine finalizzato ad un'evangelizzazione particolarmente ardua in quella peculiare situazione storica. Diamo la parola allo storico M. Roquebert che sintetizza così il modello di Domenico, modello "che prima di lui non esisteva quello del religioso che unisce l'ideale della vita evangelica, l'eloquenza del predicatore e la più alta scienza filosofica e teologica" (M. ROQUEBERT, op. cit., p.8). Un modello, dirà ancora, il cui stile di vita sarebbe consistito in una povertà così radicalizzata che avrebbe dovuto accontentarsi della mendicità; ma questa povertà non avrebbe mascherato un pensiero mediocre. Osserva più oltre il Roquebert : "per essere efficace la predicazione deve fondarsi su basi solide […] ; la necessità di studiare diventerà [per Domenico] essenziale per i suoi fratelli, vuole che siano sapienti […]. Scienza e povertà: Povertà, ma scienza" (M. ROQUEBERT, op. cit., p.194). Reginaldo ha voltato le spalle al suo brillante passato : è si può dire, un neo-convertito che si incontra con Diana, in una Bologna "tutta in fermento per l'eloquenza del predicatore", paragonato a "fuoco travolgente", a fiaccola ardente, tutto gioioso per essersi liberato da una vita troppo umana, ed essersi totalmente dato al Vangelo. Un giorno Reginaldo ha parole particolarmente aspre verso la vanità delle cose del mondo; parole piene di forza che colpiscono Diana come se fossero rivolte a lei espressamente. Da quel momento Diana sente che giorno per giorno sta cambiando e chiede a Reginaldo negli incontri che ha con lui, di spiegarle con maggior chiarezza quale sia il nuovo genere di vita che egli propone. Da questo momento comincia in Diana l'esperienza di quella "sete dell'Assoluto" che altre anime hanno provato in epoche diverse, partendo dal riconoscimento del carattere effimero e in autentico del "relativo". Lo aveva stupendamente espresso S. Agostino in una pagina celeberrima : "Ti ho gustato e ora ho fame di te" (Conf. X, 27). O con l'espressione ancora più famosa : "Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te". Entrambi, Reginaldo e Diana, vivono questa inquietudine, questa ricerca di diverso appagamento : entrambi incontrano sul loro cammino la personalità incandescente di Domenico di Guzman, che Dante ha scolpito nella terzina del canto XII del Paradiso, v.v. 96-99,
"con dottrina e con volere insieme
con l'officio apostolico si mosse
quasi torrente ch'alta vena preme."

Un torrente in piena, una forza della natura scatenata. Sapienza e determinazione insieme. Domenico riconosce in Reginaldo prima, in Diana poi, anime sorelle della sua, un po' oscillanti ancora, da seguire e curare con quella tenerezza si direbbe
materna che gli era propria : "le sue parole, piene di forza erano allo stesso tempo soavi, ponderate, ricche di luce, di pace di bontà". (P: VANZAN o.p., op.cit., p.28).
Diana ha tutte le doti per essere veramente "figlia" di Domenico : ha cultura e determinazione e lo si vede nell'episodio del reperimento dei fondi per la costruzione del nuovo convento dei frati, essendo l'asilo della Mascarella divenuto assolutamente insufficiente. I Domenicani erano interessati a S. Nicolò delle Vigne, situato a sud della città, nel quartiere dell'abbazia di S. Procolo, zona decisamente più adatta, sia per la predicazione che per la costruzione di un vero e proprio convento. I diritti di proprietà sulla chiesa di S. Nicolò e sulla terra adiacente erano della famiglia di Diana. "Sembra che in un primo tempo l'anziano patrizio (Pietro di Lovello, nonno paterno di Diana) si dimostrasse molto riluttante a vendere l'area richiesta; ma c'ere Diana, la nipotina certo molto amata" fine diplomatica e favorevole ad oltranza alla causa dei Domenicani. (G. CAMBRIA,
Diana degli Andalò, Bologna, 1972, p.20).
Intanto Diana trascorre le sue giornate in modo sempre più coerente con la nuova scelta di vita : si alza per tempo e rimane in rigoroso silenzio e in orazione fino al desinare, dando un esempio suggestivo a gruppi di amiche che si radunano presso di lei. Ma non può accontentarsi di questo (la sete dell'Assoluto), vuole vivere la vita contemplativa in un monastero domenicano e non accetta di aspettare oltre. Questa bellissima "fretta" resterà uno dei tratti distintivi della sua spiritualità, che come diremo in seguito, dovrà talvolta moderare Giordano di Sassonia. Ma ora Diana apre il suo cuore a Domenico il quale, pur favorevole alla duplice proposta di Diana, entrare nell'Ordine e mettere a disposizione i fondi  per la costruzione del primo monastero domenicano a Bologna, si concede una pausa di riflessione. Per inciso, si direbbe che Diana "senta" che i suoi primi maestri e padri del suo "rinascere dall'alto" stanno per lasciarla : Reginaldo parte da Bologna per Parigi dove aiuterà la fondazione del convento di S: Giacomo e dove morirà nel febbraio del 1220. Domenico morirà la sera del 6 agosto 1221 : intanto, dopo aver pregato per ottenere che Dio lo illumini e dopo essersi consigliato con i confratelli, Domenico decide di realizzare il progetto del monastero come suggerito da Diana, anche a costo di ritardare la costruzione del convento maschile. Viene individuato il terreno che si ritiene adatto, ma si oppone il Vescovo, ritenendo che vi siano già abbastanza fondazioni in città o nelle immediate adiacenze : ma questa volta l'opposizione più dura e intransigente viene dalla famiglia di Diana; fra l'altro alcuni degli illustri parenti gravitano nell'area ghibellina. Il 22 luglio del '21 Diana decide di forzare la mano : organizza una cavalcata e parte, circondata da un brillante seguito di dame bolognesi, dirigendosi verso Ronzano dove sorgeva un romitaggio delle Canonichesse di S. Marco di Mantova. Giuntavi, Diana entra da sola e arriva fin nel dormitorio dove alle monache che le si sono fatte incontro chiede di vestire l'abito religioso e immediatamente viene esaudita.
Possiamo su questo episodio fare due rapide riflessioni : prima di tutto ammirare ancora una volta la capacità di Diana ("indomita" la definisce il Vicaire) di valutare la situazione e di prendere decisioni; in quel momento è sola, morto nel '20 Reginaldo, lontano, a Roma Domenico. L'iniziativa è dunque interamente sua e sua la scelta, noi oggi diremmo della suntuosa coreografia, un'elegante passeggiata a cavallo, volta a dissipare qualsiasi sospetto, molto più in sintonia con le abitudini familiari che non con il suo nuovo stile di vita. In secondo luogo possiamo soffermarci su questo altro "spaccato" di vita bolognese : le dame che hanno, ignare, accompagnato Diana, costernatissime, inviano a Bologna una sorta di corriere, possiamo supporre a briglia sciolta, per avvertire il parentado dello stratagemma di Diana. Improvvisamente si direbbe che il fatto non sia più solo un problema interno della famiglia, ma che riguardi l'intera città.  Vicaire parla di un "folto gruppo di parenti, amici, clienti (nel senso latino del termine), e perfino "sfaccendati e curiosi". Il "folto gruppo", coralmente furibondo, si dirige su Ronzano, irrompe nel monastero e strappa Diana dal suo rifugio con tale violenza e prepotenza da spezzarle una costola. "La giovane - avverte lo storico - conserverà fino alla morte i segni di quella colluttazione". (H. VICAIRE,
op.cit., p.526)
In casa sua Diana per circa un anno è costretta a letto e impedita dall'aver il benché minimo contatto con l'esterno : è segregata peggio che se fosse in clausura. Domenico ritorna da Roma, viene informato di quanto è accaduto e prova un grande dolore per Diana che non vuole assolutamente abbandonare. Nel contempo sta già avvertendo i primi dolorosi sintomi della malattia che lo condurrà alla morte : soprattutto lo affigge un'insopportabile emicrania; ma non rinuncia a studiare il modo di incontrare Diana, cosa che gli riesce perché nel frattempo è giunto a Bologna il cardinale legato Ugolino (il futuro Gregorio IX) e gli Andalò non possono chiudere la porta in faccia a Sua Eminenza. Tuttavia non si spostano da capezzale di Diana e quindi Domenico non può parlarle liberamente ed è costretto a ricorrere, in seguito, ad una corrispondenza clandestina. E' questo l'ultimo contatto fra "padre" e "figlia": ai primi di agosto del 1221 la situazione precipita e Domenico si spegne la sera del 6.
In quello stesso anno il capitolo generale aveva nominato priore provinciale di Lombardia, Giordano, forse della nobile famiglia dei duchi di Eberstein, ma conosciuto universalmente come Giordano di Sassonia. Nato nel 1185, pare in Vestfalia, aveva studiato all'Università di Parigi; quando nel 1219 incontra Domenico e subito dopo Reginaldo, ha già raggiunto i gradi di baccelliere in teologia e di
magister artium. L'incontro con Domenico è decisivo per la sua vita : scopre "una perfetta sintonia tra il suo animo e quello del santo fondatore dei Predicatori" (A. D'AMATO, Il fascino della verità, Bologna 1991, p.11), per cui sceglie Domenico come suo confessore e direttore spirituale : questi gli suggerisce di ricevere il diaconato, il primo passo sulla via di quell'ideale di vita che Giordano è deciso a realizzare.
E' assiduo frequentatore delle prediche parigine di Reginaldo e anche dal contatto con quest'ultimo viene riconfermato nell'adesione all'ideale di perfezione che già aveva deciso di seguire. Il suo ingresso nell'Ordine subisce tuttavia un ritardo perché Giordano è determinato a convincere il suo amico fraterno, Enrico di Maestricht a seguire il suo esempio. Enrico esita a lungo, perché ha timore di non essere capace di perseverare; Giordano insiste perché ritiene l'amico dotato di virtù che potranno fare di lui un ottimo domenicano. "E' proprio della vera amicizia desiderare di condividere con la persona che si ama ciò che di meglio si possiede (A. D'AMATO,
op. cit., p.12). Possiamo già avvertire l'importanza e il ruolo che l'amicizia avrà nella vita di Giordano. Finalmente Enrico si convince : a loro si unisce un altro compagno di studi e così sono in tre a ricevere l'abito religioso il giorno delle Ceneri, 11 febbraio del 1220; Reginaldo è morto da pochi giorni. Giordano ha "la medesima cultura, la medesima eloquenza, il medesimo prestigio nel mondo universitario". (A. D'AMATO, op. cit., p.17) Nel maggio 1220 Giordano è a Bologna per partecipare al capitolo generale come rappresentante del convento parigini di St. Jacques : è il capitolo nel quale vengono redatte le prime costituzioni domenicane. L'anno seguente, 1221, Giordano è eletto priore della provincia di Lombardia che comprendeva allora tutta l'Italia Settentrionale, con 6 conventi; ma quando Giordano arriva a Bologna per prendere possesso del suo ufficio, Domenico è già morto. La presenza di Giordano contribuisce a rendere ancora più forti i legami della città con l'Ordine dei Predicatori, stretti da Reginaldo e rinsaldati dallo stesso Domenico. Nel 1222 a Parigi il monaco tedesco viene eletto Maestro Generale, primo successore di Domenico. Viaggiatore instancabile, dà un grande impulso alla diffusione dell'Ordine e anche al suo consolidamento. Si rivolge in particolare agli ambienti universitari verso i quali ha lo stesso fervido interesse di Domenico. Sotto di lui sono fondate ben tre cattedre universitarie e nel 1229 l'Ordine conquista la prima cattedra nell'Università di Parigi.
Tutte le iniziative di Giordano sono ad alto livello: grandi personalità gli dimostrano amicizia e ammirazione, Onorio III e Gregorio IX, Bianca di Castiglia, regina di Francia che affida ai Domenicani l'educazione di suo figlio il futuro Luigi IX; con coraggio e semplicità rimprovera Federico II per il suo comportamento ostile nei confronti della Chiesa. Per una conoscenza più approfondita di questo uomo del XIII secolo, forse il figlio più autentico di Domenico, rinviamo all'opera più volte citata del Padre D'Amato,
Il fascino della verità, nella quale i vari aspetti di questa personalità sono analizzati con finezza e amore, con l'avvertenza : "Il beato è poco conosciuto nell'Ordine e forse anche meno venerato". (A. D'AMATO, op. cit., p.7) Peccato.
In questa sede la componente di lui che ci interessa è quella che ci mostra Giordano maestro di vita spirituale : ereditata da Domenico anche la naturale propensione per il ministero femminile, Giordano dedica grandi cure alle moniali. E' Giordano che porta a compimento la delicata operazione della fondazione del monastero di S. Agnese a Bologna e dell'entrata nell'Ordine di Diana degli Andalò.
Alla vigilia di Ognissanti del 1222 Diana era fuggita di nuovo a Ronzano; la famiglia non aveva osato ricorrere nuovamente alla violenza e aveva rispettato la sua decisione; la giovane Andalò l'aveva , come si suol dire, spuntata, a conferma della forza e della determinazione del suo carattere. Diana non serberà nessun rancore : la vedremo fortemente rattristata per una serie di lutti familiari, pur nel distacco che la clausura impone.
Giordano ottiene la stima degli Andalò e il consenso alla costruzione, una "domuncula parva", tra porta S. Mamolo e porta Saragozza, che nell'ottava dell'Ascensione del 1223 accoglie Diana e quattro nobildonne bolognesi, più due ferraresi. Il Maestro cura prima di tutto la loro formazione, secondo lo spirito dell'Ordine domenicano e concede loro l'abito il 29 giugno del 23. Poco dopo giungono le suore del convento romano di S. Sisto e Diana e le primitive compagne sono ammesse alla professione solenne.
Del gruppo romano fa parte anche Sr. Cecilia. La Cambria, pur con i limiti di un certo tono agiografico, coglie acutamente le diversità fra le personalità delle future beate; di Diana dice : "[…] è l'anima di tutto […] il suo cuore ardeva di gratitudine, di fervore d'amore", di Cecilia invece che "era tutta fragrante di candore e di infanzia spirituale". (G. CAMBRIA,
op. cit., p.30). Nel convento di S. Agnese Diana "vede la realizzazione dei suoi sogni e il premio delle sue lotte e dei suoi sacrifici" (G. CAMBRIA, op. cit., p.31) ; quando arrivano le suore romane più esperte, e Giordano le pone alla guida della comunità, Diana si fa da parte, accetta il ruolo dell'umile novizia, per quanto avesse, attraverso le prove sia fisiche che spirituali, conseguito una notevole maturità cui avevano contribuito in modo determinante il dialogo e la consuetudine con Reginaldo e Domenico; si fa da parte nonostante l'apporto anche materiale dato alla fondazione. Rinuncia a qualunque idea di primato, nonostante l'abitudine al comando e al primeggiare che poteva venirle dalla sua nascita e dalla precedente educazione, consapevole anzi dei pericoli che le sarebbero derivati dal mantenere permanentemente il primo posto. Facciamo parlare ancora la Cambria : "il suo amore non conosceva stanchezza, non poteva donarsi a metà. La sua scelta iniziale era continuamente sviluppata, in un'adesione volontaria, ogni giorno rinnovata con più intenso vigore". (G. CAMBRA, op.cit., p.33).
Di fronte alla descrizione di questi tratti del carattere di Diana, vien fatto di ripensare alle righe che il Vicaire dedica nella sua biografia al ruolo che può aver esercitato nella vita di Domenico la sua ascendenza aristocratica : egli parla di "spirito di conquista cristiana", di "senso di dedizione e di impegno personale", di "ardimento gioioso", di "realistica acutezza di sguardo tutta militare", con il quale coglieva nelle varie situazioni l'essenziale; di un "tratto sicuro e signorile", di una capacità di "muoversi a proprio agio nei confronti dei poteri costituiti". Sono modalità di comportamento che si possono ritrovare in Diana, probabilmente non solo per i frequenti contatti con Domenico, ma anche per la sua stessa provenienza.
Giordano ha il merito di aver voluto favorire l'inserimento giuridico delle monache nell'Ordine dei frati predicatori; Giordano "sente che realmente le monache sono parte dell'Ordine dei frati predicatori per l'identità del fine e dei valori essenziali  della loro vita". (A: D'AMATO,
op. cit., p.109) Afferma Giordano che le monache sono "partecipi anche al lavoro apostolico" partecipando "al ministero dei frati mediante la preghiera […] e quindi non solo alla medesima vita, ma anche alla medesima missione dell'Ordine." (A. D'AMATO, op.cit., p.110)
Per vincere le resistenze dei frati Giordano si procura l'appoggio di Onorio III che invia una lettera a sostegno delle idee di Giordano sulla
cura monialium con la quale ordina al Maestro Generale di prendere sotto la sua giurisdizione le suore e il monastero di S. Agnese allo stesso modo delle altre case dell'Ordine. Il tono è molto secco, ma la lettera è stata redatta su indicazioni molto circostanziate dello stesso Giordano.

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