Corriere della Sera - sabato 24 febbraio 2001

Il deserto di Gengis Khan stringe d'assedio Pechino

E' il risultato dello scempio contro l'ambiente

MILANO - Il deserto di Gensis Khan minaccia Pechino e avanza in media di 1,8 chilometri all'anno. La terra arida ormai arriva a 200 chilometri dalla capitale e se entro cento anni non sarà trovata una soluzione la città sarà aggredita e anch'essa desertificata. La gravissima prospettiva ha spinto il governo cinese ad avviare un grande programma di ricerca per arginare l'erosione portata dal deserto della Mongolia e al quale partecipano diversi organismi internazionali, tra i quali il Consiglio nazionale delle ricerche italiano. Un accordo in tal senso e stato siglato ieri a Roma tra il presidente del Cnr, Lucio Bianco, e Madame Jiang Zehui, presidente dell'Accademia forestale cinese.

In realtà la desertificazione non minaccia solo la Capitale ma pesa su tutto il nord della Repubblica Popolare tanto da aggredire ormai un terzo della superficie del Paese, cioè circa tre milioni di metri quadrati. La continua espansione, quindi, colpisce una quantità sempre maggiore della popolazione e oggi, circa 400 milioni di persone devono lottare contro il suolo che si inaridisce sotto i loro piedi.

"Le cause del fenomeno sono in parte naturali, ma soprattutto antropiche - spiega Francesco Cannata dell'Istituto di agroselvicoltura del Cnr e impegnato nell'operazione - perché da circa tre secoli l'uomo in queste zone distrugge la vegetazione, taglia gli alberi per fare legname da bruciare. Altri contributi alla distruzione - continua Cannata - arrivano da eccessi di pascolo in steppe e aree montane, da coltivazioni non controllate di erbe medicinali, dal cattivo uso delle risorse idriche e dei sistemi di irrigazione".

A tutto ciò si devono poi aggiungere le cause naturali, come l'erosione del vento e delle acque, i forti sbalzi di temperatura in certe regioni e il processo di salinizzazione. Per riassumere in una cifra i guai prodotti dal deserto che avanza, secondo fonti cinesi il danno economico subito è valutabile intorno a 6,5 miliardi di dollari, vale a dire quasi 14 mila miliardi di lire. A tutto, si aggiunge poi il dramma umano con l'abbandono dei territori e la migrazione delle popolazioni verso luoghi meno disagevoli.

"Gli interventi necessari per combattere il problema sono diversi - precisa Francesco Cannata -. Tenendo conto degli aspetti bioclimatici si cerca difendere o recuperare il suolo mettendo a dimora prima delle erbe, poi degli arbusti e infine delle specie arboree perché il ripristino deve essere naturalmente graduale. In certe zone l'intervento è pure facilitato dall'acqua presente nel sottosuolo".

Per proteggere la capitale c'è addirittura un programma specifico (il Sand prevention and control program around beijing) che si occupa del rimboschimento e dello sviluppo del tappeto erboso per diffondere la vegetazione nell'area sabbiosa nel circondano della città. Qui si cerca di realizzare un sistema integrato che contemporaneamente freni il vento ed eviti l'asportazione della sabbia.

"Per ottenere dei risultati concreti dice Cannata - studiamo anche il 1egno delle antiche pagode per scoprire le specie naturali esistenti in passato in modo da recuperarle dove ancora esistono e ripiantarle nei territori dai quali erano scomparse. Negli ultimi anni infatti - conclude Cannata - gli interventi talvolta non producevano risultati proprio perché si faceva ricorso ad arbusti estranei all'ambiente e incapaci a resistere".

Giovanni Caparra

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