Ultimo grande appuntamento della stagione: WEEK END a MARINA
DI CAMEROTA, in provincia di Salerno.
Per non essere monotoni e provare sempre nuove esperienze, decidiamo di
viaggiare di notte a bordo delle cuccette di TRENITALIA.
Il programma ben dettagliato e preciso, prevede:
ANDATA
Partenza: 23/09/2004 dalla stazione ferroviaria di Chiari con treno IR
2108 delle 17.55
Arrivo : 24/09/2004 alla stazione ferroviaria di Pisciotta/Palinuro alle
ore 07.00.
RITORNO
Partenza : 26/09/2004 dalla stazione ferroviaria di Pisciotta/Palinuro
con treno ICN 752 alle ore 23.47
Arrivo : 27/09/2004 alla stazione ferroviaria di Chiari alle ore 12.03
DETTAGLI
Il viaggio di andata e ritorno in treno è previsto nel seguente
modo:
- Andata :cambio alla stazione di Milano Centrale alle ore 19.45 col rapido
per Reggio Calabria, carrozza n°12 con cuccette;
- Ritorno :carrozza n°12 con cuccette fino a Milano Centrale e cambio
con treno Inter Regionale per Venezia S.L. delle ore 11.15;
- Alloggiamento : in camere da 2, 3 e 4 posti letto con trattamento di
pensione completa per complessivi tre giorni;
- Immersioni : pacchetto chiuso di cinque immersioni così distribuite:
n. 2 venerdì, n. 2 sabato ed infine n. 1 domenica, per chi lo desidera
è possibile effettuare la seconda immersione domenica con pagamento
separato.
Partecipano a questa uscita: Andrea, Beppe, Corrado, Diego, Fabio Menin,
Ladislao, Paolo Rubagotti, Pierangelo, Pierluigi e Raffaela.
Purtroppo per motivi di salute non è potuta venire la mitica Natascia.
IL VIAGGIO D'ANDATA
Alla stazione di Chiari ci ritroviamo tutti e puntualmente saliamo sul
diretto per Milano Centrale. In perfetto orario giungiamo nella stazione
del capoluogo Lombardo e vista l'ora decidiamo di farci uno spuntino.
Beppe e Diego provano l'esperienza dei bagni pubblici della stazione.
Pensate ben €.0,70 per una pisciata circa 1.400 delle vecchie lire,
scandaloso!!!!
Bisogni fisiologici a parte, dopo la merenda o cena saliamo sul treno
Rapido per Reggio Calabria e ci accomodiamo nei posti prenotati. Erano
circa le otto dio sera quando il treno ascia la stazione di Milano.
L'emozione mista ad eccitazione per un'esperienza nuova, quasi per tutti,
del viaggio in una cuccetta ferroviaria, fa trascorrere le prime ore di
viaggio in un baleno.
Alle ore 22.00 eravamo tutti in branda. La notte trascorre lenta e svegliarsi
ad ogni stazione, ad ogni galleria, ad ogni incrocio con latro treno è
quasi d'obbligo.
Quando il sonno era talmente profondo, che nemmeno il russare generale
disturbava più, ecco l'omino della Bialetti che alle ore 5.50 sveglia
tutti con l'annuncio: "siamo a Salerno", mancava ancora un'ora
alla nostra stazione.
Oramai tutti svegli attendiamo l'arrivo a Pisciotta. Alle 7,05, con soli
cinque minuti di ritardo sulla tabella di marcia il treno ferma alla stazione
di Pisciotta, dove ad attenderci c'era già Paolo Gay.
Dopo i saluti e le presentazioni saliamo sul pulmino che ci conduce a
Marina di Camerota e dopo una mezzoretta di viaggio giungiamo a destinazione.
BREVI CENNI DI STORIA
La vecchia Camerota e` situata su di un colle alto 322 metri ed a km 2,5
dal mare in linea d` aria . Nel medioevo era la sede di un feudo , aveva
una cinta muraria, un castello e tre porte. Il centro storico e` un continuo
contrasto tra Medioevo e Rinascimento, e` un susseguirsi di archi ed archetti
di varie forme e di varie epoche, difatti il nome Camerota deriva dal
greco antico " KAMARATON" che vuol dire costruire ad arco, fabbricare
a volta.
Narra un'antica leggenda:
"Distrutta Troia , gli scampati al pericolo , fuggirono per via mare.
La città era ancora in fiamme quando Enea con il padre Anchise
sulle spalle ed il figlio Ascanio per mano lasciarono la città
semidistrutta e si affidarono alle onde del mare. Il fato aveva loro predetto
che presso la foce di un fiume rigoglioso, al volo di dodici avvoltoi
avrebbero dovuto fermarsi per edificare una nuova città, era questo
il volere degli Dei. Essi giunti alla foce dl fiume Mingardo, sostarono
un pò, ma qui volarono solo sei avvoltoi .Intanto il nocchiero
della nave Palinuro, si era invaghito della bellezza della fanciulla KAMARATON,
delle sue bionde chiome e dei suoi scuri occhi. Ma lei non ricambiò
mai il suo amore. Era bella ma aveva il cuore duro come la roccia. Palinuro
disperato si butto` a mare e mori`. La dea Venere , per punizione, trasformo`
Kamatron in roccia."
Marina di Camerota si adagia su di un arco di costa tra ulivi di epoca
saracena, incastonati tra due piccoli promontori sormontati da torri.
Al centro della cittadina v'è la piazza con la chiesa, seguono
poi le prime case dei pescatori disposte con simmetria mentre le case
moderne sono sorte solo nella seconda metà del secolo tra giardinetti
con: magnolie, palme, ficus, ibisco e rose.
Marina nacque verso la fine del 600 come villaggio di pescatori, si amplio`
poi nell'ottocento con l'arrivo di gente dalle zone circostanti.
Marina ha molti legami col Venezuela, non a caso la via principale del
la cittadina porta il nome di Simon Bolivar.
Un tempo tra le sue vie si lavoravano le corde vegetali che venivano poi
esportate a Taranto, La Spezia e Venezia; oggi tra quelle vie circolano
i villeggianti di ogni dove d'Italia che hanno un unico interesse: una
spiaggia morbida ed un mare pulito.
Tra le zone più belle e caratteristiche ricordiamo:
PIAZZA SAN DOMENICO: Questa piazza e` il centro della cittadina ed il
punto d'incontro della gente di mare. Piazza S Domenico, segnata da una
cerchia di case sembra mettere in evidenza il sagrato della bella chiesa
che primeggia come un palcoscenico di essa. Un tempo queste belle case
lasciavano intravedere i pescatori sulla soglia. oggi, spesso vi si affacciano
i villeggianti d'ogni dove d'Italia e d'Europa.
VIA DEL MARCHESE: E' una delle poche vie rimaste intatte, conserva gli
intonaci grezzi delle case, gli archi e perfino una locanda: la cantina
del Marchese. Il potente signore del luogo amava qui rinfrancarsi con
i signorotti dell'epoca; oggi permette di fare assaggiare i prodotti del
posto ai villeggianti.
LUNGOMARE E LE VILLE: Il lungomare ha vari aspetti: v'è la parte
rimasta intatta da villa Mariosa al molo grande del porto, vi è
poi l'attuale lastricato in pietra ed alberato. Villa Mariosa è
opera di un architetto francese, costituita da due torri limitrofe ed
un loggione con arcate prospiciente il mare. Una romantica scaletta scende
fino a mare tra gli aguzzi scogli. In questo luogo intonava i primi accordi
vocali la bella Hina Mariosa, che divenne poi un famoso mezzo soprano
negli anni trenta e, come per coronare l'opera sposo` il grande Wolr Ferrari
noto direttore d'orchestra, che tanto amava questo luogo. Qui veniva spesso
a villeggiare il noto maestro napoletano Luciano Lama, dove compose la
bella melodia "MARINA INDU SILENZIU" che poi fu resa nota come
"Miaria indu sileneiu".
IL PORTO: Il porto di Marina di Camerota fu iniziato a costruire nel 1968,
è di quarta classe ed è il meglio attrezzato dopo Salerno
Centro. Esso è costituito da un molo di sopraflutto lungo 360 m.
ed uno di sottoflutto di 130 m.. I due moli racchiudono uno specchio d'acqua
di 46.000 mq. Esso è turistico e peschereccio nello stesso tempo,
in quanto ha un notevole movimento di pescherecci grandi e piccoli, come
pure piccole barche da pesca. Spesso vi approdano grosse e lussuose imbarcazioni
da diporto. Nel periodo estivo, un servizio di aliscafi collega Marina
di Camerota con Napoli e Capri .
Marina è oggi nota anche per le sue famose grotte Preistoriche.
La storia di questo luogo però è remota, anzi ha visto i
primi passi dell'uomo sulla crosta terrestre e qui ci immergiamo addirittura
nel la Preistoria al periodo dell'Uomo di Naenderthal , quando qui dimorava
l'H0MO CAMEROTAENSIS appartenente allo stesso periodo, che differiva dal
primo, solo dal mento più prominente, eravamo a 600.000 anni fa.
L'Università di Napoli, dapprima, nel 1954, diretta dal Prof Parenzan,
scavo` in questi luoghi, poi in seguito da altri. Attualmente è
in atto uno scavo condotto dall'Università di Siena, diretto dal
Prof Gambassini da un lato e Dal Prof. Martini da un altro. La grotta
sepolcrale e` una di grosso interesse paleontologico, seguita da quella
della Serratura e da altre ancora. Gli studiosi avidi di sapere scavano
ancora fino a trovare la nitida roccia.
L'Uomo vuole scoprire se stesso nel tempo e nel luogo, Marina offre una
pagina aperta agli studiosi ed ai curiosi. E` questo già un buon
motivo che unito alla salubrità del posto ed alla gente ospitale
del luogo, Marina si offre ad un turismo qualitativo senza pari.
Prima immersione Venerdì 24/09/2004
ore 10,00
La Magnosa
Appena il tempo per i saluti , la sistemazione presso le proprie camere
e subito prepariamo le ceste per la prima immersione. Caricate le attrezzature
sul Fiorino di Paolo Gay, raggiungiamo il porto con la massima calma.
Ci attendono due imbarcazioni: una pilotina rossa all'apparenza molto
comoda ed un gozzo azzurro all'apparenza non troppo confortevole. Vista
la presenza di altri due subacquei Romani, sul gozzo trovano posto Beppe,
Corrado e Ladislao, mentre tutti gli altri salgono sulla pilotina.
Usciamo dal porto in direzione sud e subito notiamo che il mare è
leggermente agitato. Raggiunto il punto d'immersione, dopo circa quindici
minuti di navigazione, il moto ondoso era peggiorato tanto che non permetterci
di gettare l'ancora.
Sul gozzo, incitati da Franco la nostra guida, ci vestiamo di tutta lena
e ci buttiamo in acqua. A bordo della pilotina il clima è più
preoccupante: gente che vomita; qualcuno entra in acque e viene colto
da panico ed il mare nel frattempo non accennava a calmarsi.
La situazione è talmente caotica che Andrea cambia gruppo d'immersione
raggiungendo Beppe, Corrado e Ladislao.
L'immersione ha finalmente inizio in due gruppi distinti: uno guidato
da Franco e l'altro da Paolo.
Scendiamo in acqua senza l'ausilio di cime ne di catene d'ancoraggio e
ci troviamo su di un fondale roccioso a circa dodici metri di profondità.
Proseguiamo con la parete rocciosa sulla nostra destra, fino ad una profondità
di venticinque metri, attraversiamo un arco naturale e proseguendo, sempre
con la parete sulla destra, raggiungiamo l'ingresso della grotta.
A questo punto i gruppi si dividono: Paolo prosegue l'immersione mantenendo
la parete rocciosa sulla destra, mentre Franco entra in grotta. Forse
In nessun altro luogo come quello sotterraneo e subacqueo si combinano
in una relazione molto stretta gli aspetti geologici e quelli biologici,
ed ogni visitatore, anche il più distratto, ne otterrà una
profonda emozione, sottostando al richiamo ed al fascino dell'esplorazione,
dell'impenetrabile e dell'ignoto, esasperato dall'oscurità dell'ambiente.
Dalla sommità della grotta raggiungiamo una bolla d'aria in acqua
dolce, una visione paradisiaca. Tolte maschere ed erogatori, Franco ci
illustra le particolarità dell'ambiente in cui ci troviamo e che
a causa del mare agitato non abbiamo potuto vedere il passaggio netto
tra acqua dolce e acqua salata.
Rimesse maschere ed erogatori ci prepariamo ad usciere e riemergere. Abbandonata
la bolla d'aria, passiamo attraverso uno stretto passaggio, che il mare
mosso ha trasformato in pericoloso sifone, originando correnti molto forti.
Ad uno ad uno e con la massima calma usciamo dal sifone quasi risucchiati
e ci ritroviamo sotto l'arco naturale, mentre il gruppo di Paolo era già
alla barca.
Sono trascorsi circa cinquanta minuti d'immersione, ritroviamo la sagoma
della nostra barca e riemergiamo.
Non ci siamo sorpresi nel vedere il mare molto agitato, tanto mosso da
crearci immensi problemi per la salita in barca, soprattutto per chi stava
sull'imbarcazione piccola.
Il bilancio è stato tragico:
1. la gamba di Corrado quasi rotta;
2. la schiena di Beppe a pezzi;
3. due costole rotte ed una spalla lussata per Franco la nostra guida.
Durante il viaggio di ritorno, ci siamo ricordati di una vecchia canzone
marinara "Il mezzo marinaio", che non abbiamo voluto cantare
solo per rispetto dei feriti, ma che vogliamo trascrivere sul nostro Diario
i cui versi fanno più o meno così:
1° strofa
Mi mangiarono una gamba i cannibali delle Hawai
e un braccio se l'è preso un pescecane di Shanghai
la corda dell'arpione l'altra gamba s'è fregata
e un occhio me l'ha tolto una carogna di pirata
ritornello
Mary Mary stavolta ritorno davvero
mi manca qualche pezzo ma il cuore è tutto intero
sarò il tuo maritino, sarai la mia sposina
e mi terrai sul petto dentro una scatolina
2° strofa
Un piranha brasiliano mi portò via un coglione
e un altro mi è rimasto nel mare del Giappone
i denti li ho perduti, capelli non ne ho
la pulce di mare le orecchie mi rosicchiò
ritornello
Mary Mary stavolta ritorno davvero
mi manca qualche pezzo ma il cuore è tutto intero
sarò il tuo maritino, sarai la mia sposina
e mi terrai sul petto dentro una scatolina.
Tratta da " Il bar sotto il mare" di Stefano Benni.
Viste le cattive condizioni del mare, la seconda immersione non si può
effettuare, sperando che domani sia tranquillo ci consoliamo con un grande
pranzo al ristorante del nostro residence.
Al pomeriggio dopo un buon sonnellino, Paolo ci organizza una visita alla
locale camera iperbarica, con la possibilità di provare un'immersione
simulata.
Sabato mattina 25/09/2004
Il Leone di Caprera
La visita ad un antico relitto, posto anche a poca profondità,
crea sempre nel subacqueo una grande emozione ed eccitazione. Mai ci saremmo
aspettati di provare le stesse sensazione nel visitare un "Relitto"
posto in una grotta carsica fuori dall'acqua.
Infatti dovendo saltare le immersioni della giornata di sabato a causa
del mare che ingrossava continuamente, Paolo Gay ci ha organizzato la
visita al "Leone di Caprera", (così chiamata in onore
dell'eroe dei due mondi) una piccola goletta costruita nel 1879 a Montevideo
rimasta per molti anni in stato di abbandono nell' austero cortile del
Museo della scienza e della Tecnica di Milano.
Una barca, che è stata la prima affermazione di una vela italiana
da diporto nelle imprese oceaniche, compiuta da tre uomini di mare italiani
di quel tempo.
La storia ci viene raccontata, ancora con l'emozione in gola, dal nipote
di Pietro Troccoli.
All'inizio del 1879 tre marinai italiani, il capitano Vincenzo Fondacaro
di Bagnata Calabra e i marinai Orlando Grassoni di Ancona e di Pietro
Troccoli di Camerota, si ritrovano a Montevideo. Sono tutti compagni nella
lacerante condizione di emigranti e di marinai che da sempre imbarcano
su navi di tutti i paesi.
Nella grande comunità italiana locale la nostalgia della patria
è grande e la figura di Garibaldi, che aveva vissuto in Uruguay,
costituisce un simbolo di grande significato, per cui alla barca che riescono
a costruire in loco dal cantiere di Luigi Briasco, con l'aiuto di molti
sottoscrittori, viene dato un nome "Il Leone di Caprera" riferito
al mito di Garibaldi, figura che negli anni giovanili Fondacaro aveva
anche incontrato. Il ragazzo di Bagnara è emigrato giovane, a 17
anni, in Inghilterra e inizia lì la sua carriera di marinaio che
lo porterà in tutti gli scali del mondo.
Quello che caratterizza il suo sodalizio col mare, è che oltre
a navigarvi per professione (è capitano di lungo corso dal 1876)
dedica anche del tempo a praticare la navigazione per puro piacere e così
nel primo incontro a New York nel 1874 con l'anconetano Orlando Grassoni
nasce il progetto di una piccola barca a vela con la quale attraversare
l'oceano unendo il continente americano all'Italia.
Lo stesso Fondacaro progetta una goletta lunga fuori tutto 9 metri, larga
alla massimo 2,3 con una stazza di 3 tonnellate, dotata di due alberi
abbattibili lunghi 4.5 metri ciascuno e l'impresa che ne segue prendere
il via da Montevideo dove vengono reperiti i fondi (20.000 lire ) per
costruirla .
Le vicende del periodo impiegato nella costruzione non sono poche e Fondacaro
prima di poter partire per il viaggio rischia più volte di vedere
sfumare il suo sogno, tutto per colpa dei creditori ai quali via via ha
dovuto aggrapparsi per finire il battello. Finalmente il 3 ottobre 1880
il Leone di Caprera è pronto ad affrontare l'oceano dopo avere
caricato le ultime provviste e messo a punto di strumenti di navigazione
(una bussola, un barometro, un sestante ). Che cosa aveva imbarcato il
capitano Fondacaro per un viaggio della durata presunta di 100 giorni:
gallette, carne in conserva e uova per un totale di 160 kg; poi alcune
galline vive, 40 litri di vino , qualche bottiglia di liquore e un recipiente
per raccogliere 1000 litri di acqua piovana.
Infine una grande quantità d'olio, poiché lo skipper de
il Leone di Caprera lo riteneva il migliore toccasana in caso di burrasca,
quando veniva filato in mare facendolo fuoriuscire da un sacco di canovaccio.
Il liquido usciva lentamente dalla tela e attorno alla barca le acque
si calmavano, in altre parole l'olio impediva il formarsi di frangenti.
Un sacco col suo contenuto poteva durare 24 ore .
Il battello imbarcava 100 litri di olio che venne impiegato varie volte
tanto da far dire a Fondacaro che il viaggio si era potuto realizzare
proprio per i risultati che questo metodo di operare sulle onde aveva
dato.
Così equipaggiato il Leone di Caprera si allontana nell'oceano
ed inizia la lunga traversata che permette subito all'equipaggio di sperimentare
l'efficienza di un'ancora galleggiante progettata dallo stesso Fondacaro
e di utilizzare l'olio per calmare le acque intorno al battello. Proseguendo
il viaggio altre emozioni si hanno nella prima quindicina di ottobre,
quando la barca rischia di capovolgersi; ma dopo essere rimasta breve
periodo con l'albero in acqua, ritorna in assetto e prosegue (e così
capiterà altre volte). I tre a bordo sono soprattutto buoni marinai
e anche se la barca risulta molto lenta nelle andature controvento, realizzano
sempre una navigazione corretta e affrontano le molte traversie di questo
viaggio con grande rassegnazione.
L'imbarcazione voluta da Vincenzo Fondacaro risultò inaffondabile:
capovolta da un'onda si raddrizzò rapidamente e con la tecnica
dell'olio e dell'ancora galleggiante passò indenne alle peggiori
burrasche.
La navigazione avviene inizialmente con venti da sud e successivamente
dopo l'equatore da nord- est e sono a favore anche le correnti del Brasile,
l'equatoriale, della Guinea e delle Canarie. Il 24 novembre, circa sessanta
giorni dalla partenza, la goletta passa l' equatore tagliandolo all'altezza
del 22esimo meridiano ovest.
La nuova situazione dei venti da nord-est si consolida verso natale, una
data che viene ricordata dai tre naviganti perché trascorsa lottando
col mare e con successive burrasche, mentre le coste dell'Africa sono
vicine e si intravede già il golfo del Senegal. Il battello finalmente
riesce ad atterrare alle Canarie ed entrare a Las Palmas per rifornimenti:
i navigatori, duramente provati e in stato di semincoscienza, vengono
accolti da una popolazione incuriosita per la eccezionalità dell'impresa
e da autorità locali molto disponibili. La notizia dell'avvenuta
traversata viene rilanciata da alcune agenzie di stampa e compare anche
sui giornali italiani. Il 15 gennaio il Leone di Caprera riparte diretto
a Gibilterra dove il 23 gennaio termina la parte di reale interesse marinaresco
rispetto dell'impresa.
L' interesse per l'impresa del Leone di Caprera sta non tanto nella data
in cui è avvenuta, anche se trova una giusta collocazione cronologica
come primo viaggio atlantico " di piacere " fatto da una imbarcazione
a vela italiana, ma nelle motivazioni per cui essa si è realizzata,
non ultima quella e potesse ricordare l'impresa di Colombo.
Era in fondo la scelta coraggiosa e caparbia di un comandante e di due
suoi marinai, lontani dalla propria terra, di ritornarvi famosi e riconosciuti.
Fondacaro e gli altri sognavano in ogni momento lo stupore che avrebbe
provato il pubblico di fronte al loro coraggio e i riconoscimenti che
ne sarebbero derivati. Un grande sogno, dopo tanta vita duramente trascorsa
su tutti i mari del mondo, era poi quello di poter ritornare da protagonisti
a rivedere l'amato " loro " golfo di Napoli.
In Italia Fondacaro e i suoi uomini sono accolti con molto calore; tra
l'altro il re Umberto I e la Regina li ricevono a Monza nella Villa Reale.
Il Leone di Caprera viene trasportato nella capitale lombarda e ormeggiato
nel laghetto compreso all'interno dell'area dove aveva luogo l'esposizione
nazionale industriale, con tanto di gran pavese a riva. Poi, come accade
spesso in simili casi nel nostro paese tutto passa nel dimenticatoio e
la goletta, affidata in un primo tempo all'Arsenale di Venezia, ritorna
a Milano nella 1932 come valido cimelio facente parte del Museo Navale
Didattico e lì viene accuratamente conservato a cura dell'Unione
Marinara Italiana (che sarebbe poi diventata ANMI). Nel 1953 il Leone
di Caprera è trasferito al Museo della Scienza e della Tecnica
e da allora viene lasciato in uno stato di assoluto abbandono in un cortile,
mentre i legni e le ferramenta subiscono il degrado di una esposizione
all'aperto e le nebbie lombarde e le non meno rovinose calure estive contribuiscono
a fare il resto. Fondacaro riprende a navigare, scrive il libro che racconta
la traversata e scompare in mare nel 1893, mentre a bordo di un piccolo
battello, il Cesare Cantù tenta un'altra impresa oceanica; Grassoni
anche lui ritorna alla vita di bordo mentre Troccoli rientra a Montevideo,
dopo essere stato festeggiato nel suo paese d'origine, Marina di Camerota,
che gli offre una medaglia d' oro coniata per l'occasione e dopo aver
consegnato a Garibaldi i doni affidatigli, dai connazionali argentini.
A Marina di Camerota il ricordo di questa singolare avventura rimane vivo
e si tramanda negli anni da padre in figlio - non per niente lo stadio
comunale si chiama " il Leone di Caprera " ed una cooperativa
di pescatori reca il nome di Pietro Troccoli - ed induce i suoi abitanti
a costituire un Comitato per il restauro in loco della goletta. Lo scafo
viene trasportato a Marina di Camerota, accolto dal suono delle campane
delle chiese e dal sibilo delle imbarcazioni presenti nel porto. Sistemato
in una spaziosa grotta (600 mq) in riva al mare in località Lentiscelle.
Il racconto appassionato, puntuale e dettagliato del sig. Orlando Troccoli
commuove tutti i presenti. Diego immaginandosi nocchiero del Leone di
Caprera, arriva alle lacrime.
Il sig. Troccoli prosegue raccontandoci la visita di Licia Colò,
per una trasmissione della RAI. Infine con tono fermo, quasi rabbioso,
ci dice che farà di tutto per trattenere la goletta a Marina di
Camerota. Già perché il museo di Milano ora la rivuole.
(parte di quanto esposto è stato tratto da un articolo del giornalista
Eolo Attilio Pradella)
Sabato pomeriggio 25/09/2004
Spiaggia Pozzallo
Splende il sole, ma il mare non accenna a calmarsi: organizziamo il pomeriggio.
Decidiamo di fare un'escursione in "montagna" e raggiungere
via terra la spiaggia Infreschi. A questa nostra decisione Paolo Gay ha
un sorrisino ironico.
Partono: Andrea, Beppe, Diego, Fausto Menin, Ladislao, Paolo Rubagotti,
Pierluigi e Raffaela. In camera a dormire restano Corrado e Pierangelo,
loro non hanno il fisico.
A proposito di fisico, dopo circa venti minuti di cammino, Pierluigi getta
la spugna e rientra a far compagnia agli altri due.
Il cammino prosegue su strada asfaltata, e dopo circa un ora di cammino,
quando il sentiero diventa sterrato, anche Fausto e Raffaela decidono
di rientrare (loro un motivo potevano averlo).
Gli antri impavidi proseguono il cammino guidati da un Paolo scatenato.
Con sorpresa scopriamo un Ladislao sottile conoscitore dei frutti della
natura, infatti si mette in bocca di tutto, anche cose che ai più
erano sconosciute, compreso un fico d'india con tutte le sue spine, stupefacente
!!!!
Dopo circa due ore di cammino vediamo in lontananza il mare, Paolo come
l'avvistatore di Colombo grida "spiaggia infreschi". Andrea
e Diego non credono alla scoperta e su parere contrario di Beppe e Ladislao
si decide di scendere al mare su un sentiero impervio, degno delle scalate
dell'Adamello.
Giunti sulla spiaggia scorgiamo un cartello con scritto "Pozzallo",
a questo punto Paolo con ingenua semplicità dice : "proseguiamo
attraversando quel promontorio, al di là c'è la spiaggia
Infreschi". Un silenzio di tomba accompagna tale affermazione, Paolo
Rubagotti da Adro stava seriamente rischiando il linciaggio.
Non tenendo conto dei malsani pensieri di Paolo, sostiamo per pochi minuti
sulla spiaggia Pozzallo, scambiando quattro chiacchiere con gente del
posto che gestiva un piccolo ristoro.
Rifocillati da un calda birra, ci incamminiamo sulla via del ritorno.
Trascorrono pochi minuti quanto veniamo raggiunti da una autovettura il
cui conducente fermatosi ci chiede: "gradite un passaggio".
La frase non era finita che Beppe, Diego e Ladislao, chi dal finestrino,
chi dal bagagliaio, chi dalla portiera, avevano già preso posto
a sedere.
Solo Andrea e Paolo decidono di proseguire a piedi, ci ritroveremo più
tardi in albergo.
Il viaggio di ritorno
La domenica purtroppo il mare è ancora agitatissimo, trascorriamo
la giornata a piccoli gruppi, tranne Fausto e Raffaela che passano la
giornata in camera (loro dicono per fare esercizio di pensieri laterali!!!
mah in altri tempi si chiamavano in modo diverso) e dopo aver bighellonato
per la graziosa cittadina è giunta l'ora di preparare i bagagli.
I pesanti zaini vengono caricati, dopo cena, sul Fiorino e verso le 10,30
anche noi sul pulmino dell'andata ci avviamo verso la stazione di Pisciotta.
Il treno viene annunciato con circa venti minuti di ritardo, nell'attesa
ci fa compagnia il nostro Paolo Gay e finalmente alle ore 00,10 eccolo
arrivare.
Noi subacquei sappiamo che la fretta non ci è amica, e che riflettere,
rilassarsi e respirare sono fattori fondamentali. Però questo lo
mettiamo bene in pratica in immersione, con la testa fuori dall'acqua
commettiamo grandi "cazzate". Infatti saliamo sul treno ben
lontani dalla nostra carrozza letto e vi lascio immaginare cosa si prova
a trascinare gli ingombranti bagagli, negli stretti corridoi delle carrozze
ferroviarie. Dopo quaranta minuti di calvario, alle ore 1.00 raggiungevamo
le nostre cuccette e questa volta il sonno ci ha presi subito senza bisogno
di ninna nanne e di sonniferi.
Svegliati dal capotreno, che doveva sistemare i lettini, verso le ore
8 di mattina ci ritroviamo negli angusti corridoi ancora stanchi per la
faticata della sera prima.
Con circa venticinque minuti di ritardo giungiamo alla stazione di Milano
Centrale, comunque in tempo per la nostra coincidenza. Arrivati a Chiari
trascorsi poco dopo mezzogiorno, ci attendevano mogli, parenti e figli.
Due minuti per i saluti e poi tutti a casa.