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Reportage..

Dal "Corriere della Sera" – mercoledì 18 Ottobre 2000

Quell’urlo sulla sponda - "Sabbia, sabbia, sabbia"

di GIAN ANTONIO STELLA

CREMONA - "Maresciallo: sull’argine destro il sottoscritto Luigi Maccabelli è il Presidente della Repubblica. Chiaro? Cumandi mi. Come delegato del Magistrato per il Po sono io che le dico cosa fare. E se si sposta da dove sta la inchiodo. Ma sì, lo so che il colonnello e il generale e il capitano... Ma il fiume lo conosco io, mica i generali. Tenga la posizione, perdio! E metta sacchetti". Si volta verso un camionista: "Porta gli ancora sabbia, sabbia, sabbia! Inondalo di sabbia!".

Cade presto la notte, sul mare marrone che scorre intorno a Cremona. Alla chiavica del Piglio, 15 trattori pompano e pompano nei tubi di plastica per aiutare la grande idrovora che non ce la fa. Ha le centraline elettriche luccicanti, i motori bollenti e una targa a ricordo della inaugurazione: 1999. Piccolo errore: chi se la immaginava una piena come questa? E a vedere scorrere via questo "altopiano d’acqua" ti viene in mente quel che diceva nel 1994, coi piedi in ammollo, l’allora magistrato per il Po Emilio Baroncini: "Una previsione esatta su questo disastro nessuno era in grado di farla. Nessuno. Perché è stato un evento non eccezionale. Ma, se mi permette l’errore, "eccezionalissimo"".

E ti spiegava che "l’improvviso raddoppio della portata del Tanaro non era facile da prevedere". E che mai nessuno avrebbe potuto immaginare che "i fiumi piemontesi caricassero il Po, da soli, senza quelli lombardi ed emiliani, ai livelli del 1951". E che "in America, se arriva un tifone, prendono atto dell’allarme e attaccano i vetri con lo scotch, mica se la prendono coi meteorologi". Sei anni son passati: l’evento "eccezionalissimo" si è già ripetuto. E mentre in Val d’Aosta e in Piemonte contano i morti, la paura riprende a scivolare lungo le stesse rive, da Parma a Piacenza, da Cremona a Mantova, dove ancora i nonni raccontano ai nipotini di come il fiume nel 1082 si lasciò dietro, dopo il passaggio, la peste e la carestia e una disperazione tali "che si vide gente mangiare non solo le cose più immonde, ma perfino la carne umana".

Una volta, in queste terre grasse e operose se la prendevano con Satana, i sortilegi, la magia nera. E nel 1493 arrivarono a caricare la colpa di una esondazione su una poveretta, additata come una strega, arrestata e bruciata nella piazza di San Pietro. Mezzo millennio dopo, "Nana" Malerbi, che ha dovuto mollare la sua casetta sotto l’argine senza riuscire a portar via il gatto, "che chissà dov’era andato a ficcarsi", se la prende con quelli "che hanno combinato i disastri in montagna". Carlo Bori, che si vanta d’esser l’unico esemplare rimasto dei vecchi battellieri cremonesi, ti spiega che la responsabilità è di chi "non porta rispetto per il Po". E il professor Floriano Villa, carte alla mano, può dimostrarti che le grandi alluvioni ci sono sempre state, ma sono aumentate via via che cresceva la sciatteria nei confronti di certe regole che per i nostri vecchi erano sacre.

"Siamo già sopra di una decina di centimetri all’onda di piena del 1951!", urla nel cellulare l’ingegnere capo del Comune di Cremona Marco Pagliarini: "E’seria! le dico che la situazione è molto, molto seria. E l’acqua continua a salire!". Gli strumenti elettronici, ti spiega, non funzionano più. La marea che sale va misurata con i metri incisi sulle lastre di cemento che affondano nella melma. Bollettino: argini golenali rotti a Stagno Lombardo, argini rotti a Motta Baluffi. argini al collasso vicino al Morbasco: "Se rompe lì, Cremona va sotto".

E le ore passano, interminabili, nel buio. Con il brontolio del Po nelle orecchie. Ogni tanto, lontano, il crack di una casetta, di un lampione della luce, di una corda d’acciaio che non hanno retto. Raccontano le cronache di qualche decennio fa che certi contadini, non volendo saperne di mollare le loro cascine con le vacche portate al piano di sopra fra i letti e i comò, si piazzavano coi fucili alle finestre perché gli argini rotti per dare sfogo al fiume non fossero i loro ma quelli altrui. Racconta la storia che l’antico Eridano, prima d’arrivare alle foci in quella "piccola Mesopotamia" che i veneziani dopo la bonifica descrivevano come una terra che" nuota nel latte di vacca / c‘è frumento, c’è pecore, c’è olive / c’è pesci e uva", ha donato per millenni ai suoi figli prosperità e lutti, frutti e catastrofi: centinaia di morti nel 589, 10 mila nel 1330, quindicimila nel 1705.

Dicono le statistiche che, da quando hanno incominciato a tener i conti alla Batteria di Brescello, la quota massima toccata dal Po sulla sua dimensione naturale ha continuato a salire, salire, salire: 7,7 metri nel 1905, 7,59 nel 1907, 7,72 nel 1917... Fino agli 8,50 del 1951, quando il fiume si rovesciò a valle e allagò il Polesine, lasciandosi alle spalle una tale desolazione che Cesare Zavattini raccontava con il suo humour sulfureo d’aver "visto funerali così poveri che non c’era neanche il morto nella cassa". Mezzo secolo dopo, la provincia di Rovigo, svuotata da un’emorragia di emigranti, non si è ancora del tutto ripresa e sta centomila abitanti sotto a quelli che aveva allora.

Eppure, mentre l’acqua preme furibonda sui pilastri dei ponti e i sacrestani si preparano all’occorrenza a dare l’allarme coi vecchi sistemi, suonando le campane, e gli abitanti di certe frazioni si danno il turno per dormire mentre uno della famiglia resta di guardia, c’è tutto intorno una specie di stupore: ma come, un’altra volta? E nessuno che si ricordi che anche quando gli alvei degli affluenti erano più puliti, prima che il buco nell’ozono facesse salire la temperatura nel Mediterraneo di due gradi. prima che venissero devastati i boschi con una cecità che la Repubblica Serenissima avrebbe colpito spedendo i colpevoli a "remar per sette anni coi ferri ai piedi", prima che lo scavo del gas nel sottosuolo facesse sprofondare certe a-ree anche di tre metri, il Po era uscito dal suo letto distruggendo tutto anche tre volte nello stesso anno. Eppure, potete scommettere che fra qualche mese, quando tutto sarà tornato "quasi" come prima, nessuno se ne ricorderà più. E quando il Grande Fiume tornerà a gonfiarsi "eccezionalissimo", qualcuno ripeterà: ancora?

Gian Antonio Stella

 

La tragedia del 1951

14 Novembre notte, dopo cinque giorni di piogge ininterrotte, il Po, gonfio d’acqua, invade il Polesine, nel Veneto meridionale.
15 Novembre, la situazione peggiora: oltre 30 morti, comunicazioni interrotte, campagne allagate. Migliaia di persone abbandonano le proprie abitazioni.
16 Novembre: l’acqua del Po raggiunge Rovigo, mentre il numero degli sfollati continua ad aumentare. L’inviato del Corriere parla di <<esodo drammatico>>
17 Novembre: la situazione a Rovigo precipita. Con un annunci via radio, nella notte le autorità chiedono alla popolazione di lasciare immediatamente la città con qualunque mezzo.
Il 19 Novembre l’acqua sommerge Adria e spazza via completamente il paese di Cavarzere. Decine di morti e dispersi.
Dal 22 Novembre la situazione comincia a migliorare. Il bilancio finale dell’alluvione è di 92 morti, centomila ettari di campagna allagati, 5694 case distrutte, 956 km di strade devastati.

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Altri documenti:
Inchiesta
: Il Po si è ripreso... di G. Vergani; - Gli ultimi dieci anni sono stati i più caldi del secondo millennio di F. F. Martin; - Riduciamo i gas di scarico di Ivo Caizzi - Piove di meno ma tutta insieme di F. Foresta Martin