Camminando per gli incantevoli paesaggi etnei è facile imbattersi in edifici religiosi del XVI, XVII e XVIII secolo, interamente intonacati di bianco su cui spiccano vivacemente alte lesene, pilastri angolari bugnati, architravi e stipiti in pietra lavica, sia di disegno rinascimentale che barocco. Per un attento studioso non è difficile paragonare queste chiese dai volumi architettonici semplici e dagli interni riccamente decorati a coevi edifici andalusi o del Portogallo meridionale.

Ci siamo abituati a far risalire molti edifici siciliani dei secoli che vanno dal XIV a XVIII alla Spagna. Molti storici superficialmente hanno parlato e parlano di influenza catalana, ma in altre circostanze ho dimostrato come sia più giusto parlare di influenza levantina o addirittura, dal XVI secolo in poi, di influenza castigliano-leonese e andalusa. Nell’architettura perietnea possiamo addirittura spingere le nostre ricerche fino in Portogallo.

L’attento studioso Rocco Sisci ci ha fatto notare più volte i forti legami esistenti fra le due terre dovuti allo scambio di mercanzie siciliane con il pesce salato portoghese. Le stesse relazioni dovevano esistere anche con la Calabria basti osservare i vestiti a sette gonne delle donne di Bagnara e quelle di Nazarè.

La città di Sao Bartolomeo de Messines è senz’altro una prova dello stanziamento di messinesi in terra lusitana proprio nei secoli in cui il suddetto tipo di edificio ebbe maggior sviluppo.

La bianca architettura con risalti colorati in angolo e in corrispondenza delle bucature è senza dubbio una prerogativa già andalusa così come portoghese. Anche la Chiesa di San Domenico ad Aidone in Sicilia presenta queste caratteristiche. Il dubbio è se l’uso della pietra scura, lavica per i siciliani, grés vermelho per i portoghesi, sia stato importato nella penisola iberica dalla Sicilia o viceversa.  

La Sicilia orientale è sempre stata ricca di pietra lavica. Il suo uso era frequente già in età antichissima e lo fu anche durante la dominazione spagnola. Ma mentre sotto l'influenza levantino-spagnola la pietra lavica veniva usata solo per incorniciare finemente le bucature, quasi a rilevare i limiti fra l'intaglio fine dei conci in pietra siracusana e l'opera incerta del resto della costruzione, con l'avvento del rinascimento italiano e poi col barocco, veniva usata per realizzare interi portali o finestre, alti cornicioni e imponenti lesene.

San Domenico ad Aidone in Sicilia

Per chiarire questi concetti mettiamo a raffronto il portale e la finestra sovrastante della chiesa dei Santi Antonio e Vito a Linguaglossa con quelli della chiesa di Sao Miguel nelle Azzorre, l'effetto pittorico è lo stesso.

Chiesa di Sao Miguel nelle Azzore

Chiesa dei Santi Antonio e Vito a Linguaglossa

Oppure raffrontiamo alcune chiese etnee con altre coeve lusitane. 

La Chiesa madre di Viagrande, quella di Santa Maria della Consolazione a Mascalucia e il Santuario di Trecastagni hanno facciata tripartita da alte lesene in pietra lavica come la parrocchia di Villanueva del Fresno o come la chiesa di Sao Pedro a Obidos o come la chiesa madre di Ponte da Barça.

Santuario di Trecastagni

Chiesa Madre di Viagrande

Santa Maria della Consolazione a Mascalucia

Chiesa madre di Ponte da Barça

Chiesa madre di Celorico de Beira

Chiesa madre di Murça

Il campanile della chiesa di Mascalucia, peraltro, ci ricorda fortemente quello delle chiese tardo barocche di Celorico de Beira e di Guarda in Portogallo.

E' importante, infine, notare come un'altra chiesa siciliana, fuori dall'area etnea, quella del Carmine al Milazzo, rientri decisamente in questo tipo di architettura, quantunque qui manchi l'uso della pietra scura. E' probabile che i recenti restauri abbiano attenuato il risalto degli elementi architettonici principali sulla superficie muraria. L'andamento curvilineo della facciata è decisamente iberico come peraltro si può notare in alcune parrocchie adiacenti a tonnare siciliane.

Chiesa di Gouveia in Portogallo

Chiesa del Carmine a Milazzo