La Chiesa dell'Annunziata dei Catalani prese questo nome da quando venne data in concessione ai mercanti catalani che, sia pur in ritardo rispetto il resto dell'isola, assunsero nel XV secolo il dominio economico della città.

La chiesa, autentico gioiello dell'architettura messinese, sorge su un luogo certamente centrale della antica città. Probabilmente agorà greco e poi forum romano, anche a suffragare la tesi della presenza nel sito del cosiddetto Tempio di Nettuno. Poi sede di un Castello, a protezione della vicina Darsena in epoca bizantina, e perchè no, residenza dei sultani (1), con tanto di "hamman", in epoca araba. La vicinanza del fiume Portalegni, del mare e del vicino Pozzo Leone, lo giustificherebbero.

Diversi studiosi, proprio su dei blocchi di marmo rinvenuti sul sito, iscritti con lettere arabe, e su vecchie stampe della città, anticipano la data della costruzione dell'attuale chiesa allo scorcio del XI secolo, e non fra il 1150 e il 1200, come molti studiosi sino adesso hanno concordato. Ma non solo. Gli stessi ipotizzano, sulla base anche di documenti, che la Chiesa, detta allora Annunziata di Castellammare, fosse Cappella Palatina, e ivi vi fosse un Palazzo Reale. La qual cosa confermerebbe la tesi della presenza di un palazzo dei Sultani arabi o di un giardino paradiso (2). Tali trasformazioni erano infatti frequenti in epoca normanna.

Certo è che l'impianto planimetrico e l'accostamento serrato dei diversi volumi sono tipicamente arabo-normanni. Ed è anche certo che la chiesa, prima del taglio delle navate effettuato in epoca aragonese, fosse lunga quasi il doppio. Il che la rendeva molto simile alla Cappella Palatina di Palermo.

Ma l'alto tamburo con cupola sovrastante, ben marcati esternamente, danno alla chiesa un impronta bizantina inconfondibile. Tanto da far rivivere in tali forme molte chiese bizantine del levante europeo, così come della vicina Calabria. Il Lojacono, subentrato nei restauri al Valenti, era fautore di tale ipotesi tanto da applicare le tegole sull'estradosso della cupola, nell'ultimo recente restauro asportate.

Sulle date di costruzione e sulle influenze stilistiche presenti a lungo si è dibattuto. Il Valenti, autore del primo restauro prevale per la provenienza toscana delle decorazioni esterne, delle loggette cieche, così come delle bicromie interne, dei cordoli di rafforzo dell'arco trionfale e dei portali di ingresso. Mentre il Basile riscontra gli stessi intarsi policromi esterni nell'area campana, basando tale ipotesi sulla presenza in Sicilia di monaci cassinesi operanti anche a Monreale.

Le ultime teorie che anticipano la data di costruzione della chiesa normanna non escluderebbero le altre. La presenza a Messina di mercanti stranieri, pisani, amalfitani, genovesi proprio in epoca normanna, proverebbe la diversa influenza stilistica e la fascia, certamente arabeggiante, che corre lungo le absidi e il transetto, e che tanto bruscamente si ferma prima della fine dello stesso per non andare a tagliare malamente le finestre della navata laterale, proverebbe le diverse epoche costruttive.

L'interno è molto sobrio, a differenza di altre chiese arabo normanne ricche invece di mosaici bizantini. La policromia è affidata quasi esclusivamente all'alternanza di pietre laviche, calcaree e mattoni, un pò come le prime basiliche ruggeriane del messinese (a Itala, Casalvecchio e Mili San Pietro). Gli archi bicromi, di pietra calcarea e mattoni rossi, a tutto sesto, poggianti su esili colonne e alti pulvini, avvalorano l'ipotesi di una costruzione prettamente araba precedente a quella arabo-normanna, forse un Hamman.