Retablò” (dal latino retro e tabula), è un termine spagnolo che indica quelle strutture di legno o di marmo, dipinte e scolpite, che, in maniera scenografica, si mettevano, a partire dal XIII secolo, dietro gli altari delle chiese cristiane. Al centro una parte cava conteneva oggetti liturgici o reliquie.

Ma con questo termine, più tardi in America latina, vengono anche definiti quei portali che, altrettanto scenograficamente, abbellivano le facciate delle chiese barocche.

A quel tempo, in America latina, la numerosa popolazione indigena convertita al cattolicesimo assisteva alle celebrazioni fuori dalla chiesa. Per tale motivo alla scultura del portale veniva data sempre maggior importanza, affinchè venisse dato alla popolazione indigena, abituata agli spazi aperti, una sorta di altare sulla strada.

Indipendentemente da ciò, già da tempo questo tipo di portale con decorazioni prima semplicemente manieriste, poi barocche e poi ancora churrigueresche* era diffuso anche in Andalusia e in Portogallo meridionale, dai quali porti partivano le navi per il “nuovo mondo”.

Ma, mentre nelle grandi città si lavorava con una certa prudenza e gerarchia, in America latina, per le ragioni di cui sopra, la decorazione veniva portata alle estreme conseguenze, così come avveniva nei piccoli centri della nostra isola, da sempre coinvolta in una koinè culturale con la Spagna.

Il gusto per il magnifico delle nobili famiglie spagnole e dei ricchi ordini religiosi, infatti, incontrava favorevolmente il gusto popolare di capimastri e scultori locali, di scuola araba, i quali prendevano volentieri d'assalto bugne, balaustre, cornici, scale, finestroni e ovviamente i portali.

A Mazara del Vallo, la ricca facciata della Chiesa di Santa Veneranda, serrata fra i due campanili a bulbo, si slancia in altezza in maniera quasi gotica. Il “portale retablò” in marmo bianco è sormontato dal classico balcone alla siciliana, dal quale i religiosi assistevano alle feste di paese.

A Caltanissetta, nella biblioteca Scarabelli l’effetto cromatico è spettacolare. Sia il “portale retablò” che gli altri elementi architettonici sono in pietra di sabucina, il resto della facciata è intonacato di bianco.

A Palazzolo Acreide il portale copre tutto il primo ordine della facciata. Colonne binate tortili sorreggono la trabeazione marcapiano.

Colonne tortili e statue sono protagoniste anche dei portali della Badia San Salvatore a San Marco D’Alunzio, della Chiesa Madre di Sortino, della Cattedrale di Piazza Armerina e della Chiesa dei Gesuiti a Salemi, così come dei portali spagnoli della Chiesa di San Francisco a Lorca e di Santa Maria ad Alicante

A Mazzara del Vallo, nel Collegio dei Gesuiti il portale è affiancato, invece che da colonne tortili, da statue che sorreggono capitelli. Il tutto è contornato da maschere e festoni.

A Naso, nella Chiesa di San Francesco, un doppio ordine di statue binate sorregge un timpano curvo spezzato. In cima una nicchia con timpanetto sovrastante accoglieva la statua di San Francesco

Bellissimo il portale della Chiesa del Carmine ad Alessandria della Rocca. In cima alla scalinata, tre colonne da una parte e tre dall’altra sorreggono una vera e propria struttura architettonica di due ordini. Nel secondo ordine la statua della Madonna del Carmine. Il tutto è molto simile alla Chiesa di Santo Domingo ad Orihuela.

A Ferla, il portale della Chiesa di San Sebastiano forma una specie di “protiro”. Colonne binate sorreggono una trabeazione su cui poggiano acroteri spagnoli e ben 7 statue.

La Chiesa Madre di Frazzanò, costruita su una vecchia basilica normanna, ha tre “portali retabò” che danno sulle tre navate. Quello centrale, ovviamente il più maestoso, è affiancato da colonne tortili. Festoni, volute, cornicioni, acroteri e statue, in marmo aluntino, risaltano sull’intonaco rosa antico.

Almeno da annoverare anche i portali della Chiesa di Santa Maria della Stella a Militello in Val di Catania, della Chiesa di Sant’Antonio a Cassaro, del Duomo di Castroreale, di San Calogero a Naro e del Monte di Pietà a Cefalù

Invece un capitolo a parte meriterebbero le bellissime chiese in bianco e nero perietnee dalle facciate interamente intonacate di bianco su cui spiccano vivacemente alte lesene, pilastri angolari bugnati, architravi, stipiti in pietra lavica e ovviamente “portali retablò” Qui non si può che riferirsi alle coeve chiese dell’Andalusia, del Portogallo meridionale e delle isole vulcaniche delle Azzorre.

 

 

 

churrigueresche*

Sulla fine del 600 e gli inizi del 700, fra gli architetti di matrice italiana operanti in Spagna, emerge Jose Benito Churriguera con la sua prima opera "el Catafalco para las exequias mortuorias de M. Luisa de Borbon". Quest’opera dà vita in Spagna ad un nuovo stile, coevo del “Rococò” francese, il cosiddetto "Churrigueresco", diffusosi, ovviamente, anche in Sicilia.