Corriere della Sera – 22 maggio 2001
MILANO
— Le grandi scimmie antropomorfe. i gorilla, gli oranghi, gli
scimpanzé, rischiano di estinguersi nel giro di 10 o 20 anni. L’allarme, più
volte lanciato da scienziati e animalisti, questa volta viene dagli uffici di
Nairobi dell’Unep, l’agenzia delle Nazioni Unite responsabile della difesa
dell’ambiente. Se non si fa qualcosa la scomparsa definitiva dei grandi primati è inevitabile, dice L’Unep. Che
annuncia la partenza del programma «Grasp». Acronimo che sta per «Great apes
survival project» e, cioè, progetto per la sopravvivenza delle grandi scimmie,
ma che può anche essere tradotto con “afferrare”. Come a dire che la situazione
sta precipitando.
I
Paesi coinvolti dal progetto, che ha ricevuto un primo finanziamento di oltre
300 milioni, per ora sono cinque. Ma l’obiettivo è di lavorare con tutte le 23
nazioni che ospitano gli ultimi santuari delle grandi scimmie, dall’Africa al
Sud-Est asiatico. Perciò, nel lanciare il suo allarme, l’Unep si è
rivolta al
mondo economico e degli affari, chiedendo contributi: servono oltre 2
miliardi di lire per realizzare compiutamente il programma.
Per
ora l’Unep ha stabilito una «joint venture» con Ape Alliance, coalizione che
raccoglie oltre 40 gruppi ambientalisti. Con loro comincerà a lavorare sui 5
progetti iniziali. «Occorre uno sforzo globale. Siamo a un minuto dall’ora zero
per la salvezza delle grandi scimmie — ha detto il direttore dell’Unep Klaus
Toepfer —. Sacche di estinzione locali sono già molto estese e si tratta di
perdite drammatiche per l’umanità. Un buco nero per l’ecologia nel
Pianeta.
Non possiamo assistere impotenti alla scomparsa di queste creature, alcune
delle quali (come gli scimpanzé, ndr) hanno
oltre il 98% del Dna uguale a quello umano».
Minacciano
questi animali:
·
le
tante guerre che conducono alla distruzione dei loro habitat naturali,
·
la
cattura dei piccoli che poi vengono venduti,
·
la
caccia di frodo che alimenta il commercio di trofei e souvenir,
·
lo
sfruttamento illegale del patrimonio forestale e minerario,
· l’abitudine, sempre più diffusa fra gli operai che lavorano all’estrazione di minerali, i taglialegna, i pastori e alcuni cittadini, di cibarsi della carne di scimmia.
Il fenomeno è stato chiamato Bush Meat e, secondo i dati raccolti dall’ufficio Traffic del Wwf, è più diffuso di quanto non si pensasse. Le vittime sono le grandi scimmie e diverse altre specie animali (gazzelle e bufali, impala ed elefanti). Malgrado il direttore dell’unità di crisi contro il Bush Meat, Heather Eves, si affanni a spiegare che «ai Paesi meta di turismo naturalistico questi animali servono più da vivi che da morti».
La
somma dei fattori elencati dà un risultato allarmante. All’inizio del secolo,
dicono infatti gli esperti, in Africa vivevano oltre 1 milione di grandi
scimmie. Oggi i gorilla di montagna le scimmie più grandi del Pianeta che il
lavoro dell’etologa Diane Fossey (uccisa dai bracconieri nel 1985) ha fatto
conoscere al mondo — sono poche centinaia. Resistono nel Parco Virunga,
sulle alture tra Repubblica Democratica del Congo, Ruanda e Uganda. Gli
scimpanzé della Costa d’Avorio, il gruppo più numeroso dell’Africa
occidentale, ma frammentato in piccoli nuclei a rischio, sarebbero meno di 200
mila.
Dei
gorilla di Cross River (dal nome del
fiume vicino al quale vennero scoperti ai confini tra Guinea e Nigeria) restano
appena 150 esemplari: secondo l’Onu sono la specie più minacciata del mondo.
A rischio anche i gibboni di Giava, asserragliati in non più di 400 negli
ultimi 80 mila ettari di foresta protetti nell’isola. E i 20 mila oranghi
divisi tra il parco nazionale indonesiano di Tanjung Putting, il Borneo e
Sumatra
(per seguire le loro vicissitudini si può consultare il sito Internet www.orangutan.org).
In tutto sono più di 20 le specie a rischio individuate dall’Unep. Per salvarle si pensa di ricorrere a personale specializzato nella lotta al bracconaggio, costruire «corridoi» naturali protetti per unire le popolazioni di primati frammentate e istruire le popolazioni locali. Ci vorrà tempo.
Intanto,
però, le devastazioni continuano: nelle grandi riserve naturali del Nord-Est
della Repubblica Democratica del Congo, il Biega National Park e l’Okapi
Wildlife
Reserve, l’invasione di cercatori di metalli preziosi come tantalio e niobio
mette a repentaglio la sopravvivenza delle scimmie. E quindi anche quella delle
foreste, perché, spiegano gli scienziati, i gorilla sono veri e propri «giardinieri», naturalmente portati a
spargere semi e potare alberi.
Mario Porqueddu