Nicla Niero
La Modificabilità Cognitiva

conseguenze per l'apprendimento

Tesi di Laurea
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CAPITOLO I

 

FISIOLOGIA DEL CERVELLO

“L’apprendimento ci consente di trascendere i nostri geni”

Joseph LeDoux[1]

 

 

1.1  ORIGINI FISIOLOGICO-NEUROLOGICHE

1.2  LE TECNICHE DI NEUROIMMAGINE

 

 

 

 

ORIGINI FISIOLOGICO-NEUROLOGICHE

L’oggetto più complesso meraviglioso e misterioso dell’universo conosciuto è un pugno di carne gelatinosa che mediamente non raggiunge i 1500 grammi ma pullula di una vita straordinaria: cento miliardi di cellule, ognuna delle quali sviluppa una media di diecimila connessioni con le sue vicine. Queste cellule uniche e fantastiche, i neuroni, dal terzo al sesto mese di gravidanza crescono al ritmo di 250 mila al minuto. Qualche settimana prima della nascita la loro moltiplicazione si blocca e comincia quello che sarà il compito ininterrotto del cervello: creare connessioni tra una cellula e l’altra. Come scolpire una statua a partire da un blocco di marmo, spiegano i neurofisiologi, c’è una ridondanza iniziale di materiale, dalla quale si crea la forma per eliminazione. Le cellule che falliscono le connessioni vengono eliminate. Al momento del parto saranno dimezzate rispetto al loro picco, e il loro numero è fissato per sempre, dato che quando muoiono non vengono sostituite da nuove generazioni, come accade per la pelle. La loro morìa nel corso della vita, è impressionante: a partire dai 30-40 anni, spariscono al ritmo di centomila al giorno. Eppure le nostre facoltà mentali non declinano, anzi, lo scorrere del tempo spesso le migliora. Simili a veterani di mille battaglie, queste cellule invecchiano, perdono pezzi per strada eppure continuano a vincere. Com’è possibile? Questa è una delle tante domande in cui ci si imbatte riflettendo sul cervello, l’organo della funzione più alta prodotta dall’evoluzione, il mistero più impenetrabile sul quale si interroga da sempre l’umanità.

Il cervello è suddiviso in centinaia di aree, ognuna delle quali governa una specifica funzione. Quando pensiamo, parliamo, cantiamo, ricordiamo o ci muoviamo, queste aree si attivano in maniera trasversale, dando gli ordini che ci permettono di agire. Oggi si può individuare nel cervello l’area che corrisponde alle varie azioni[2].

Antonio Damasio[3], neurobiologo americano che ha studiato oltre duemila casi clinici di lesioni cerebrali sostiene che il cervello è ben più oltre della somma delle sue parti: “La mente ha la sua sede nei processi cerebrali, ma essi esistono perché il cervello interagisce con il corpo; e questo con l’ambiente dà forma al cervello. Non tutto è scritto nei geni, innato . Sono le emozioni e l’esperienza a dare forma al cervello”.

Il cervello non è un organo definito alla nascita. Esso è una potenzialità che si realizza giorno dopo giorno, nell’interazione con il mondo esterno. Il motore di tutto sono i neuroni[4].

Fino a poco più di un secolo fa si riteneva che il cervello, a differenza di tutti gli altri tessuti del corpo umano, non fosse costituito da cellule separate, bensì da una rete continua di materiale cellulare. Fu solo l’applicazione del metodo della reazione nera, una tecnica chimica di colorazione dei tessuti inventata da Camillo Golgi e poi sistematicamente applicata da Ramon y Cajal, che permise la descrizione dei neuroni, cioè le cellule nervose come unità distinte. E’ grazie a questo scienziato che noi oggi sappiamo che il cervello umano è costituito da circa cento miliardi di neuroni[5], morfologicamente indipendenti ma funzionalmente interconnessi.

 

 

E’ proprio nella struttura e nel funzionamento delle connessioni tra neuroni che risiede il segreto del suo funzionamento. I neuroni, infatti possono essere visti come cellule non molto differenti dagli altri tipi cellulari per quanto riguarda i meccanismi alla base del loro funzionamento, ma che, rispetto agli altri tipi cellulari, hanno enormemente sviluppato e affinato la capacità di comunicare tra loro e con gli organi periferici. Possiamo infatti pensare a un neurone come a una cellula specializzata nel ricevere, processare e ritrasmettere informazioni. Queste informazioni potranno dar luogo a fenomeni diversi a seconda del neurone interessato, quali per esempio la contrazione di un muscolo, l’accelerazione del battito cardiaco o la generazione di un ricordo o di un’emozione.

Se osserviamo l’organizzazione e la forma dei neuroni, appare evidente la loro grande eterogeneità. In base a queste caratteristiche possiamo annoverare più di mille tipi di neuroni diversi. Ma poiché per il funzionamento di un neurone non sono importanti solo la sua forma e le sue proprietà intrinseche, ma anche le connessioni che esso forma con gli altri neuroni del cervello, possiamo forse dire che non esistono due neuroni uguali tra loro. In ogni caso anche volendosi limitare alla descrizione della morfologia dei neuroni, essa risulta alquanto complessa. Anche se tra i vari tipi di neuroni esistono differenze, essi sono per lo più accomunati dalla presenza di un corpo cellulare (detto anche soma, il più delle volte di forma piramidale od ovolare) dove è localizzato il nucleo, e da un prolungamento, chiamato assone, che serve a trasmettere le informazioni mentre tutti gli altri, chiamati dendriti, servono invece a riceverle.

La differente organizzazione della membrana e del compartimento citoplasmatico degli assoni, rispetto a quella dei dendriti è sottolineata dal fatto che alcune proteine risultano essere localizzate specificatamente nell’uno o nell’altro compartimento.[6]

L’asimmetria nell’organizzazione dei neuroni è perciò sia morfologica che funzionale. Questa asimmetria può essere spinta a livelli estremi. Si  pensi per esempio ai motoneuroni, il cui corpo cellulare risiede nel midollo spinale e i cui assoni si spingono sino ad innervare la punta del piede! Si tratta di neuroni che a fronte di un corpo cellulare con un diametro nell’ordine del centinaio di millesimi di millimetro, possiedano un assone lungo circa un metro.

La presenza di prolungamenti lunghi e ramificati fa sì che i neuroni possiedano una superficie molto estesa rispetto al loro volume complessivo, e questa caratteristica facilita lo stabilirsi di contatti numerosi e complessi. Questa morfologia assai articolata pone però il problema della trasmissione dei segnali non solo tra un neurone e l’altro, ma anche all’interno del singolo neurone. La trasmissione dell’informazione nel sistema nervoso avviene mediante un doppio codice, elettrico e chimico: i segnali passano da un neurone all’altro mediante il rilascio di sostanze chimiche (i neurotrasmettitori), mentre all’interno  del singolo neurone i segnali consistono nella generazione e propagazione di impulsi elettrici.

Le strutture neuronali deputate alla trasmissione delle informazioni sono le sinapsi[7].

Lungo il suo decorso l’assone si divide ripetutamente dando luogo a numerosissime diramazioni progressivamente  sempre più sottili che terminano in piccoli rigonfiamenti (del diametro di circa un millesimo di millimetro): le terminazioni nervose presinaptiche; lo spazio cellulare che si trova in mezzo alle due cellule è chiamato spazio intersinaptico o doccia sinaptica. La teminazione presinaptica contiene vescicole cariche di neurotrasmettitore che, una volta rilasciato nella doccia sinaptica, fungerà da messaggero chimico; sulla membrana postsinaptica sono invece concentrati i recettori specifici per quel neurotrasmettitore, recettori che funzionano quindi come “organi di senso” per la rilevazione del segnale. Il numero delle sinapsi per ogni neurone può essere altissimo: in genere è compreso tra mille e diecimila, ma talvolta arriva fino a centinaia di migliaia.

Allorché le molecole di neurotrasmettitore vengono rilasciate nella doccia sinaptica, si legano ai recettori specifici localizzati sulla membrana della cellula postsinaptica, e ciò innesca un meccanismo consistente nell’apertura di canali proteici che sono selettivamente permeabili a uno o più ioni. Il passaggio attraverso la membrana cellulare di questi ioni, altera la differenza di potenziale elettrico che normalmente esiste fra il lato interno e quello esterno della membrana cellulare. Questa variazione causa a sua volta l’apertura o la chiusura di canali ionici, detti appunto voltaggio - dipendenti. La presenza di canali ionici voltaggio - dipendenti rende il neurone una cellula eccitabile, vale a dire una cellula in grado di generare e trasmettere segnali elettrici allorché viene stimolata localmente. I canali voltaggio - dipendenti si possono attivare ordinatamente, in sequenza, dando luogo a una corrente elettrica che percorre dendridi in senso centripeto, cioè verso il corpo cellulare del neurone postsinaptico.

Naturalmente il segnale generato a livello di una singola sinapsi è molto piccolo. Tuttavia visto l’elevato numero di sinapsi presenti, è possibile che i singoli segnali si sommino tra loro, dando origine a segnali sufficientemente ampi da poter giungere sino al corpo cellulare. Si può verificare sia una sommazione spaziale dei segnali, quando si sommano i segnali generati nello stesso istante da diverse sinapsi convergenti nello stesso neurone, che una sommazione temporale quando si sommano segnali generati in rapida sequenza a livello di una singola sinapsi.

Una volta giunto al punto di emergenza dell’assone dal corpo cellulare, il segnale elettrico se supera un determinato valore soglia, viene trasmesso in direzione centrifuga lungo l’assone. Mentre lungo i dendridi la trasmissione del segnale è di tipo decrementale, ovvero il potenziale elettrico tende a ridursi durante il suo viaggio verso il corpo cellulare, il segnale lungo l’assone ha un’ampiezza costante, indipendentemente dal fatto che il segnale avesse all’origine un valore solo di poco al di sopra della soglia, o fosse al contrario dieci volte maggiore. L’uniformità dell’ampiezza del segnale condotto lungo l’assone (che viene chiamato potenziale d’azione), deriva dal fatto che il segnale si “autorigenera” mentre viene trasportato, e questa è una caratteristica estremamente importante che assicura che l’informazione riesca a raggiungere anche le sinapsi situate più lontano.

L’uniformità del potenziale d’azione fa sì che l’unico fattore importante ai fini della trasmissione sia la sola frequenza di scarica un po’ come avviene nel linguaggio Morse. Tuttavia, mentre il potenziale d’azione può essere considerato un segnale tipo digitale, il rilascio di neurotrasmettitore e i segnali trasmessi lungo i dendridi hanno invece caratteristiche analogiche e possono essere efficaci pur variando notevolmente nella loro ampiezza. Non tutti gli stimoli che il neurone riceve danno luogo a potenziali d’azione. Infatti non tutte le sinapsi sono eccitatorie: molte sono inibitorie, e tendono perciò a diminuire la probabilità di generare potenziali d’azione; altre ancora sono modulatorie, cioè regolano finemente lo  stato di eccitabilità di un neurone senza intervenire direttamente sulla generazione dei potenziali d’azione. Questi fenomeni avvengono con i tempi tipici dei fenomeni elettrici, cioè molto rapidamente.

Il potenziale d’azione innesca una nuova trasmissione chimica quando arriva ad invadere le terminazioni presinaptiche e dà inizio al processo di rilascio delle molecole di neurotrasmettitore. Nelle terminazioni presinaptiche sono concentrate le vescicole sinaptiche che sono riempite di molecole di neurotrasmettitore. Una sottopopolazione di vescicole sinaptiche si trova già legata a siti specializzati della membrana plasmatica con la quale sono destinati a fondersi. A riposo la probabilità che il processo di fusione avvenga è molto bassa. L’arrivo del potenziale d’azione provoca però l’apertura di canali voltaggio-dipendenti permeabili allo ione Ca+Il flusso di Ca+ attraverso la membrana provoca un notevolissimo aumento (fino a 1000 volte), della concentrazione di questo ione in vicinanza delle vescicole legate alla membrana. Il Ca+ legandosi a proteine specifiche, induce un processo di fusione tra la membrana delle vescicole e quella della terminazione cellulare presinaptica; in tal modo le vescicole si aprono nella doccia sinaptica, e i neurotrasmettitori contenuti in esse vengono riversati all’interno della cellula, dove entrano rapidamente in contatto con i recettori localizzati sulla superficie della struttura presinaptica.

Il legame tra i neurotrasmettitori ai recettori specifici induce cambiamenti nella conformazione degli stessi recettori, modificandone perciò la funzionalità. Nel caso di recettori cosiddetti “canale” l’attivazione può dar luogo all’insorgenza del potenziale elettrico postsinaptico,  che sarà di tipo eccitatorio o inibitorio a seconda della natura dello ione trasportato dal recettore stesso. I recettori riconoscono selettivamente soltanto un tipo di neurotrasmettitore, ma spesso per un neurotrasmettitore esistono più sottotipi recettoriali, che mediano segnali diversi. In questo modo, il rilascio di un singolo tipo di neurotrasmettitore può dar luogo a segnali complessi.

La rete neuronale è in continua evoluzione. L’attività sinaptica presenta elevate caratteristiche di plasticità, nel senso che uno stimolo di intensità costante può dar luogo a risposte di ampiezza diversa in conseguenza del precedente livello di attività della sinapsi stessa. L'adattamento può aver luogo a livello sia presinaptico che  postsinaptico. A seconda della loro durata si distinguono fenomeni di plasticità breve e a lungo termine, cioè variazioni della risposta che vengono mantenute per pochi secondi oppure per lunghi periodi, fino a diversi giorni. I meccanismi molecolari responsabili per questi fenomeni, quantunque molto diversi tra loro, sembrano dipendere in larga misura dallo ione Ca2+.

I fenomeni di plasticità sinaptica rappresentano un importante mezzo di adattamento alle necessità fisiologiche dell’organismo, nonché un mezzo di protezione dalla stimolazione eccessiva, che qualora avvenga, può portare a pericolosi fenomeni di “eccitossicità” ossia danni cellulari dipendenti dall’attività ; si pensi ad esempio alla scarica epilettica, o alla morte cellulare conseguente ad ictus cerebrale. La plasticità sinaptica costituisce inoltre un mezzo formidabile per la conservazione dell’informazione nei circuiti neuronali, poiché rappresenta le basi molecolari per i fenomeni di memoria e di apprendimento.[8]

Anche le funzioni cognitive superiori quali l’apprendimento, la memoria ed il ragionamento hanno origine a livello delle sinapsi, e sono originate da fenomeni elettrici. Tuttavia, risulta ormai evidente, che fenomeni così complessi richiedono che ai segnali di tipo elettrico conseguano modificazioni biochimiche nell’attività cellulare. Queste modificazioni, che sono del tutto analoghe a quelle che si ritrovano in altri tipi cellulari, sono per loro natura di durata assai più lunga di quella del potenziale d’azione. Inoltre fenomeni a lungo termine, come il consolidamento della memoria, richiedono l’attivazione del nucleo della cellula e la sintesi di nuove proteine.

Nei fenomeni di apprendimento e memoria è stata riconosciuta l’importanza di una regione evolutivamente antica della corteccia cerebrale, l’ippocampo, in cui le sinapsi sono caratterizzate da una forma particolare di plasticità. Il potenziamento a lungo termine. In seguito a stimolazioni ripetute le sinapsi ippocampali variano la loro funzionalità, manifestando una forma elementare di memoria a livello cellulare.

Quindi la risposta neuronale allo stimolo viene rafforzata con l’esperienza[9].

Il potenziamento a lungo termine, dimostrato sperimentalmente all’inizio degli anni settanta da Tim Bliss e Terje Lømo, rappresenta il meccanismo della plasticità nervosa su cui si basa l’idea che, apprendimento e memoria, avvengano a livello di neuroni capaci di modificare la loro struttura e funzione.

La teoria della plasticità postulata nel 1949 da Donald Hebb[10], spiega in quale modo la memoria funzioni a livello cellulare in quanto, stimoli ripetuti aumentano l’efficienza di comunicazione tra due sinapsi e si viene a formare un assemblamento cellulare che comporta cambiamenti strutturali e conseguenti formazioni di circuiti chiusi nei quali viene codificata la memoria.

Studi molecolari[11] hanno identificato che le stesse molecole che regolano la crescita dei neuroni, i fattori neurotrofici, svolgono un ruolo importante nella plasticità andando a rinforzare selettivamente le connessioni delle reti neuronali più attive.

L’importanza di questi fenomeni è dimostrata da disturbi della memoria e dell’apprendimento in soggetti che hanno riportato lesioni nella regione ippocampale. In particolare in questi individui è disturbato l’apprendimento di nuove tracce di memoria. Il consolidamento di queste tracce richiede che le modificazioni funzionali generatesi nell’ippocampo vengano trasferite ad altre zone della corteccia, dove si ritiene avvenga la formazione del pensiero.

 

 

1.2  LE TECNICHE DI NEUROIMMAGINE

 

Mentre le tecniche di visualizzazione in vivo sono una conquista recente delle neuroscienze, il metodo della correlazione anatomo-clinica ha invece una storia secolare[12]. Questo metodo si basa sull’analisi dettagliata del quadro clinico di un paziente neurologico, ovvero su un’accurata disamina delle funzioni mentali preservate che di quelle cancellate o ridotte dalla lesione cerebrale; dopo la morte del paziente, l’esame macroscopico e microscopico condotto sul suo cervello consente di tracciare i confini della porzione di materia cerebrale coinvolta nella lesione. Quando questo studio viene applicato su un sufficiente campione di soggetti, è possibile trovare una correlazione tra quadri clinici ricorrenti e lesioni cerebrali localizzate più o meno negli stessi punti. L'interpretazione più fondata di questa correlazione è che l'area colpita sovrintenda a qualche stadio del processo di elaborazione delle informazioni che risulta deficitario nei soggetti, oppure che quell'area costituisca una sorta di magazzino di informazioni che il paziente, dopo la lesione, non può utilizzare.

Pierre Paul Broca fu tra i primi neurologi ad applicare questo metodo allo studio delle basi biologiche delle funzioni psichiche superiori.[13]

Grazie ai suoi studi tra il 1860 e il 1865, fu scoperta l’area che presiede alla produzione motoria del linguaggio, o area di Broca, nel lobo frontale sinistro. Nel 1874 Carl Wernicke scopre il centro della codifica sensoriale del linguaggio nella cincovoluzione temporale sinistra (area di Wernike), e Lichteim nel 1885 completa il quadro proponendo uno schema di connessioni anatomiche fra i vari centri del linguaggio nell'emisfero sinistro. Le cure prestate dai neurologi ai feriti della Prima e della Seconda guerra mondiale produssero una mole enorme di osservazioni sulle conseguenze funzionali, ovvero psicologiche, di lesioni traumatiche praticamente in qualsiasi area cerebrale. A queste osservazioni se ne aggiunsero altre derivanti dall’assistenza psicologica e neurologica prestata ai pazienti epilettici incurabili con farmaci che, intorno alla metà del XX secolo, si sottoponevano ad interventi neurochirurgici per l’asportazione di quelle porzioni del cervello che risultavano essere l’epicentro delle scariche epilettiche. I deficit di memoria, pensiero e percezione, insorti nei pazienti a seguito di tali interventi permisero di proseguire gli studi sulla localizzazione cerebrale delle attività psichiche superiori, fino alla nascita della neuropsicologia, una disciplina che elabora dettagliate tassonomie delle funzioni psicologiche e ne rintraccia vie e stadi di elaborazione del cervello.

La neuroradiologia nasce intorno al 1950 come primo tentativo di visualizzare le condizioni anatomiche del cervello senza attendere all’esame autoptico; tuttavia tecniche come la angiografia cerebrale e la pneumoencefalografia risultavano troppo invasive e dolorose per i pazienti, e rimasero quindi inutilizzate. Per questa ragione, fino agli anni sessanta, l’unico esame di laboratorio disponibile praticabile su un soggetto vivente rimase l’elettroencefalogramma, inventato da Hans Berger intorno al 1920. Questo apparecchio, ancora oggi molto usato, registra l’andamento temporale dell’attività elettrica del cervello, sia superficiale che profonda, tramite una matrice di elettrodi posti sul cuoio capelluto. Nell’elettroencefalogramma vengono così registrati diversi tipi di onda, caratterizzati da ampiezze e frequenze caratteristiche che variano a seconda dell’area registrata, dello stato di coscienza del paziente e, naturalmente del buono o cattivo funzionamento del suo cervello. I neurologi fecero un importante passo in avanti nei primi anni sessanta con la scintigrafia cerebrale, una delle prime tecniche di medicina nucleare basate sulle lesioni post-lesionali della permeabilità della barriera ematoencefalica reagenti a speciali sostanze lievemente radioattive. Grazie a questo metodo D.F. Benson, nel 1967, confermò su pazienti viventi la correlazione anatomo-funzionale tra emisfero sinistro e linguaggio già evidenziata da Broca e Wernicke un secolo prima.

Gli anni tra il 1973 e il 1975 videro la comparsa di rivoluzionarie tecniche di neuroradiologia, non invasive e di impiego ancora attuale. La tomografia assiale computerizzata (TAC), inventata intorno al 1973 da Godfrey Hunsfield e Allan Cormack, insigniti per questo del premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1979, si avvale di tecniche di analisi informatica dell’immagine applicate allo studio dei referti radiologici; i dati ottenuti mediante l’invio di una sequenza di raggi X sul cranio del paziente vengono  raccolti da un elaboratore elettronico che ricostruisce immagini virtuali di numerosi piani di scansione del cervello e permette quindi di visualizzare non solo l’anatomia dei suoi strati superficiali, con un notevole grado di risoluzione spaziale, ma anche la presenza di alterazioni macroscopiche nelle sue porzioni più profonde (sottocorticali). Nello stesso periodo Murray E. Phelps nel 1975 gettava le basi della tomografia a emissione di positroni, PET, che consente un’analisi dinamica delle reazioni del cervello alle stimolazioni sensoriali e mentali, mentre Paul C. Lauterbur, nel 1973 metteva a punto la risonanza magnetica nucleare, RMN, una tecnica di neuroimmagine ancora meno invasiva della PET e della TAC perché non richiede somministrazione né di raggi X né di traccianti radioattivi. Tramite queste tecniche i neuropsicologi possono non soltanto applicare il metodo della visualizzazione statica dell’anatomia del cervello offerta dalla TAC e dalla RMN, ma anche studiare la dinamica temporale dell’attivazione del cervello  in compiti complessi mediante la PET[14]

La risonanza magnetica è oggi l’esame radiologico più importante in neurologia, e un suo sviluppo importante è la RM funzionale, in grado di visualizzare con buona risoluzione anche temporale (pochi secondi), un aumento del flusso sanguigno in determinate regioni cerebrali, e con ciò l’attivazione funzionale di  determinate regioni cerebrali. La risonanza magnetica funzionale non ha impieghi clinici ma è utilissima per molti studi scientifici che tramite di essa possono determinare la distribuzione delle singole funzioni cerebrali: linguaggio, riconoscimento di figure o facce, musica e comportamenti o immaginazione di situazioni particolari.

La neuropsicologia si avvale quindi oggi di metodi come strumenti di ricerca e di diagnosi che si possono raggruppare in :

1)  metodi comportamentali visivi e uditivi

2)  metodi di bioimmagine TAC, RMN, CBF: Cerebral Blood Flow, SPECT, PET

3)  Metodi elettrofisiologici: attività elettrica cutanea, attività cardiaca E.C.G., funzioni dell’occhio, E.R.G.: attività elettrica della retina, E.O.G.: elettroretinogramma, funzioni del cervello: E.E.G., potenziali evocati: P.E., Potenziali correlati ad eventi: E.R.P.

Tutte queste tecniche  ci indicano come le immagini non vengano proiettate nel cervello come una fotografia, ma scomposte e ogni frammento inviato ad un diverso centro di controllo: qua il colore, là il movimento, là ancora la profondità e così via.

I cinque sensi percepiscono il mondo e ne danno informazione ai neuroni, la PET ha portato nuova chiarezza nelle tradizionali idee sul cervello, fino a una decina di anni fa esistevano sul funzionamento del cervello due teorie radicalmente opposte: quella olistica, secondo la quale l'intero cervello concorrerebbe alla funzione del pensiero, e quella localistica, che invece ritiene si attivino di volta in volta singole zone specifiche. La verità oggi sembra essere nel mezzo: esistono circuiti funzionali trasversali alle diverse aree, che si attivano coinvolgendo questa o quell’area in maniera non esclusiva. A questo proposito si può parlare di zone di convergenza, cioè sistemi che coinvolgono più aree. Un sistema somigliante  ad un’orchestra che per lo più improvvisa, anziché suonare uno spartito. Gli strumenti sono le assemblee di neuroni diffusi ovunque, che producono il suono polifonico richiesto.  

Negli ultimi anni l’utilizzo di metodiche strumentali, sempre più affascinanti, ha contribuito alla crescita esponenziale delle conoscenze sulle funzioni cognitive superiori quali la percezione e l’attenzione coscienti, che prima erano studiate solo dal punto di vista comportamentale, poi anche dal punto di vista biochimico sinaptico. Tutte queste fantastiche tecniche permettono ora di visualizzare l’attività cerebrale durante l’esecuzione di compiti e durante dinamiche di pensiero.

Con le metodiche di indagine di cui attualmente disponiamo sopra elencate, è stato possibile osservare un notevole sviluppo della rete di anastomizzazioni neuronali conseguente all’esposizione dell’organismo umano per un certo periodo a determinate condizioni. E’ un fenomeno noto da tempo agli studiosi di biologia, neurofisiologia e documentato ormai anche in pedagogia.

E’ del settembre 2003 la pubblicazione sulla rivista Mente e Cervello lo studio di Eleanor Maguire dello University College di Londra sul cervello dei tassisti della città che documenta come tale attività determini anche cambiamenti morfologici del cervello quali l’ingrossamento dell’ippocampo proporzionalmente alla loro esperienza professionale.

Le neuroscienze quindi oggi invitano pedagogisti, educatori, insegnanti a ricostruire ciascuna funzione del cervello e dell’apprendimento partendo dalle sue componenti neuronali  per scoprirvi la mente piuttosto che ridimensionarla equiparandola al cervello.

Le nuove scoperte impongono una riorganizzazione del campo delle scienze dell’educazione essendo venuti a crollare il mito della specializzazione dei due emisferi cerebrali, degli scatti di crescita correlati a ritmi di apprendimento, dell’utilizzo in bassissima percentuale del potenziale del nostro cervello e dell’ereditarietà dell’intelligenza.

Quest’ultimo asserto deriva dalla scoperta delle neuroscienze della modificabilità cognitiva che asserisce come l’apprendimento modifichi la struttura fisica del cervello.

Le nostre capacità di apprendimento sono solo in parte geneticamente predeterminate poiché si eredita soltanto un insieme di geni che si ridistribuiscono interagendo e determinando le condizioni organiche che sono alla base dell’intelligenza[15].

Durante tutto l’arco della vita l’organizzazione neuronale acquisisce specificità poiché inserita in un processo biodinamico di modellizzazione delle connessioni epigenetiche corrispondenti alle informazioni possedute dal soggetto, in un quadro di apertura costante, determinando l’apprendimento continuo.

Ad esempio, secondo J. LeDoux[16] le nostre attività mentali sono il frutto di processi fisici che avvengono nel cervello, ma questi plasmano l’intera nostra esperienza e viceversa. Per LeDoux l’estrema plasticità delle connessioni sinaptiche costituisce la base dell’apprendimento e della memoria e permette di chiarire l’emergere di quel senso di continuità necessario alla costituzione del sé e della personalità. 

L’organizzazione funzionale del cervello dipende dunque dall’esperienza, ma apprendimento e sviluppo vengono canalizzati fin dalla nascita entro specifici contesti culturali, linguistici e simbolici, sicché la pedagogia non può ignorare i problemi posti dalla flessibilità e dalla plasticità delle mente di cui è in parte responsabile l’ambiente e la scuola.

 


[1] Le Doux Joseph, Il sé sinaptico, Milano, Raffaello Cortina,  2002.

[2] Vedi figura n. 1.

[3] Antonio Damasio, L’errore di Cartesio, Milano, Adelphi, 1995.

[4] J. G. Nicholls, A.R. Martin, B.G. Wallace. Dai neuroni al cervello, Bologna, Zanichelli, 1997

[5] Vedi figura n. 2. Neurone.

 

[6] D. Purves, G.J. - Augustine - D. Fitzpatrick, L. C. Katz, Neuroscienze, Bologna, Zanichelli 2000.

[7] Vedi figura n. 3.

[8] E. R. Kandel - J.H. Schwartz - T. M. Jessel, Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, Milano, Casa editrice Ambrosiana, 1999.

[9] J. LeDoux, Il cervello emotivo, Milano, Baldini & Castoldi, 1998.

 

[10] D. Hebb, The organisation of Behavior, New York, Wiley, 1949 (trad it. L’organizzazione del comportamento: una teoria neuropsicologica, Milano, Franco Angeli, 1975).

[11] A. Oliverio - C. Castellano, La modulazione della memoria, Le scienze - quaderni n. 101.

[12] L. Pizzamiglio Cenni storici sulle tecniche di imaging, Bologna, Zanichelli, 1995 (seconda ed.).

[13] D. Perani - S. F. Cappa, I metodi di bioimmagine: applicazioni in neuropsicologia, in Manuale di neuropsicologia, a cura di G. Denes , Bologna, Zanichelli, 1996.

 

[14] A. Oliverio, Biologia e comportamento, Bologna, Zanichelli, 1987.

[15] Dellantonio A., Basi biologiche e nervose dei disturbi di apprendimento, in Cornoldi C. Disturbi dell’apprendimento. Aspetti psicologici e neuropsicologici, Bologna, Il Mulino, 1991.

 

[16] J. LeDoux, Il sé sinaptico, Milano, Cortina, 2003.

 

 

 

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