Pietrabuona

Per arrivare a Pietrabuona, una volta usciti da Pescia, basta risalire il fiume omonimo per circa quattro chilometri.

   Come si giunge ad una curva di raggio notevolmente ampio, realizzata dopo la terribile piena del 1864, che costrinse appunto a modificare il percorso del fiume, in modo da dargli un alveo più ampio e da frenarne quindi l'impeto della corrente, ecco apparire le prime case della moderna Pietrabuona, proprio nell'ansa del fiume, mentre in alto sul poggio si staglia il vecchio castello. La definizione del paese quale "porta della Svizzera Pesciatina", frequentemente usata, si rivela subito perfettamente centrata, dato che Pietrabuona si colloca esattamente allo sbocco della valle, controllandone quindi sia l'entrata che l'uscita, e proprio in virtù di questa sua posizione il castello ha svolto, attraverso i secoli, un importante ruolo strategico-militare, particolarmente finché si trovò sul confine delle zone d'influenza pisana e fiorentina. Possiamo anzi dire che ciò costituisce la sua stessa ragion d'essere.

   Il vecchio borgo si è sviluppato su una rupe di macigno circondata su tre lati dal fiume Pescia, ed unita sul quarto, a ponente, ad un poggio chiamato Romita, fondamentale nella difesa del castello.

   A tutt'oggi non siamo ancora in grado di indicare con certezza il periodo in cui Pietrabuona fu fondata. Il primo documento che le si possa in qualche modo collegare è un testamento del 798. Successivamente, in un documento del 914, il Vescovo di Lucca Pietro (896-933) allivella ad un certo Aldoprando di Godalperto una casa posta nel castello di Petra Bovula (in cui il termine "Bovula" deriverebbe dal latino "bobulum", bue), di pertinenza della chiesa di San Frediano a Lucca. Il primo cenno di una trasformazione del nome da Petrabovula in Petrabona si ha in un documento del 951. Forse, ma in un documento appena più tardo (del 988), il paese è di nuovo citato come Petrabovula, pertinente alla Pieve di Castelvecchio, riaprendo così la questione del suo nome. Finalmente, diversi anni dopo, in un documento del 1139 la località viene chiamata Petra Bonula, il che attesterebbe quindi la definitiva trasformazione del nome.

   Dopo essere stata alcuni decenni sottoposta al Vescovo di Lucca, agli inizi del '200 Pietrabuona si costituisce in libero comune, mentre, per quanto riguarda la giurisdizione ecclesiastica, nella seconda metà del '200 la troviamo ricordata nei decimari della Tuscia sotto la diocesi di Lucca.

   Niente si sa dello sviluppo comunale di Pietrabuona durante le lotte dei Comuni, ma si suppone che abbia seguito le sorti della vicina Pescia. Per ritrovare il suo nome in qualche documento dell'epoca, bisogna aspettare il 1228, quando la troviamo far parte di una lega, assieme a Buggiano.

   Ancora niente ci è stato tramandato sul ruolo politico e militare di Pietrabuona durante le guerre fra Pisa, Lucca e Firenze, che contrapponevano in Toscana i Guelfi ai Ghibellini, così come non si sa nulla del castello durante la distruzione di Pescia da parte della Lega Guelfa, nel 1281. Ne sentiamo nuovamente parlare, ma unitamente al resto della Valdinievole, solo nel 1328, quando appunto i comuni della zona, dopo la morte di Castruccio Castracani e la fuga dell'imperatore Ludovico il Bavaro, riunitisi nella chiesa di Sant'Allucio in Campugliano, decisero di allearsi con Firenze. A seguito di questo patto, Pietrabuona diveniva, assieme a Castelvecchio, l'unico castello fiorentino sulla sponda destra del fiume, che in buona misura costituiva il confine con Lucca, assumendosi così il ruolo di sentinella avanzata della fiorentina Pescia. Nel 1331 però, mentre gran parte della Valdinievole restava fedele a questa alleanza, Pietrabuona, assieme a Pescia, tornava a giurare fedeltà a Lucca. Qualche anno dopo, nel 1341, dato che Lucca era stata stretta d'assedio dai Pisani, Mastino della Scala, che con le sue truppe non poteva tenere tutti i suoi possessi sotto controllo, preferì vendere ai Fiorentini la città di Lucca ed il suo territorio, per la somma complessiva di 250.000 fiorini, ed a seguito di ciò Pescia tornò sotto il controllo fiorentino, mentre Pietrabuona ed alcuni altri castelli della Valleriana restavano ancora inclusi nel territorio lucchese. Successivamente, tornata anch'essa sotto il dominio fiorentino, nel 1361 fu ancora conquistata, questa volta da Giovanni Garzoni, che i Fiorentini avevano bandito da Pescia con tutta la sua famiglia e con tutti gli altri ghibellini della città, e che agiva per conto dei Pisani. In risposta a ciò la Signoria fiorentina si accordò di sottobanco con il famoso capitano di ventura Giovanni da Sasso, che era al soldo dei Pisani, perché questi consegnasse loro il castello, che i Pisani infuriati per il tradimento cinsero immediatamente d'assedio, scatenando così una violentissima guerra contro i Fiorentini: il conflitto, pur in mezzo a grandi spargimenti di sangue, restò in bilico tra la vittoria dell'una o dell'altra delle potenze impegnate, fino all'ultimo.

   L'assedio di Pietrabuona del 1362 e la sua successiva espugnazione, praticamente sotto  gli  occhi dei  Fiorentini  che nulla poterono fare per difenderla, ci sono stati minuziosamente descritti da vari storici, tra cui Giovanni Sercambi e Matteo Villani. A questo c'è da aggiungere che l'assedio di Pietrabuona è ricordato come uno dei primi eventi bellici in cui siano state usate delle armi da fuoco, e più precisamente una bombarda da 2000 libbre.

   Un paio d'anni più tardi, dopo la battaglia di San Savino, la guerra finalmente si concluse con la pace siglata il 17 agosto 1364 che sancì la vittoria dei Fiorentini i quali, in virtù del trattato di pace, avrebbero dovuto annettersi il castello di Pietrabuona che alla fine della guerra era ancora saldamente in mano ai Pisani, e che solo nel 1371 si decise a fare loro atto di sottomissione.

    A cavallo tra il '300 e il '400, anche Pietrabuona, come del resto tutta la zona, fu vittima di una gravissima crisi demografica, da cui solo nel secolo successivo cominciò lentamente a riprendersi. Nel 1447 furono editi gli Statuti del Comune, che poi, a più riprese, ebbero aggiunte ed integrazioni, fino a tutto il 1540, e di quello stesso periodo sono anche i rilievi fiscali del Catasto fiorentino. Nel 1529 poi, al tempo dell'ultima Repubblica Fiorentina, il sindaco ed i rappresentanti di Pietrabuona si incontrarono, a Pescia, con quelli degli altri castelli della Valdinievole, alla presenza del Commissario fiorentino, per eleggere quattro ambasciatori che avrebbero dovuto recarsi dal Papa Clemente VII per cercare di scongiurare una invasione della zona da parte delle truppe imperiali spagnole, che si stavano battendo con quelle francesi per conquistare il predominio sugli stati della penisola. Finalmente, nel 1554, il castello fu per l'ultima volta protagonista di un importante fatto d'armi, quando fu occupato dai soldati francesi, alleati dei Senesi che erano in guerra contro il Granducato mediceo.

   Da notare però che alle guerre vere e proprie, tra Stati, vanno aggiunte le numerosissime contese tra castelli vicini, di solito per via di confini non rispettati, o di antichi diritti di pascolo o di legnatico. L'ultima di queste contese si verificò addirittura nel 1772, con Aramo come controparte, costringendo l'allora Commissario, Colonna, ad un complicato lavoro di revisione dei confini tra lo Stato di Lucca ed il Granducato di Toscana.

   In quello stesso secolo Pietrabuona perse due importanti prerogative, una civile ed una religiosa: l'amministrazione comunale, con la riforma leopoldina del 1775, cessò di essere autonoma e il paese passò sotto il comune di Vellano, mentre in campo religioso il Granduca Pietro Leopoldo soppresse la carica di Tesoriere del Capitolo di Pescia, che fino dal 1519 era sempre stata tradizionalmente attribuita al parroco di Pietrabuona. Infine, nel 1883, l'amministrazione civica del castello subì un ulteriore trasferimento, passando da Vellano a Pescia.

   Oggi l'antico castello di Pietrabuona ha perso in buona parte la sua funzione economica e sociale, e praticamente ogni attività, principalmente legata alle cartiere ed alle cave di pietra serena, si svolge nel fondovalle, dove recentemente si è anche avuta l'espansione della zona industriale di Pescia.

   Già ai primi del Settecento nelle cartiere locali si producevano ben due differenti tipi di carta, che avevano un vasto smercio e non solo in Italia, ma anche all'estero e soprattutto nei paesi del Sud America, tanto è vero che spesso si tentava di falsificarli, dato il loro prestigio. Oggi, anche se nella zona vi sono sempre numerose cartiere, quasi tutte si sono convertite alla produzione industriale e fabbricano per lo più cartoni, carta gialla e carta igienica. Ne rimane solo una che ancora ha una piccola produzione di carta "fatta a mano": è la cartiera Magnani, la più antica di tutte, che oltre a possedere ancora tutte le macchine e le attrezzature anticamente usate, è famosa per la qualità della sua carta, tanto è vero che è appunto lei a produrre la carta filigranata usata dalla Zecca di Stato per stampare le banconote.

   L'importanza militare di Pietrabuona era sottolineata da un doppio cerchio di mura, di cui però non  restano tracce apprezzabili, ma il paese deve essere sorto come borgo fortificato, con gli edifici esterni addossati tra loro, in modo da costituire essi stessi un baluardo verso l'esterno, collegato alla rocca vera e propria che sorgeva nel punto più elevato del colle. Delle antiche difese comunque, a parte la Porta Castellana, rimangono solo pochi resti delle mura, in buona parte incorporati in edifici posteriori. Per quanto poi riguarda la rocca, questa, sebbene più volte danneggiata, ha continuato a lungo ad essere una struttura solida ed efficiente e se oggi è ridotta ad un rudere, questo è dipeso da scarsa manutenzione e non da eventi bellici.

   A fianco della ancora esistente ed integra porta castellana settentrionale un tempo era la chiesa dei SS. Matteo e Colombano, che andò distrutta durante l'assedio del 1362. Qualche anno dopo la sua distruzione, la chiesa fu sostituita da un'altra costruita più all'interno del castello, probabilmente la chiesetta di San Michele, che a sua volta fu abbandonata nell'Ottocento, quando fu costruita la nuova chiesa, intitolata anch'essa ai SS. Matteo e Colombano.

   Questo edificio, che ancora esiste, pur se in disuso e molto rimaneggiato, mostra sempre qualche carattere gotico oltre a due interessanti portali cinquecenteschi, di fattura piuttosto insolita, e si trova esattamente al vertice di quella sorta di ipsilon rovesciata che è disegnata dalle vie dell'antico castello.

   Al suo fianco si eleva ancora un sobrio campanile, mentre di fronte ad essa è un palazzotto in pietra, con archi a tutto sesto, che la tradizione indica come l'antico palazzo comunale. All'esterno del nucleo più antico del castello, su di uno slargo di fronte alla porta castellana, c'è invece la zona di espansione sei-settecentesca dell'abitato, costituita da un cerchio di casette a cui, nella seconda metà dell'Ottocento si è aggiunto l'edificio della nuova chiesa, dedicata anche questa ai santi protettori del paese.

Fonte: Bettino Gerini, Francesco Salvi, La provincia di Pistoia, Etruria Editrice.

 

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